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il gioco di renzi

Un'ammucchiata cattocomunista per blindare il Quirinale

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Renzi ha deciso di trasformare la sua marginalità in centralità politica, cercando di costruire una galassia centrista che possa essere l’ago della bilancia nella prossima legislatura in vista delle elezioni al Quirinale. 

Editoriali 10_07_2025

Matteo Renzi, spesso deriso come “Mister 2%” — essendo Italia Viva attestata da mesi attorno a quel modesto valore nei sondaggi — nonostante la percezione di un partito marginale, ha deciso di trasformare quella marginalità in centralità politica, cercando di costruire una galassia centrista che possa divenire l’ago della bilancia nella prossima legislatura.

Il suo obiettivo è duplice e ambizioso: innanzitutto diventare determinante nell’elezione del successore di Sergio Mattarella, prevista per gennaio 2029, operando una sorta di candidatura “cattocomunista”, dove alleanze apparentemente antitetiche – cattolici conservatori e sinistra progressista – convergano sotto un solo ombrello politico, contrastando il tentativo del centrodestra di eleggere da solo il nuovo Presidente della Repubblica; secondo, mettere le basi già ora – ben prima delle politiche – per avere voce in capitolo nella scelta dei candidati governatori scelti dal centrosinistra, con la prospettiva di garantirsi un ruolo di veto o di traghettamento verso il centrosinistra stesso, potenzialmente dettando la linea dall’interno.

L’assemblea nazionale di Italia Viva a Genova del 5 luglio scorso è stata una di quelle tappe simboliche: Renzi ha rivendicato che «alle regionali liguri senza di noi hanno perso, alle comunali con noi si è vinto», citando la vittoria di Silvia Salis alla guida del capoluogo ligure come modello operativo e politico. Ha coniato l’espressione “una tenda riformista” — un contenitore pluralista capace di attrarre i delusi di sinistra e di destra moderata, aperto anche a pezzi di Forza Italia che non si riconoscono nella linea Meloni–Fdi, o nelle politiche “tasse e dazi” dell’attuale esecutivo.

Questa strategia, replica concreta del modello Genova, mira a rassicurare gli elettori centristi sulla possibilità che esista uno spazio politico autonomo ma alleato, che non significhi confluire nel Pd, ma rimanere un soggetto distinto e necessario, «il centro che rende il centrosinistra non sbilanciato su Avs, M5s e Pd». Renzi ha rilanciato l’idea che una coalizione “campo largo” con PD, M5s, Verdi possa strappare a Meloni la vittoria solo se si somma a un centro autonomo in grado di prendersi oltre il 5% e di arrivare ai livelli del recente Terzo Polo.

Parallelamente, Renzi sta tessendo relazioni con micro-soggetti di stampo centrista per comporre una costellazione coesa intorno a Italia Viva: segnali in questa direzione provengono anche da nomi come Ernesto Ruffini, ex capo dell’Agenzia delle Entrate, Alessandro Onorato, assessore ai grandi eventi, turismo, sport e moda di Roma e Marco Tarquinio, europarlamentare e leader dei cosiddetti pacifisti. Si tratta di figure percepite come non ideologicamente schierate, capaci di incarnare quel “cattocomunismo” pragmatico e riformista, nato dalla convergenza di sensibilità civiche, economiche, vetero cattoliche o ambientaliste, con percentuali da prefisso telefonico ma potenzialmente in grado di contribuire alla formazione di un blocco centrista più strutturato.

Renzi sta rivendicando, da un lato, l’autonomia dell’area centrista («il Centro ha senso se è fuori dal Pd», scrive nel suo blog, criticando la guida di Schlein come più di sinistra rispetto al passato PD); dall’altro, sta lasciando aperta la porta a interlocuzioni con il centrosinistra, ribadendo che l’alleanza si fa sui contenuti, senza necessità di assorbimento totale. Sta insomma giocando fin da ora la sua partita per paura di diventare ininfluente nei futuri equilibri del centrosinistra.

Ma il nodo cruciale resta politico: Elly Schlein e Giuseppe Conte, rispettivamente segretari del Pd e del Movimento 5 Stelle, accetteranno di condividere la governance delle scelte strategiche, governatori e poi candidati premier, con un Renzi che ha dimostrato – nelle precedenti legislature – una propensione individualistica e un egocentrismo che molti gli imputano come causa primaria della spaccatura del centrosinistra?

I sindaci e gli amministratori citati da Renzi come teste di ponte verso un centrosinistra riformista – Ruffini, Onorato, Tarquinio ecc. – al momento restano acquari separati, sin troppo leggeri per giocare un peso federativo, né è chiaro se Schlein li consideri interlocutori sufficientemente robusti per ridisegnare i rapporti di forza all’interno della coalizione.

Renzi sta costruendo un’intelaiatura politica con pezzi trasversali: ex tecnici, parlamentari minori, cattolici “sociali” e civilisti, amministratori tematici senza etichette. Il prossimo passo sarà dimostrare che la famosa tenda riformista da lui evocata funziona.

La verità è che senza un progetto culturale solido e pluralista, senza leader nuovi e capaci, il centro non ha alcuna chance di successo all’interno del centrosinistra. Nel centrodestra, infatti, a parte Forza Italia e Noi moderati, ci sono tante anime di Fratelli d’Italia che attraggono elettorato moderato. Significa che gli italiani distanti da alcune asprezze di Schlein e Conte o di Salvini e Vannacci puntano più sull’attuale maggioranza che sulle opposizioni. Peraltro Renzi, inviso a buona parte del Pd e del resto del centrosinistra, appare il meno indicato per riaggregare il centro cattolico e riunire le anime disperse del cattolicesimo democratico e del cattocomunismo. La sua è una missione impossibile, destinata al naufragio.