Vacanze di matrimonio (anche illegale) a spese nostre
I vertici dell’azienda che gestisce l’acquedotto del Comune di Roma, annunziano che potranno godere dei 15 giorni di licenza matrimoniale tutti i dipendenti che presenteranno un qualsiasi documento comprovante l’unione riconosciuta da uno Stato dell’Ue, anche senza trascrizione nei registri dello Stato civile italiano.
Sono ormai innumerevoli gli episodi di violenza verbale e istituzionale contro coloro che, in difesa dei dati della natura, che ha previsto due sessi – uomo e donna - diversi e complementari tra di loro, osano sfidare l’ottuso conformismo imperante e la prepotenza degli omosessuali.
Questo tipo di pregiudizio colpisce a tutti i livelli, non tiene conto né della legge naturale né delle leggi positive in vigore. Così, al giudice irlandese che ha condannato il pasticcere che si era rifiutato di fare una torta celebrativa di nozze tra invertiti, rispondiamo dall’Italia, anzi da Roma, con la circolare demenziale (e illegale), titolata “Valorizziamo le diversità” con la quale i vertici dell’Acea annunziano che potranno godere dei quindici giorni di licenza matrimoniale tutti i dipendenti che presenteranno un qualsiasi documento comprovante una qualsiasi unione riconosciuta da uno stato dell’Unione Europea, anche «in assenza di trascrizione nei registri dello stato civile italiano, a condizione che l’unione sia attestata da certificazione formale». A parte il giudizio sull’iniziativa in sé e sui suoi promotori, che ognuno potrà formulare nella sua libera coscienza, mi sorgono spontanee alcune questioni.
L’Acea è una società di diritto italiano, quindi tenuta a conformare tutti i suoi comportamenti alla normativa vigente nel nostro ordinamento, il quale a oggi non riconosce come legittimi i legami personali tra individui dello stesso sesso, tantoché di quelli conclusi all’estero proibisce la trascrizione sui registri comunali; e perché allora concedere ai dipendenti che hanno compiuto all’estero una attività che in Italia è illecita il beneficio di una vacanza fin qui prevista solo in occasione di matrimonio? Ancora: l’Acea è una società controllata dal Comune di Roma: ciò dovrebbe spingerne gli amministratori a un contegno rigidamente rispettoso delle norme. Ma evidentemente, almeno nel caso descritto, questo non è avvenuto. E poi: quale regola di pari trattamento tra i dipendenti è stata applicata? E ancora: chi deciderà della correttezza formale della documentazione presentata per fruire del beneficio?
Azzardo un’ipotesi di quanto in un Paese serio dovrebbe succedere: innanzitutto, il Commissario Tronca dovrebbe richiamare gli amministratori dell’Acea, che oltretutto non naviga nell’oro, a non malversare risorse pubbliche concedendo a taluni dipendenti ferie alle quali non hanno diritto; lo stesso Tronca dovrebbe inviare alla Corte dei Conti una dettagliata relazione, comprendente l’analisi dei costi che la società ha sopportato in relazione all’iniziativa, e chiedere l’apertura di una indagine sul danno erariale prodotto dagli amministratori, e il suo recupero in via giudiziale; nel caso in cui il Commissario omettesse di prendere l’iniziativa, egli stesso potrebbe essere denunziato per l’inerzia dimostrata, ad iniziativa di un qualunque azionista dell’Acea o di un qualunque cittadino di Roma.
Passando a un discorso più generale, stupisce come gli amministratori di questa importante società pubblica invece di pensare alla pessima qualità dell’acqua che forniscono ai cittadini, al vergognoso malfunzionamento dei depuratori che ha in gestione, alla quantità enorme di sprechi e malversazioni che si verificano nella gestione, agli altri problemi seri che dovrebbero risolvere, passino il tempo a pensare (?) a iniziative di questo tipo. A noi cittadini romani resta solo una speranza: che il nuovo sindaco, chiunque sia, col suo primo atto cacci gli attuali amministratori; anche se, alla luce delle candidature in essere a oggi, questo appare più che altro come un desiderio destinato a rimanere non esaudito.