Una Dacia per l'orso marsicano. E una foca per tutti
Lo struggente appello di Dacia Maraini sul Corriere della Sera a favore dell’orso marsicano mi ha commosso fino alle lacrime. Ogni stagione ha il suo animale in pericolo:prima degli orsi ci furono le tigri, i cuccioli di foca, i cani e i cavalli. Basta puntarci la telecamera sopra, scrivere articoli e insistere. L’emotività fa il resto.
Lo struggente appello di Dacia Maraini sul Corriere della Sera a favore dell’orso marsicano mi ha commosso fino alle lacrime. Poi mi sono ricordato del mio vecchio direttore spirituale, il quale mi diceva che –cito testuale- anche una mosca, inquadrata da sola, sembra Superman. Così, un documentario di due ore interamente dedicato alle sofferenze di un orso con l’artrosi (non scherzo, di questo parla la Dacia nazionale nel suo spazio fisso sul Corsera) può provocare una sollevazione popolare e scontri di piazza con la Guardia Forestale.
Nel bel film To die for (in italiano Da morire) di Gus Van Sant (1995) Nicole Kidman fa uccidere da sicari il marito Matt Dillon che ostacola, per il solo fatto di esistere, il suo progetto di diventare una star televisiva. Infatti, è convinta –a ragione- che, oggi, se non compari in televisione non esisti. Ne so qualcosa io come scrittore: fossi la Bignardi o la Littizzetto sarei sempre in classifica. Ma non basta una comparsata, io stesso ne ho fatto parecchie, anche al famosissimo Maurizio Costanzo Show. No, devi esserci sempre, in televisione (gli altri media seguono in automatico). Il principio è quello del “focus”, cioè della concentrazione su un personaggio o di un argomento. Da qui l’indignazione per l’orso sofferente, per il cane abbandonato, per il gattino in eccesso annegato col vecchio sistema del sacco nel fiume. Basta puntarci la telecamera sopra e insistere, l’emotività fa il resto.
Quel furbone di Antonio Ricci non a caso ha messo un cagnetto a scodinzolare nel suo Striscia la notizia quotidiano, facendolo sparire quando diventa adulto per sostituirlo con un altro cucciolo. E tutti i giorni manda il suo inviato a prendersi le sassate degli allevatori che non tengono gli animali comme il faut. Gli attori di Hollywood sanno benissimo che un cagnolino «ruba la scena» e quelli meglio pagati contrattano all’uopo coi registi ogni inquadratura. Nella società dello spettacolo e dell’immagine è l’emotività a comandare. Ora, com’è noto, il cervello ce l’hanno in pochi, l’emotività tutti. Ma in democrazia “tutti” è meglio di “pochi” per quelli che campano di voti. Da qui una legislazione che tiene dietro alle pulsioni di massa. Le quali, conosciuto il meccanismo, vengono indirizzate dai padroni dei media. Questi, che hanno i soldi, si comportano come i nobili ottocenteschi che riempivano i loro salotti di poeti e musicisti squattrinati, i quali portavano le “nuove idee” e le inoculavano nell’intimità alle mogli dei loro mecenati. Oggi i poeti sono scomparsi dalla scena, ma rimangono i musicisti, cioè i rockettari miliardari cresciuti più a débauche che a cultura. Il che ci riporta al nostro tema.
Ebbene, qualche anno fa, in una delle tante sessioni internazionali per il salvataggio dell’Amazzonia, i testimonial Sting, Bono, Geldof e compagnia cantante rimasero scandalizzati quando sul palco salì un capo indio yanomani abbigliato con una pelle di leopardo. Come! –esclamarono- noi siamo qui per salvarti l’ambiente amazzonico e tu hai ammazzato un esemplare protetto? Quello rispose candidamente: secondo voi, quando incontro una belva nella jungla che cosa dovrei fare? E rincalzò: voi volete che noi indios restiamo “incontaminati” nel nostro “ambiente naturale”, così da poterci osservare come reperti archeologici come si fa al museo da dietro un vetro; ma anche noi vogliamo l’acqua corrente e le case riscaldate, e aeroplani per portarci al più vicino ospedale quando ci ammaliamo.
Naturalmente, ancora oggi la salvezza dell’Amazzonia “polmone del pianeta” (balle: quella amazzonica è una minima parte delle foreste del pianeta, il quale, poi, “respira” coi mari di cui è coperto per tre quarti) è il cruccio di tanti vip dello spettacolo (e dei soliti preti ansiosi di «aprirsi alle istanze del mondo»). A costoro fare entrare anche gli indios primitivi nel ventunesimo secolo non importa affatto: perderebbero materia per i documentari. Gli animali? Un tempo quelli in pericolo di estinzione venivano salvati mettendoli negli zoo, dove ricevevano cure e cibo. Oggi la moda ideologica prescrive che li si lasci liberi di vagare nell’”ambiente”. Peccato che un’altra moda esalti il ritorno ai mestieri tradizionali (pastorizia, agricoltura, viticolura…) e al cibo bio (come la raccolta di funghi nei boschi, per esempio), spingendo i giovani disoccupati a trovarvi impiego. Contraddizione? No, è l’ideologia, bellezza.
Non l’aveva detto Marx che la realtà è contraddizione? E poi, a farci caso, ogni stagione ha il suo animale in pericolo. Ancora nel 1973 l’attore Jack Lemmon poteva vincere l’Oscar per aver mandato a quel paese un animalista nel film Salvate la tigre: a lui, depresso e sull’orlo del suicidio da vuoto esistenziale, sembrava semplicemente idiota che qualcuno a New York potesse trovare un senso alla vita nel battersi contro l’estinzione della tigre del Bengala. Ma quasi subito la palla passò a Brigitte Bardot, attrice ormai in disarmo, che trovò il modo di tornare alla ribalta puntando il dito contro la strage di cuccioli di foca nell’Artico. Il grave problema mondiale trovò il suo aedo nel folksinger Donovan, in disarmo pure lui, che vi dedicò la canzone Celia of the Seals. Poi anche la foca uscì dal focus (scusate il gioco di parole) e la chiusura degli ippodromi, causa concorrenza dei gratta-e-vinci, spostò l’attenzione sui cavalli, subito, ahimè, surclassati dall’orso e dal lupo appenninico (ma la vedetta sta sempre in guardia: la ministra Boschi è stata linciata per aver detto che ama la carne di cavallo). Vabbe’, vedremo quale sarà la prossima bestia a occupare la scena. Se volete saperlo la mia preferenza va alla foca. Che Dio la benedoca.