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Una maestà in Franciacorta

L’abbazia di Rodengo Saiano (BS) è il cuore della presenza benedettina cluniacense in Franciacorta. Dopo un lungo periodo di fecondità spirituale ed economica lo sviluppo del complesso  si arresta e Papa Eugenio IV, nel 1446, affida l’abbazia ai Monaci Olivetani che ne promuovono la ricostruzione rendendola una delle più maestose del Nord Italia.

Cultura 18_02_2017

L’abbazia di Rodengo Saiano (BS) è il cuore della presenza benedettina cluniacense in Franciacorta. Un documento del 1085 cita un monastero già esistente e un’ altra fonte, di poco successiva, fa riferimento alla dedicazione a San Nicola che rimarrà nei secoli inalterata. Dopo un lungo periodo di fecondità spirituale ed economica lo sviluppo del complesso, però,  si arresta e Papa Eugenio IV, nel 1446, affida l’abbazia ai Monaci Olivetani. Sono loro che ne  promuovono la ricostruzione rendendola, dal punto di vista storico artistico, una delle più maestose del Nord Italia.

Di quattrocentesco la chiesa di San Nicola conserva la facciata, con il profilo a capanna inquadrato da due grandi pilastri, la decorazione in maiolica che corre lungo la linea del tetto e il portale in pietra simona. La settecentesca decorazione interna a fresco, che corre sulla superficie delle pareti, è particolarmente fastosa e simula finte architetture e medaglioni. Lo spazio sacro si sviluppa in un’unica navata centrale e in una navatella laterale su cui si aprono sei cappelle. Artefice delle numerose tele e dei dipinti di quest’ultime è, per lo più, il milanese Giovanni Battista Sassi, aggraziato pittore tardo barocco, attivo tra la fine del Seicento e la prima metà del secolo successivo.

Fa eccezione la seconda cappella, dedicata a San Pietro: sul suo altare campeggia la pala di uno dei protagonisti del Cinquecento lombardo. Per gli Olivetani il Moretto, al secolo Alessandro Bonvicino, nel 1540 eseguì un dipinto ad olio che raffigura Gesù in gloria tra le nubi che consegna a Paolo e a Pietro, posizionati in basso sullo sfondo di un paesaggio montuoso e di una città fortificata sulle sponde di un lago, rispettivamente il libro della dottrina e le chiavi della Chiesa. La consegna delle chiavi è simbolo della trasmissione del potere spirituale a Pietro di cui si giustifica l’autorità e il primato della cattedra. E in generale tutta la scena rappresenta la costituzione della Chiesa su un fondamento apostolico.

Di grande pregio è il coro ligneo, opera dell’intagliatore pavese Cristoforo Rocchi che la realizzò nel 1480. Sono sedici gli stalli, con altrettanti dossali su cui sono intarsiate magistralmente finte prospettive architettoniche su un pavimento a scacchiera fortemente scorciato.

Tre chiostri rinascimentali circondano il tempio. La semplicità del più piccolo, verosimilmente costruito per primo, fa da contraltare alla maestosità di quello grande, dotato di due loggiati sovrapposti e di una decorazione a maiolica invetriata nel cornicione meridionale. Il chiostro della cisterna è connotato da un pozzo in ferro battuto posto al centro e dalla presenza di tre meridiane seicentesche.

Su di essi si affacciano diversi ambienti: nell’antirefettorio Lattanzio Gambara, nel 1570, realizzò un ciclo di affreschi che ha come tema la Salvezza dell’uomo a partire dalla Croce che campeggia, infatti, al centro del riquadro del soffitto. Tutt’intorno si dipanano scene ispirate al settimo libro dell’Apocalisse e all’Antico Testamento.

Il refettorio della foresteria, infine, conserva ancora brani della decorazione a fresco del pittore bresciano Romanino che qui lavorò intorno al 1530. Si tratta dell’episodio di Gesù con la Samaritana al pozzo e di una dolcissima Madonna che si volge dolente verso San Giovannino, posto accanto ad un agnello, segno del sacrificio del Cristo, e che trattiene sulle Sue ginocchia un vivace Gesù Bambino.