Una proposta di pace per il Venezuela. Conte aderirà?
Distratti dall’epidemia, ma non fino al punto di dimenticare il fronte della lotta politica in Venezuela, gli Stati Uniti hanno presentato, il 31 marzo una proposta di transizione pacifica verso la democrazia del Paese sudamericano. L'Ue aderisce, gran parte dei Paesi in tutto il mondo sottoscrive. Dall'Italia si attende una risposta.
Distratti dall’epidemia, ma non fino al punto di dimenticare il fronte della lotta politica in Venezuela, gli Stati Uniti hanno presentato, il 31 marzo una proposta di transizione pacifica verso la democrazia del Paese sudamericano. Si tratta di un testo abbastanza articolato per poter parlare di una vera e propria roadmap di pace che porrebbe fine a quattro anni di conflitto civile strisciante. L’Europa ha già aderito in maggioranza. Adesso toccherebbe all’Italia far sentire la propria voce, pro o contro questo progetto.
E’ bene, prima di tutto ricordare cosa sia diventato il Venezuela 22 anni dopo l’insediamento di Hugo Chavez (padre del “Socialismo del XXI Secolo”) e al settimo anno di Maduro: il 94% della popolazione è da considerarsi povera, il tasso di disoccupazione è del 44% (riferito al 2019), 8 milioni di venezuelani vivono al di sotto della soglia di sussistenza e patiscono la fame. Circa 5 milioni hanno abbandonato il Paese, più per disperazione che per dissenso politico. A livello sanitario, il Paese ha ospedali fatiscenti, dilagano la malaria e l’Hiv. Il coronavirus ha attecchito poco, ma in caso di scoppio dell’epidemia si teme il peggio, non solo perché le strutture sanitarie non reggerebbero, ma anche per le condizioni dei rifugiati ammassati al confine con la Colombia.
«Proponiamo che sia Nicolas Maduro, l'ex presidente che ha mantenuto il potere, sia Juan Guaidó, il presidente ad interim, si facciano da parte affinché i membri eletti dell'Assemblea nazionale di entrambe le parti possano creare un Consiglio di Stato che funga da transizione; un governo che tenga elezioni presidenziali libere ed eque» è questa la roadmap descritta nel documento del Dipartimento di Stato Usa. Oltre all’aspetto più prettamente elettorale, la roadmap prosegue chiedendo una riforma più completa: «Un nuovo, equilibrato e indipendente Consiglio nazionale elettorale è anch'esso cruciale, e una Corte suprema indipendente deve sostituire l'attuale, che è solo un braccio del regime di Maduro. Una democrazia vitale richiede anche mezzi di comunicazione liberi e indipendenti per porre fine alla diffusa censura del regime». E si chiede anche la «fine degli iniqui procedimenti giudiziari che hanno lasciato decine di parlamentari in esilio, quattro in carcere e molti altri esclusi dalla candidatura, tra cui il signor Guaidó, che continuerà a ricoprire la carica di presidente dell'Assemblea nazionale fino alle nuove elezioni parlamentari e presidenziali».
Ma con che mezzi si intendono raggiungere questi fini, apparentemente così lontani? Il consenso da parte di Maduro sicuramente non c’è. Il presidente-autocrate si è infatti lanciato in una invettiva, in risposta a questa proposta, rivolgendosi direttamente al popolo statunitense, perché ponga fine alla presidenza di Donald Trump. In una repubblica come quella del Venezuela, i cambiamenti sono storicamente avvenuti quasi esclusivamente a seguito di colpi di Stato militari. Lo stesso Hugo Chavez, padre dell’attuale regime, quando aveva il grado di colonnello aveva tentato un golpe nel 1992 e dieci anni dopo, dopo aver vinto le elezioni democraticamente nel 1998, ha sventato un golpe a suo danno nel 2002, ma solo portando l’esercito dalla sua parte. Quello a cui mirano gli Usa, adesso, è evitare che, in caso di cambiamento, l’esercito scateni un ulteriore bagno di sangue.
Il paragrafo più lungo della proposta del Dipartimento di Stato è rivolto soprattutto agli uomini in uniforme: «I militari avranno un ruolo essenziale nel portare un cambiamento pacifico e nel plasmare il futuro del Venezuela. I soldati venezuelani, insieme agli ufficiali di polizia, soffrono come i civili; possono a malapena permettersi di sfamare le loro famiglie e non possono permettersi cure mediche o medicinali. Il Venezuela si trova ad affrontare una grande sfida per la sicurezza da parte di trafficanti di droga, gruppi terroristici e bande criminali, e ha bisogno di forze di sicurezza meglio pagate, addestrate ed equipaggiate per rendere sicuri i confini della nazione e mantenere la pace. I militari e le forze dell'ordine devono abbandonare il ruolo che il regime di Maduro ha forgiato per loro: portare avanti la repressione del popolo venezuelano. I militari devono anche unirsi per espellere gli agenti dei servizi segreti cubani che spiano loro e tutti i cittadini e fungono da vero scudo del regime. Il sostegno delle forze armate al Quadro di transizione democratica sarebbe un passo fondamentale in questa direzione».
L’Unione Europea, per una volta allineata con gli Stati Uniti, per bocca dell’Alto Rappresentante Josep Borrell, ha espresso “condivisione e apprezzamento” per la proposta americana. Che è stata sottoscritta già da numerosi Paesi, fra cui anche molti europei: Australia, Austria, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Croazia, Equador, Slovenia, Estonia, Francia, Georgia, Germania, Guatemala, Honduras, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Olanda, Panama, Paraguay, Perù, Portogallo, Regno Unito. In questo elenco non si trova ancora l’Italia, che già nel gennaio e febbraio 2019 non aveva riconosciuto la legittimità della presidenza ad interim di Juan Guaidó. Il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro Delle Vedove ha inoltrato una risoluzione in Commissione Esteri della Camera di aderire alla proposta statunitense, «di sottoscriverla, inviarla e proporla in seno al Gruppo Internazionale di Contatto; a dichiarare il pieno sostegno all'Assemblea nazionale, quale unico organo democratico legittimamente eletto del Venezuela; a insistere sul fatto che una soluzione pacifica e politica può essere raggiunta solo nel pieno rispetto delle prerogative costituzionali dell'Assemblea nazionale e previo ripristino delle garanzie costituzionali; a condannare recisamente la presenza di contractors stranieri in Venezuela».
Dal governo Conte si attende una risposta.