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IL LIBRO

Una fede su misura: ecco “il male più grande”

Si intitola Il male più grande, ultimo libro di don Ugo Borghello, sacerdote ricco di esperienza nella guida di laici. Sono suoi anche numerosi libri e articoli sui temi della famiglia  e dei giovani. Nel libro, don Ugo, senza sterili vene di pessimismo, va alla radice del secolarismo per proporre una via autentica di sequela di Cristo.

Cultura 08_08_2016
La copertina dl libro: Il male più grande

«I santi sono più furbi di noi: hanno capito che c’è una cascata immensa di amore gratuito, che basta desiderare e chiedere al di sopra di ogni altro desiderio». Lette queste parole, le ho inviate, via whatsapp, a mio figlio, con la firma “don Ugo”. Si tratta, infatti, di una delle perle che si trovano in un libretto agile, scorrevole, Il male più grande, recentemente pubblicato per i tipi di Fede & Cultura, che propone, in uno stile divulgativo, chiaro e piacevole, un tema spirituale affrontato con rara profondità secondo un taglio insolito: il male più grande. In controluce al grande dono della misericordia divina. L’autore: don Ugo Borghello, sacerdote ricco di esperienza nella guida di laici. Sono suoi anche numerosi libri e articoli sui temi della famiglia, dell'amore, della Risurrezione, dei problemi giovanili.

Ma, viene da chiedersi, che senso ha parlare di male a proposito di misericordia, e proprio nell’anno ad essa dedicato? Don Ugo Borghello, senza sterili vene di pessimismo, va alla radice del secolarismo attuale per proporre una via autentica di sequela di Cristo. Mostra innanzitutto che il male più grande, tra i tanti presenti nel mondo, consiste nel fraintendere il Vangelo fino a svuotarlo completamente del suo messaggio salvifico. E questo accade proprio a coloro che si impegnano a metterlo in pratica. Come? Il lettore si inoltrerà in questo libro alla scoperta delle varie forme del “fariseismo” attuale che conduce molti ad agire da cristiani senza possedere l’amore per Cristo. 

Si tratta, a seconda dei casi, di un cristianesimo legalista, formale, un po' pelagiano che si chiude nel limitato recinto di una religione priva di fede, di opere di misericordia senza misericordia e senza cuore, di un ritualismo in cui Dio è messo da parte. Ciò si può verificare in quelle anime che danno più importanza alle proprie miserie che alla misericordia di Dio, o in quelle predicazioni dove manca il vero desiderio di suscitare la santità nei peccatori. Si favorisce il male più grande anche in quelle parrocchie in cui, per accogliere tutti, si fanno prevalere le azioni sociali e una pratica esteriore all’impegno di formazione delle coscienze, o quando l’attivismo istituzionale prende il posto della sequela di Cristo. Laddove, in definitiva, si oscura lo sguardo soprannaturale. 

Il male più grande, dunque, si forma allorché viene messo al centro l’uomo con la sua volontà e la sua azione e invece Dio viene percepito lontano e incapace di incidere nella realtà. Il punto cruciale sta nella domanda: noi crediamo alle immense possibilità della grazia che apre l’anima alla figliolanza divina, alla misericordia che ci unisce nel Regno e ci fa pregustare la salvezza fin da questa vita? L’offerta di tali doni, rivolta a noi in quanto “miseri” ed immeritevoli, non esclude, anzi, implica che siamo liberi, dotati di una volontà capace di accoglierli e di ricambiare con il nostro apprezzamento e la riconoscenza di figli che ricevono la vita. 

La grazia, infatti, in quanto «puro dono del Padre, che opera in modo ontologico con l’azione dello Spirito guadagnato per noi dal Figlio crocefisso» (p. 10), fa entrare nella dinamica dell’amore intratrinitario, conduce ad amare Dio con il Suo stesso amore. Infatti, «salvezza vuol dire che l’amore in Cristo ci vale più degli altri amori» (p. 70), poiché «in Cielo ci va chi ha vissuto il cielo sulla terra. Nel Purgatorio si capirà che la vera vita è nell’amore. Meglio accorgersene ogni giorno nell’esame di coscienza, scoprendo i tanti vuoti di amore... Ma ancora in tempo per recuperare... con l’atto di contrizione. San Josemaría Escrivá ci diceva che l’atto di contrizione è il più bell’atto di amore» (p. 64). Alla santità, infatti, non si arriva se non tramite l’esercizio delle virtù e dei doni, e l’accoglienza della Croce che ci assimila a Cristo, senza sconti per nessuno. 

Don Ugo Borghello non teme di richiamare, quindi, l’esigente necessità dell’obbedienza, la quale ci preserva dalla delirante pretesa di farci dio a noi stessi, ma anche dallo spirito da schiavi che non corrisponde a quello del vero cristiano. Ma, occorre chiedersi, nel fondo del nostro essere, in realtà: «noi cosa vogliamo?». «Il peccato originale carica di assoluto altre prestazioni che ci dovrebbero ottenere immagine e riconoscimento davanti agli uomini, voltando le spalle a Dio ma senza poter fare a meno di un amore totalizzante» (p. 8). È in questo modo che nascono i nostri attaccamenti alle appartenenze a gruppi che assumono un ruolo primario nella nostra esistenza, così da trasformare il nostro cristianesimo in bisogno di consenso, mondanismo mascherato da umanitarismo, buonismo coperto sotto la maschera della falsa pietà. 

Si apre pertanto la strada ad un secolarismo che sottrae spessore alla vita cristiana. Ora, però, «se  per il proprio gruppo primario tutti sono disponibili ai più grandi sacrifici, incluso quello della vita, si dovrebbe capire che per molti che si ritengono cristiani Gesù non è l’amore cui anela anche in segreto il cuore»(p. 70). Don Ugo Borghello richiama con decisione al ritorno ad un’evangelizzazione capillare, che faccia leva sulla chiamata universale alla santità insita nel battesimo, chiara nei termini, allo scopo di dissolvere la confusione imperante. Occorre, infatti, favorire la nascita di nuclei di veri credenti, che fungano da fermento vivace in ogni realtà ecclesiale. 

La fioritura di tanti gruppi carismatici, avvenuta nell’ultimo secolo, dimostra che la proposta di scelte radicali attira un seguito sorprendente, soprattutto tra i giovani. Solo una miriade di comunità con un cuore solo e un’anima sola secondo l’autentico insegnamento del Vangelo, ad avviso dell’autore, può riportare il mondo a Cristo. Un vero cammino di santità, infatti, conduce l’anima a fare tutto ciò che Dio vuole, «perché ha fatto propria la volontà di Dio e ama tutto ciò che Dio ama» (p. 34, nota). 

Non trovo, infine, commento migliore a questo testo delle parole riportate dalla Serva di Dio Luisa Picarreta nei suoi quaderni: «Figlia mia, la mia Volontà sta in continuo incontro con la volontà della crea-tura; e come il volere umano s’incontra col mio, così riceve la luce, la santità, la fortezza, che contiene la mia Volontà; Essa sta in continuo atto di darsi alla creatura per darle la vita del cielo anticipata. Se lei mi riceve, ebbene, resta con questa vita celeste; se invece in ogni atto che fa non riceve questo Volere supremo, tutto intento, per il suo bene, a renderla felice, forte, santa, divina e come trasformata in un’aurora di luce celestiale, resta col solo suo volere umano, che la rende debole, miserabile, fangosa, e che l’accerchia con vili passioni, da far pietà. Non vedi quante anime si trascinano per debolezza di non sapersi vincere a fare il bene?» (Luisa Picarreta, Scritti, 23 luglio 1923).