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UNIONI CIVILI

Una legge che ci costerà almeno 22 milioni di euro

Care unioni civili. Non è l’incipit di una lettera, né tantomeno un attestato di stima per il disegno di Cirinnà. Ma una constatazione di carattere meramente economico. Se passa la legge sulle Unioni civili sarà un bel salasso per le casse dello Stato. Lo dice la Ragioneria generale dello Stato.

Famiglia 14_01_2016
La legge sulle unioni civili costerà allo Stato almeno 22 milioni di euro

Care unioni civili. Non è l’incipit di una lettera, né tantomeno un attestato di stima per il disegno di Cirinnà. Ma una constatazione di carattere meramente economico. Se passa la legge sulle Unioni civili sarà un bel salasso per le casse dello Stato. Non lo dice la destra, né il centro, bensì la Ragioneria generale dello Stato. Quest’ultima ha vidimato una relazione del ministero dell’Economia che ha previsto quali saranno in futuro gli oneri finanziari per il “matrimonio” gay. 

Uno scherzetto che ci costerà 3,7 milioni per l’anno in corso (dei quali 3,2 milioni per le detrazioni), 6,7 milioni per l’anno prossimo (5,6 milioni) e via via salendo fino ad una spesa stimata di 22,7 milioni nel 2025. In genere le stime di questo tipo si spingono nella previsione a qualche decennio dopo che è stata varata la legge – soprattutto quando di mezzo c’è la previdenza sociale - cioè quando le Unioni civili andranno a regime dato che in dieci anni forse non si raggiungerà il picco di conviventi omosessuali che convoleranno a “nozze”. Evidentemente non si è voluto allarmare troppo il contribuente.

Ma come mai lo Stato – cioè tutti noi italici cittadini – deve sborsare tale cifra per soddisfare le voglie egualitarie di lor signori omosessuali? Perché il disegno di legge prevede per costoro uguale trattamento economico e fiscale riservato ai coniugi. Nelle voci di spesa a carico delle casse dello Stato allora vanno conteggiate detrazioni per coniuge a carico, assegni familiari e pensioni di reversibilità. Insomma per le coppie omosessuali varrà la pena di “sposarsi” anche se non avranno la benché minima intenzione di farlo, dato che il gioco vale la candela se si assume come prospettiva non quella dello slogan Love is love, ma quello ben più prosaico del conto in banca. Naturalmente dalla sponda omosessuale ci diranno che i matrimoni di interesse ci sono sempre stati e quindi perché scandalizzarsi.

C’è poi da appuntare che nel conteggio del ministero dell’Economia non si sono computate le spese del Servizio sanitario nazionale a favore del partner non cittadino italiano, il quale - grazie alle Unioni civili - potrà beneficiare, come se fosse coniuge, dei servizi del Servizio sanitario nazionale. Un’altra voce di spesa potrebbe gravare sulle nostre tasche. La Cirinnà – quasi ce lo scordavamo – non disciplina solo il l’omo-matrimonio ma anche le convivenze sia eterosessuali sia omosessuali. C’è da domandarsi se saranno estesi anche alle coppie di fatto alcuni benefici previsti per le Unioni civili. 

Le stime del Ministero inoltre ipotizzano 67mila unioni civili una volta che la legge sarà a regime. Ma il senatore Lucio Malan di Forza Italia ha fatto sapere che il Tesoro si sbaglia. Facendo riferimento a un’indagine dell’Istat del 2011 parrebbe che le persone omosessuali in Italia siano tra l’uno e i tre milioni, cifra che molto probabilmente è erronea per eccesso, aggiungiamo noi. Fatto sta che Malan ha dichiarato che il costo delle Unioni civili si aggirerebbe nel 2025 tra i 300 e gli 800 milioni di euro. Altro che 22 milioni come asserito dal Tesoro.

Ma al di là del balletto delle cifre è certo che ogni euro speso per le coppie gay è un euro sottratto alle famiglie. Non solo, ma il ddl Cirinnà – se lo vogliamo analizzare dal solo punto di vista economico – è anche incostituzionale. Introducendo un doppio modello di convivenza – le Unioni civili e il riconoscimento delle coppie di fatto – introduce forme giuridiche di relazione in concorrenza con la famiglia fondata sul matrimonio, andando a detrimento di quest’ultimo quando invece il favor dei costituenti era solo per il vincolo di coniugio (art. 29 Cost.). Tale concorrenza si riverbera anche sul piano della distribuzione delle risorse che invece dovrebbero essere destinate unicamente alla famiglia nata dal matrimonio come indicato dall’art. 31 della Costituzione il cui contenuto oggi suona come una barzelletta: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». 

Dato che i sostenitori della Cirinnà hanno ripetuto mille volte che le unioni civili non sono il matrimonio, allora va da sé che lo Stato non potrebbe prelevare alcuna risorsa dalla voce di spesa dedicata ai coniugi per poi assegnarla ai civilmente uniti. Discorsi ovviamente oziosi spianati dalla forza dell’ideologia gender. Qualcuno infine potrebbe obiettare che attaccare la Cirinnà sul versante economico è una strategia remissiva, di retroguardia, dato che il vero problema è di carattere morale, sociale e giuridico. Vero, verissimo, ma il portafogli di certi italiani è più profondo del loro cuore.