Vaccini da feti abortiti, il muro di silenzio vaticano
Vaccini prodotti attraverso feti abortiti. La Pontificia Accademia per la Vita è diventata tollerante rispetto alle condanne del passato. Un convegno a Roma cerca di abbattere il muro di silenzio. E di spiegare a genitori e operatori che l'alternativa eticamente sostenibile c'è.
-E LA NUOVA BIOETICA DI PAGLIA VIRA A SINISTRA di Andrea Zambrano
Se ne discute da molto tempo, ma molti continuano a non sapere: è la questione dei vaccini prodotti attraverso feti abortiti. Una questione che potrebbe e dovrebbe interrogare le coscienze dei cattolici, e non solo loro. Una realtà a volte negata, ora semplicemente minimizzata. In fondo - dice qualcuno - per ottenere le linee cellulari necessarie per produrre vaccini come quello contro Morbillo, Parotite, Rosolia e Varicella o contro l’Epatite A sono stati sufficienti due feti abortiti, due feti sani, ovviamente, e quindi esito di interruzioni volontarie di gravidanza.
Due bambini mai nati. Una femmina svedese abortita nel 1962 e un maschietto inglese nel 1966. Dai loro polmoni sono stati estratti fibroblasti (cellule del tessuto connettivo) che hanno composto le linee cellulari WI-38 e MRC-5, tuttora utilizzate. Sono i terreni di coltura che rendono i virus adatti a essere inseriti nei vaccini. Solo due, dicono i giustificazionisti, anche se a detta degli stessi ricercatori dedicati ai vaccini sono servite decine di altre piccole vittime per arrivare a queste due linee cellulari, vite umane sacrificate in nome di un imperativo tecnologico, giustificato dal fatto che questi vaccini possano salvare altre vite. Ma il fine non giustifica mai i mezzi.
La gran parte delle persone ignora questa realtà, tra cui i genitori che portano i bambini a vaccinare, e anche molti operatori. La ignora anche il mondo cattolico, che tace.
Eppure, non trattandosi di evidenze recenti, ma ormai consolidate, la Chiesa ebbe modo già anni fa di pronunciarsi autorevolmente. La Pontificia Accademia per la vita, istituita da san Giovanni Paolo II nel 1994, si pronunciò sui vaccini ricavati da cellule fetali con un documento del 2005. Il documento illustrava correttamente e in modo documentato come fossero state prodotte quelle linee cellulari, stigmatizzandone l’uso. Il documento dell’Accademia per la Vita parlava “di vera e illecita cooperazione al male”, e invitava i cittadini ad opporsi con l’obiezione di coscienza, e a fare pressioni sulle aziende perché progettassero linee cellulari alternative e chiedendo “un controllo legale rigoroso”.
Dodici anni dopo, la Chiesa ha fatto un netto dietrofront. La Pontificia Accademia ha cambiato idea, grazie probabilmente ai nuovi consulenti introdotti in anni recenti, molti dei quali dichiaratamente agnostici o atei, ed è diventata possibilista e tollerante. Si sostiene che nel passato i vaccini “possono essere stati preparati da cellule provenienti da feti umani abortiti, ma al momento le linee cellulari utilizzate sono molto distanti dagli aborti originali”.
È come se si dicesse che i reati sono caduti in prescrizione. Sì, sono stati utilizzati feti abortiti, ma è successo tanti anni fa. E la cooperazione morale al male di cui parlava la stessa Accademia nel 2005?
Per rompere il muro di silenzio, di non conoscenza, se non addirittura di acquiescenza che esiste su questa questione, è stato organizzato un Convegno che si terrà a Roma il prossimo 13 marzo presso la Casa Bonus Pastor, via Aurelia 208. Promosso dall’associazione culturale Renovatio 21, il dibattito vedrà la partecipazione di medici e scienziati con l’importante presenza del cardinale Raymond Leo Burke. Il cardinale americano è come noto uno dei prelati più impegnati nella difesa della vita umana, senza se e senza ma. La sua presenza servirà a ribadire le ragioni che portarono l’Accademia per la Vita a condannare l’utilizzo di feti abortiti, una condanna che non è affatto superata né caduta in prescrizione, e deve essere ribadita anche a livello di pastorale della salute.
Dal punto di vista scientifico, sarà molto interessante ascoltare la ricercatrice Theresa Deisher, che afferma di aver trovato tracce di DNA fetale in diversi vaccini, e che questa presenza potrebbe spiegare lo scatenarsi di risposte autoimmuni nei bambini vaccinati.
Un convegno che si pone anche l’obiettivo di contrastare scientificamente ed eticamente il principio della liceità dell’uso degli esseri umani (poco importa se feti) per la produzione industriale, di farmaci come di creme di bellezza.
L’obiettivo è anche quello di creare un movimento di opinione pubblica che sostenga l’obiezione di coscienza rispetto all’utilizzo di questi prodotti. Ciò potrebbe servire a spingere le aziende farmaceutiche a diversificare la loro ricerca: esistono già delle alternative possibili, come le cellule di embrione di pollo. La scelta delle cellule umane quindi non è affatto obbligata.
Se un tipo di pressione da parte dei consumatori è servito per eliminare l’olio di palma nei biscotti, perché non chiedere e ottenere che i vaccini non vengano prodotti con linee cellulari di bambini abortiti? E infine, questo convegno può essere l’occasione per ribadire il diritto all’obiezione di coscienza rispetto all’aborto e a tutte le pratiche che non rispettano l’intangibilità della vita umana. Un diritto che deve essere riconosciuto sia alle famiglie chiamate a vaccinare i figli, che agli operatori.