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NO TAV

Una galleria non vale una vita

Luca Abbà è in coma dopo essere precipitato da un traliccio in Val di Susa. Come si fa a sprecare la vita solo per impedire un buco nella roccia?

Editoriali 29_02_2012
Luca Abbà

 

La vicenda di Luca Abbà è assurda. Luca è in coma dopo essere precipitato, lunedì, da un traliccio piantato in quella Val di Susa che oramai è stata trasformata nell’ultima trincea. Vi era salito per gridare al mondo una protesta non negoziabile: no a un treno superveloce... Una vita buttata via per impedire un buco nella roccia.

Luca infatti è un irriducibile, un simbolo vivente del "movimento". Lo conoscono persino all’estero. Ha compiuto scelte radicali di vita in obbedienza a un rifiuto netto delle "menzogne" che lo circondano. In nome di una verità alternativa, si è fatto guerrigliero del disagio, diventando un nobile sociopatico. Militante, guerriero, soldato politico, jihadista disadattato, dei "No TAV" Luca è leader storico e capo carismatico. Trascina le folle da profeta e le folle lo seguono messianicamente. Non si ferma davanti a niente e a nessuno. Su quella strana croce postmoderna nelle cui braccia scorre l’alta tensione che è vita e assieme morte ci si è arrampicato per sfida e per passione, per amore e per dolore. Osannato dai suoi, temuto dagli avversari, tallonato dai celerini, la sua volontà onnipotente è un’impotenza conclamata. Addirittura prevista, annunciata, confessata. Nessuna anarchia riesce infatti a battere mai "lo Stato", ma il brivido di un attimo di utopia vale tutto. E la vita si può allora sprecare… per un traforo di montagna.

Corsaro, hacker, gladiatore, giustiziere smascherato, per Luca l’idea è tutto e l’ideale una fede. A gente come lui fanno ribrezzo i piccoli borghesi e i mendicanti di briciole alle mense dei potenti, i pusillanimi e le Sinistre in abito grigio. Tipi come lui vivono come l’ultimo dei mohicani, all’addiaccio per definizione, in marcia per missione, alla giornata per vocazione. Ma come si fa a giocarsi tutto per la galleria di un treno?

Il movimento adesso urla più che piangere quello che considera il suo martire, il suo eroe. Nani al suo confronto, la truppa dei gregari orfani di tanto capo sta già approfittando della disgrazia per seminar soqquadro, forte solo dell’impunità che la massa anonima e indistinta garantisce. Perché sull’opportunità e la praticità della TAV si può legittimamente avere idee diverse, e difatti anche La Bussola Quotidiana - che tiene come pochi alle cose imprescindibili quando imprescindibili lo sono davvero - ha dato voce tanto ai "sì" quanto ai "no"; ma che per il "movimento" i treni superveloci siano solo una scusa è evidente anche a un cieco.

Luca, l’antagonista per eccellenza, giace adesso in un letto di ospedale sospeso tra vita e la morte. Ha 37 anni, niente per gli standard della vita media a cui la medicina ci ha abituati. La vita ce l’avrebbe ancora tutta davanti, il suo meglio potrebbe ancora venire. Ma quei suoi 37 anni incompiuti, sospesi, enigmatici Luca ha già scelto di giocarseli tutti in un solo momento. Appena prima di precipitare da lassù come un angelo spiumato caduto in volo aveva minacciato tutti, dal Padreterno ai poliziotti, dicendo che il gesto estremo avrebbe pure avuto il coraggio di compierlo da sé: che se cioè non lo avessero lasciato stare, si sarebbe appeso alla corrente e buonanotte ai suonatori, con quei suoi 37 anni bruciati a pesare sulla coscienza di chi sarebbe rimasto. Per un treno.

Però non ne ha avuto il tempo. Destino ha voluto che qualcosa andasse storto e Luca è caduto nel vuoto. Adesso attende a un passo dalla fine il compimento della sua avventura: una vita spesa per intero e senza ritrosie, giocata sino all’ultima goccia di sangue, data totalmente in dono. Per cosa? Per il trionfo della società degli eguali, per la riscossa degli oppressi, per la vittoria del proletariato, per la supremazia di una razza su tutte le altre, per la palingenesi della storia che tutto rinnova rimestando, ribollendo, rovistando, rivoluzionando? No. Per impedire che si trapanasse un ammasso di sassi.

Certo, per vendicatori inarrestabili come Luca il "movimento" è tutto anche quando la meta è nulla. E la protesta - oggi in Val di Susa, domani chissà dove - è il volto dell’Armageddon alla fine dei tempi. Ma quella religione resta sempre un buco nella roccia.

Offrire la vita non è uno scandalo. C’è gente che lo fa tutti i giorni, per vocazione e per mestiere, garantendo a tutti noi la nostra beata tranquillità, e ci sono altri che fanno la medesima cosa in sedicesimo ma non con trasporto minore. La questione non è infatti se dare la vita, ma il per cosa, il per chi e il come darla. Altrimenti tornano pericolosamente in circolo le assurdità del «cercar la bella morte», degli aitanti giovani del Romanticismo inglesi che si davano mercenari al primo venuto solo per il brivido di offrire il petto al piombo dei fucili, dei Gabriele d’Annunzio o dei suicidi in diretta tivù di Yukio Mishima.

Luca porta un cognome che da solo è una preghiera. Recitiamola, in cuor nostro, un secondo almeno di questa nostra odierna giornata di «maledette occupazioni» affinché a Luca sia concesso un tempo supplementare. Non perché siamo buoni - che non c’interessa -, ma perché lui abbia ancora una volta il tempo di pronunciare da sé quel suo cognome intrigante.
Giacobbe ha lottato contro l’angelo, Davide ha affrontato Golia, Abramo era disposto persino a sacrificare l’unigenito Isacco. La vita si offre per la pienezza di ciò che le dà senso, non per un buco in un sasso.