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IMMIGRAZIONE

Ungheria, un referendum per le quote Ue dei migranti

La Corte Suprema Ungherese (Kúria) ha dichiarato ammissibile il discusso referendum sul sistema europeo delle quote dei migranti indetto nel mese di febbraio dal Governo guidato da Viktor Orbán. I promotori del referendum sono convinti di raggiungere il quorum e di vincere. Si prepara lo scontro con l'Ue.

Esteri 09_05_2016
Confine ungherese

La Corte Suprema Ungherese (Kúria) ha dichiarato ammissibile il discusso referendum sul sistema europeo delle quote dei migranti indetto nel mese di febbraio dal Governo guidato da Viktor Orbán. Il quesito che verrà posto ai cittadini sarà il seguente: “Volete che la UE, anche senza il consenso del Parlamento, possa prescrivere l’insediamento obbligatorio di cittadini non ungheresi in Ungheria?”.

Secondo fonti ministeriali, la consultazione dovrebbe tenersi fra settembre e ottobre prossimi. Si tratta di un tema particolarmente importante per l’Esecutivo, secondo il quale la decisione di Bruxelles di procedere alla ripartizione dei profughi senza interrogare preventivamente gli Stati interessati ha privato la popolazione del diritto di esprimere la propria opinione in merito. Va segnalata, comunque, la forte contrarietà all’iniziativa delle associazioni per i diritti umani e di altre Ong, che in un comunicato reso pubblico la scorsa settimana hanno criticato la Kúria per aver autorizzato una consultazione voluta dal Governo su temi che invece non competono al Parlamento.

Affinché l’iniziativa sia valida, comunque, è necessario che si rechino a votare almeno il 50%+1 degli aventi diritto, una soglia che i promotori della consultazione sono evidentemente sicuri di poter raggiungere facilmente, come conferma anche Hungary Today. Il sito di informazione, infatti, citando un sondaggio condotto nel febbraio di quest’anno dall’agenzia Századvég, evidenzia come l’84% degli ungheresi sarebbe contrario all’iniziativa europea, a fronte di solo 10% di favorevoli. Ciò che colpisce di più dello studio, però, è il fatto che il fronte del “NO” è in forte vantaggio anche tra gli elettori di sinistra: il 57% di essi, infatti, si dichiara contrario alle quote. Tali dati dimostrano, ancora una volta, che l’Ungheria, come la maggior parte degli Stati dell’Europa orientale, manifesta una forte insofferenza per le politiche europee in materia di immigrazione, nonostante essa non abbia rappresentato né rappresenti la destinazione finale delle masse che risalgono i Balcani con la speranza di ottenere asilo nella UE. 

L’opposizione ungherese all’accettazione di nuovi migranti, però, rischia di rivelarsi particolarmente costosa per il Paese poiché, come scrive la stampa locale, esso potrebbe essere costretto a pagare circa 400 milioni di euro di penale, in virtù della proposta della Commissione Europea di introdurre una multa di 250mila euro per ogni rifugiato non accolto. L’Esecutivo europeo, infatti, sta cercando di promuovere l’idea secondo cui la riassegnazione automatica dei migranti dovrebbe avvenire sulla base della grandezza dello Stato e della sua ricchezza, un’eventualità che l’Ungheria ha definito “un ricatto”. La dura posizione di Orbán (e quella ancora più decisa del partito di ultradestra Jobbik) è spalleggiata anche dagli altri componenti del Gruppo di Visegrád, ossia Cechia (che per volontà di Praga ora si può chiamare ufficialmente anche così), Slovacchia e Polonia. La posizione di questi Stati è particolarmente critica, perché dimostra, ancora una volta, come le realtà dell’Europa orientale, integrate nella UE per volontà politica di alcuni governi comunitari più che per reale convergenza di interessi, sono estremamente restie ad accettare la cessione di sovranità che l’Europa richiederebbe, ma anche ad avanzare proposte che concretamente potrebbero aiutare a risolvere l’emergenza attuale.

Nel caso specifico dell’Ungheria, inoltre, la gestione dell’immigrazione si sta rivelando uno strumento di propaganda politica: da un lato, infatti, la destra al Governo tende a rappresentare l’intera faccenda come un tentativo di cancellare la cultura del Paese, dall’altro i leader della la sinistra cercano di far apparire il referendum come un’operazione di marketing, non dando peso, invece, al forte supporto popolare (anche dei loro elettori) per queste iniziative “euroscettiche”. Al momento attuale è difficile prevedere come evolverà la situazione in Ungheria, ma alcuni elementi dimostrano come si stia pian piano ampliando il divario di vedute con la UE. Per tale motivo, Bruxelles deve quanto prima trovare gli strumenti per sanare le fratture che si stanno aprendo con l’Est, altrimenti vi è il rischio concreto che l’Unione resti ostaggio dei veti incrociati su qualunque tema che va a colpire direttamente la Sovranità nazionale degli Stati ex-comunisti. In aggiunta a ciò, l’Europa dovrebbe anche rendersi conto che lo scontro frontale con la Repubblica magiara non fa che rafforzare le spinte fortemente reazionarie presenti in alcuni ambienti politici (nei quali, ad esempio, la libertà di espressione su internet viene considerata una “minaccia letale” in quanto contraria al conservatorismo).

Sono anche chiare, d’altra parte, le ragioni del malcontento di Budapest: la classe dirigente locale, infatti, mal digerisce l’estensione delle prerogative della Commissione e, anzi, sembra addirittura spingere per una riduzione delle stesse. In aggiunta a ciò, negli ambienti di centro-destra vi è il timore, difficile dire se genuino o motivato da calcoli elettorali, che “l’invasione” di migranti di fede musulmana possa danneggiare la tradizione cristiana del Paese. Tale paura fa capire che il Paese, nonostante abbia adottato delle misure estremamente severe in materia di immigrazione e reagito in maniera ferma sin dalle prime fasi dell’apertura della “rotta balcanica”, si sente minacciato e insicuro, anche a causa del lungo immobilismo della UE sul tema.