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Utero in affitto: bene il Ddl per vietarlo, ma il problema è la Pma

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Dopo l’ok della Camera, arriva il via libera della Commissione Giustizia del Senato al Ddl che intende contrastare più efficacemente la maternità surrogata. Ora si aspetta il voto dell’aula. Un’iniziativa meritoria, ma il problema è alla base: la fecondazione artificiale.

Vita e bioetica 05_07_2024

Andiamo a leggere il comma 6 dell’art. 12 della legge 40/2004, norma che ha legittimato la fecondazione artificiale nel nostro Paese: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».

La deputata Carolina Varchi, di Fratelli d’Italia, ha presentato un disegno di legge, il n. 824, che così recita: «Al comma 6 dell'articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all'estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”». Quindi la maternità surrogata, se questo disegno di legge sarà approvato dal Parlamento, sarà punibile se commessa non solo sul suolo italico, ma anche fuori dai nostri confini. Il Ddl era già stato approvato alla Camera e lo scorso 3 luglio è stato approvato anche dalla Commissione Giustizia del Senato. Ora si aspetta il voto in aula.

Questo disegno di legge, nelle intenzioni di chi lo sostiene, si inserisce in un progetto più ampio teso a qualificare l’utero in affitto come reato universale. L’iniziativa è sicuramente meritoria e da appoggiare in tutti i modi, però, duole dirlo, è viziata in radice. Cosa vogliamo dire? Vogliamo dire che non puoi eliminare alcune conclusioni se non elimini anche le relative premesse. L’utero in affitto è figlio della fecondazione artificiale. Alla base della fecondazione artificiale troviamo il seguente principio: è moralmente lecito e quindi giuridicamente legittimo produrre un bambino in provetta. Il fondamento su cui si regge la fecondazione extracorporea è dunque le reificazione del figlio. Legittimato questo principio, è inevitabile legittimare tutte le modalità per applicare nel concreto tale principio: fecondazione omologa, eterologa, crioconservazione degli embrioni, numero di embrioni da impiantare virtualmente illimitato come illimitati dovrebbero essere i tentativi di avere un bambino in braccio, accesso a coppie sterili e fertili e via dicendo.

La maternità surrogata è una delle possibili declinazioni del principio che è lecito fabbricarsi un bambino in laboratorio, che è giusto ricorrere a mezzi artificiali al posto di quelli naturali. In particolare, se è lecita la compravendita di gameti da parte di terzi per accedere alla fecondazione eterologa, non si capisce il motivo perché non dovrebbe essere ugualmente lecita la compravendita dell’utero di una donna per stringersi al petto il tanto agognato figlio. La maternità surrogata è una variazione o, se volete, una particolare implementazione dell’eterologa classica.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare: con l’eterologa non si sfrutta nessuno, con l’utero in affitto si sfruttano le donne. A parte il fatto che non si possono escludere casi di sfruttamento di donne e uomini anche con la compravendita dei loro gameti all’interno del processo della fecondazione eterologa, l’obiezione non sposta di un millimetro la validità dell’argomentazione prima articolata. Se il problema è lo sfruttamento, significa che il problema non è la maternità surrogata in sé stessa, ma una particolare condizione in cui è calata la stessa. Vogliamo dire che se il problema è solo lo sfruttamento delle donne, allora ciò che serviva non era una legge che vieti l’utero in affitto, ma una legge che disciplini tale pratica tutelando le donne e che permetta, a chi lo vuole, di donare il proprio utero o di farselo pagare senza per questo soggiacere a logiche schiaviste. Una legge di questa natura cancellerebbe o comprimerebbe assai il fenomeno dello sfruttamento, ma non toccherebbe la pratica dell’utero in affitto, qualora fosse scelta liberamente. In altri termini, se il quid della questione è solo impedire lo sfruttamento, ciò vuol dire che si è a favore dell’utero in affitto consensuale e dunque a favore dell’utero in affitto di per sé.

Perciò, per vietare efficacemente la maternità surrogata occorrerebbe – mera utopia oggi – vietare la fecondazione artificiale, in tutte le sue forme. È necessario agire a monte, non a valle, perché queste sono battaglie dove o si è coerenti al 100% oppure si perde nel 100% dei casi. E quindi il tentativo di vietare forme estreme di alcune pratiche ordinarie, quando queste ultime sono legittime, ha i piedi di argilla, proprio perché, accettata la ratio di una norma di base, non si possono che accettare anche tutte le sue applicazioni, anche quelle più borderline, pena l’irragionevolezza del divieto delle forme più estreme.

Detto tutto ciò, un plauso comunque a questa iniziativa perché in sé giusta e doverosa, sebbene temiamo che non potrà essere molto longeva.



ALLA CAMERA

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