Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
L'EDITORIALE DI OGGI

Un'intercettazione vi seppellirà

A seguire i media si resta sgomenti dal consolidarsi di un nuovo fenomeno della comunicazione che sta imprimendo una svolta inquietante alla nostra vita: l’intercettazione telefonica come regina delle prove. È il momento di dire basta.

Editoriali 22_06_2011

Un’intercettazione vi seppellirà. Calcio scommesse, indagine sulla P4, Bunga Bunga, Massimo Moratti e il nuovo allenatore dell’Inter: nulla sembra sfuggire a questa gigantesca spirale, a questo imbuto luciferino che risucchia le registrazioni di milioni di telefonate.

Sfogliando i quotidiani in edicola da qualche giorno si resta sgomenti dal consolidarsi di questo nuovo fenomeno della comunicazione, che sta imprimendo una svolta inquietante alla nostra vita: l’intercettazione telefonica come regina delle prove. All’epoca del processo inquisitorio, si pensava che la prova sovrana fosse la confessione del colpevole: un’idea molto giusta sotto il profilo morale, ma che si prestava a storture sotto il profilo giuridico e umano, a causa delle pressioni (psicologiche e non solo) cui veniva sottoposto l’imputato affinchè “vuotasse il sacco”.

Si fece strada allora una diversa sensibilità giuridica di origine anglosassone, in base alla quale l’imputato ha tutto il diritto di difendersi, di negare ed eventualmente di tacere, restando innocente finchè l’accusa non riesce a dimostrare la sua colpevolezza con delle prove, fatte di documenti e di testimonianze. Anche questo sistema “accusatorio” - basato sulla teorica parità fra ufficio difensivo e pubblica accusa - non è perfetto, essendo umano.

Ma ora i mass media sembrano aver inaugurato una terza, spietata forma di processo: quello “intercettorio”. Che funziona più o meno così. Si raccolgono i tabulati che solerti funzionari hanno confezionato stando ad origliare per giorni, settimane e talvolta mesi, su incarico delle Procure, mentre centinaia, migliaia di ignari cittadini pensano di parlare nella “intimità” del telefono. Poi, questi documenti segretissimi vengono dati in pasto ai giornali, che ne fanno uso copioso. Le intercettazioni sembrano vitamine da inoculare nelle vene dei malaticci giornali cartacei italiani, che sperano in questo modo di tamponare un po’ l’emorragia delle tirature.

Volendo forzare un po’ il concetto, potremmo dire che le intercettazioni sono il viagra dell’informazione: ringalluzziscono fogli a corto di idee e di notizie. Tanto è vero che ne fanno uso identico i giornali di governo e di opposizione, di destra e di sinistra, di centro e di periferia.
La terza fase del rito inquisitorio è la più spaventosa: chiunque finisce nel tritacarne delle intercettazioni rese di pubblico dominio viene immediatamente giudicato. Dal popolo. Nel senso che i giornali confezionano il capo d’accusa: mettono in pagina il tuo nome e il tuo cognome, se sei passabilmente noto anche la foto, e poi alludono, ammiccano, ipotizzano, o addirittura sentenziano.
Dimenticavo di dire che ogni giornale seleziona nomi e persone a seconda della loro appartenenza e “compatibilità” con gli interessi della testata e dell’editore. L’altro giorno, ad esempio, un noto quotidiano nazionale riferiva – come tutti – le intercettazioni sulla vicenda della cosiddetta P4. Ma si dimenticava di inserire nel titolo il nome di un noto manager, in buone relazioni con la proprietà del giornale medesimo. Distrazioni che possono capitare.

Ovviamente, la gente giudica sulla base delle intercettazioni, così come sono presentate dalla mano innocente dei giornali. E questo giudizio è senza appello e senza misericordia. Il capo d’accusa? In termini giuridici, spesso non esiste. Nel senso che le intercettazioni sono interessanti, morbosamente interessanti, perché scoperchiano un mondo di piccolezze, di miserie, di intrallazzi, di peccati. Un mondo poco bello, peggiorato anche dal meccanismo psicologico che si accompagna al contesto della conversazione: al telefono, infatti, ci si sente “soli” con il nostro interlocutore, e talvolta si va a ruota libera. E ‘ proprio questo a rendere interessante per la magistratura certe intercettazioni: si possono provare reati in atto o sventarne altri in fase di progettazione.
Ma il più delle volte, questa forma di guardonismo mediatico fatto con le orecchie degli spioni non ha nulla a che vedere con i reati. Serve però a far condannare, senza pietà, le persone che finiscono sulla gogna mediatica.

I processi veri? Quelli, forse, arriveranno dopo. Magari la magistratura non riterrà prove di rilevanza penale le intercettazioni e archivierà tutto. Oppure ci sarà un processo, e l’intercettato avrà modo di difendersi. Ma intanto, la sua condanna mediatica è stata scritta. Ovviamente, queste osservazioni non servono a seppellire il senso di disagio, e talvolta di disgusto, che si prova di fronte al mondo disvelato dalle intercettazioni. Ma dobbiamo riflettere e ragionare: forse è arrivato il momento di dire basta non tanto alle intercettazioni – che pure vanno regolamentate e usate con criterio – ma alla loro pubblicazione massiccia e indiscriminata.

C’è infatti una sesta, e ultima fase, nel processo intercettorio: quella in cui un essere umano, dopo essere stato massacrato dalla diffusione delle intercettazioni che lo riguardano, viene riconosciuto innocente della giustizia ordinaria. E’la fase meno interessante, per i giornali. Che infatti non ne parleranno mai.