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CONTINENTE NERO

Vaccinare gli africani? I problemi sono le sanità locali

All'inizio della pandemia di Covid-19 si prevedeva che l'Africa sarebbe stata quella più colpita. Previsione sbagliata. Ora le organizzazioni internazionali si danno la priorità di vaccinare l'Africa. Il problema non sarà nell'approvigionamento. Anche gli Stati africani stanno comprando dosi in grandi quantità. Il problema è nell'organizzazione locale.

Creato 19_01_2021 English Español
Medico in Kenya con equipaggiamento protettivo

Circa un anno fa, a quest’epoca, Nazioni Unite e organizzazioni non governative ancora denunciavano i danni immensi che il global warming stava causando all’Africa, la catastrofe ambientale e la conseguente crisi umanitaria che si stava abbattendo sul continente, il più fragile e colpito dal cambiamento climatico, dicevano. Chiedevano ai “paesi ricchi”, a maggior ragione in quanto accusati di essere responsabili del disastro imminente, di affrettarsi a fornire ai governi africani tutto il necessario per farvi fronte. Uno studio dell’Onu valutava che dal 2020 al 2050 l’Africa sub sahariana avrebbe avuto bisogno di 50 miliardi di dollari all’anno. Secondo alcune organizzazioni non governative ne servivano almeno 100. Il 30 gennaio 2020 la Commissione Europea annunciava lo stanziamento di 216 milioni di dollari, prima parte di un fondo di 2 miliardi destinati all’Africa, molti dei quali da investire in progetti ambientali.

Poi è arrivato il Covid-19 e dell’ambiente africano non si è preoccupato più nessuno. L’attenzione si è rivolta ai danni immensi che la pandemia avrebbe provocato in Africa, il continente più fragile e più colpito dal virus. L’epidemia, ammoniva la Banca Mondiale, vanificherà due decenni di crescita economica e decimerà la popolazione. Lo scorso marzo il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterrez, dichiarava che un patto “globale di solidarietà con l’Africa era un imperativo”. “Ci saranno milioni di morti – spiegava intervistato dall’emittente France24, saranno necessari almeno 3.000 miliardi di dollari”. La Commissione economica dell’Onu per l’Africa il mese successivo esortava i governi africani a chiedere la cancellazione dei debiti esteri contratti e sosteneva che il continente necessitava subito di 100 miliardi di dollari per far fronte all’emergenza e di altri 100 da investire in incentivi, senza di che, secondo uno studio appena realizzato, 1,2 miliardi di africani (in pratica quasi tutti) sarebbero stati contagiati e entro la fine del 2020 i morti sarebbero stati non meno di 3,3 milioni.

Al 17 gennaio 2021 nel mondo i casi sono 93.194.942 e i morti 2.014.729; in Africa 2.313.130 i casi e 52.905 i morti. Pur mettendo in conto che siano dati sottostimati, è il continente con meno vittime e anche con meno conseguenze sul piano economico: secondo la Banca Mondiale, una riduzione del Pil intorno al 3,3 per cento che si prevede ricuperabile nel 2021. 

Da qualche settimana l’attenzione si è quindi spostata sull’urgenza di vaccinare al più presto gli africani, i più poveri e fragili abitanti del pianeta, un dovere morale imprescindibile in nome – sono parole del Papa, nel messaggio di Natale – “di una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me”. Il Pontefice non per la prima volta esortava a non ascoltare “le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione”, a promuovere invece la ricerca di una soluzione per tutti, “al primo posto, i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta”.

Il 18 gennaio anche Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’Oms, ha lanciato il suo appello al mondo: “siamo sull’orlo di un fallimento morale catastrofico e il prezzo di questo fallimento sarà pagato con tante vite umane nei paesi più poveri del mondo perché ci sono governi e aziende che continuano a fare accordi bilaterali, provocando un aumento dei prezzi, e cercano di saltare la coda mettendo a rischio i più poveri”. “Non è soltanto un imperativo morale, è anche un imperativo strategico ed economico” perché l’epidemia senza un piano globale durerà più a lungo con ulteriori perdite umane ed economiche. 

E di nuovo l’attenzione va all’Africa che non deve essere lasciata sola ad affrontare la crisi. Di “catastrofe morale” aveva già parlato alla fine del 2020 il presidente dei Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie, John Nkengasong, “se si tarderà a vaccinare in Africa mentre le regioni più ricche immunizzano tutti i loro abitanti. Non possiamo aspettare, abbiamo bisogno dei vaccini subito. Gli ostacoli a che inizi la vaccinazione in Africa sono i finanziamenti e la disponibilità di dosi mentre le nazioni ricche hanno acquistato vaccini più di quanti ne servano”.

Ancora una volta è come se l’Africa se fosse abitata da persone che non sono in grado di decidere da sé e di sé. Molti governi africani invece si sono già attivati per procurarsi i vaccini direttamente dalle aziende produttrici e da altri paesi: Cina, Canada, Russia… il Sudan anche dagli Emirati Arabi Uniti. L’Unione Africana ha appena confermato l’arrivo di 270 milioni di dosi oltre ai 600 milioni già annunciati. D’altra parte la preoccupazione che l’Africa sia lasciata sola è del tutto infondata. Proprio nel continente sono state realizzate alcune delle campagne di vaccinazione più spettacolari e meglio riuscite: contro la poliomielite, a partire dagli anni 90 del secolo scorso, riuscendo quasi a debellare il virus; contro la meningite A, con due interventi all’inizio di questo secolo, oltre 300 milioni di persone vaccinate e la quasi totale scomparsa della malattia; dall’anno scorso contro la malaria, con un vaccino da poco messo a punto e già impiegato in tre stati; contro Ebola, con due vaccini usati nelle ultime tre epidemie scoppiate nella Repubblica Democratica del Congo.

Finanziamenti e reperibilità di vaccini non sono peraltro i due ostacoli maggiori, come sostiene John Nkengasong. Si troveranno come si sono sempre trovati grazie all’Oms e alla generosità dei “paesi ricchi”. Quello che irrimediabilmente manca in Africa, e rende inadeguati in misura più o meno grave i sistemi sanitari nazionali, persino in tempi normali, sono i medici, i paramedici e le strutture sanitarie. La Liberia ha 4 medici ogni 100.000 abitanti; la Repubblica Centrafricana ne ha sette, lo Zimbabwe ne ha 19. Con 91, uno degli stati con più medici è il Sudafrica, all’inizio della pandemia l’unico paese africano insieme al Senegal con un centro analisi in grado di esaminare i tamponi.