Una commissione "stile 11 settembre" su Trump
Dopo l’assoluzione di Donald Trump nel secondo processo di impeachment, la presidente della Camera, Nancy Pelosi, propone l’istituzione di una commissione di indagine indipendente per l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio, come quella che indagò sull'11 settembre. Facile il parallelo con il terrorismo di allora. Si delegittima metà degli elettori, mentre i licenziamenti di sostenitori di Trump aumentano.
Dopo l’assoluzione di Donald Trump nel secondo processo di impeachment (il primo nella storia per un ex presidente), la presidente della Camera, Nancy Pelosi, propone l’istituzione di una commissione di indagine indipendente per l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio. Deve essere costituita sul modello di quella che indagò sulle origine dell’attacco a New York e Washington dell’11 settembre 2001. L’obiettivo di immagine è già stato raggiunto: paragonare il 6 gennaio all’11 settembre.
“Dobbiamo conoscere la verità su quel che è accaduto”, ha detto ieri Nancy Pelosi, presentando la sua proposta di commissione. Il nuovo organismo “indagherebbe sui fatti e sulle cause” dell’assalto, “sull’interferenza nel processo di pacifica transizione del potere” e sulla “preparazione e reazione” della polizia del Campidoglio e degli altri servizi di sicurezza.
La proposta di commissione risponde, in parte, anche a una domanda posta dai Repubblicani, dopo l’assoluzione di Trump. Tutto il materiale visivo presentato al processo dagli accusatori mostra, infatti, gravi lacune nella sicurezza del Campidoglio nel giorno cruciale della certificazione del voto presidenziale. Come mai c’era così poca polizia? Perché i manifestanti più facinorosi sono stati fatti entrare? Lunedì, un gruppo di deputati repubblicani ha scritto alla Pelosi chiedendo quanto sapesse della sicurezza della sede del potere legislativo nel giorno della rivolta. I deputati lamentano anche di non essere stati consultati prima dell’avvio di una revisione sulla sicurezza del Campidoglio. La Pelosi, infatti, nelle settimane scorse aveva incaricato un generale in pensione, Russel Honoré, di condurre uno studio sulla sicurezza del parlamento americano. Secondo questo primo studio, stando a quanto riportato da Nancy Pelosi, il Congresso deve aumentare la spesa per la “sicurezza dei suoi membri e quella del Campidoglio”.
L’idea di una commissione indipendente, come quella che indagò sulle cause dell’11 settembre e le carenze mostrate dai servizi segreti (che non riuscirono a prevenire l’attacco) incontra il favore anche di diversi deputati e senatori repubblicani. Il senatore Lindsay Graham, per esempio, ha dichiarato a Fox che l’ex presidente Trump, “ha avuto un comportamento spesso sopra le righe dopo le elezioni” e quindi, “abbiamo bisogno di una commissione, stile 11 settembre, per scoprire cosa sia avvenuto e fare in modo che non accada più”.
Il fatto che una commissione di questo tipo sia approvata anche da Repubblicani insospettabili di voler passare nell’altro campo vuol dire che probabilmente non giungerà ad alcuna conclusione decisiva. Difficilmente, dopo tutti i tentativi compiuti nel corso del processo di impeachment per incastrarlo, questa commissione troverà una “pistola fumante” che incrimini Trump. Ancor più difficile che si scopra qualcosa di nuovo su una dimostrazione che ormai è stata analizzata in ogni suo aspetto (e che certamente non può essere paragonata neanche lontanamente ad un attentato terroristico). Quel che passa, già da oggi, però, è il paragone dell’11 settembre con il 6 gennaio, della minaccia del terrorismo islamico con quella del “terrorismo interno” dei supporters di Trump. Non si tratta di un parallelo inedito. Anche nel suo discorso inaugurale, il presidente Joe Biden ha implicitamente paragonato i due eventi. Questa narrazione è parte di un processo sistematico di delegittimazione della controparte. Ora il minimo comun denominatore che i Democratici chiedono per poter ancora partecipare alla vita politica è di rinnegare Trump. La nuova democrazia deve sorgere sulle macerie fumanti del trumpismo. Ma i suoi elettori?
Perché c’è un “piccolo” problema non trascurabile: almeno 74 milioni di cittadini statunitensi, pari al 48% dell’elettorato, ha votato per Donald Trump. Tutti loro come saranno convinti? Saranno tutti considerati complici di “terrorismo”? Purtroppo ci sono segnali che non fanno sperare in una prossima pacificazione. L’attrice Gina Carano, nota per l’ultima saga di Star Wars, The Mandalorian, è stata licenziata in tronco dalla Lucasfilm. In teoria la causa del licenziamento è un tweet “antisemita”. Ma a leggerlo non lo si può considerare affatto antisemita, semmai è un parallelo esagerato fra l’odio alimentato dai nazisti contro gli ebrei, prima della Shoah e l’odio che i Democratici stanno alimentando contro i sostenitori di Trump. Ma quanti paralleli esagerati e impropri dobbiamo sentire ogni giorno sulla Shoah (inclusi quelli che paragonano i morti nel Mediterraneo alle vittime dello sterminio nazista), senza che nessuno subisca conseguenze sul posto di lavoro? Gina Carano, in realtà, è stata “accusata” più volte in passato di essere una sostenitrice di Trump. Una delle critiche suona sinistramente simile a quelle dei regimi totalitari: non aver postato alcun messaggio a sostegno di Black Lives Matter. Questa è una mentalità totalitaria, dal giacobinismo francese in poi: non solo si esige obbedienza, ma si deve mostrare entusiasmo per l’ideologia dominante. Chi non mostra sufficiente entusiasmo è sospettato automaticamente di sovversione.
Il caso di Gina Carano è quello più celebre ed è finito sui giornali di tutto il mondo (con commenti tutt’altro che teneri nei confronti dell’attrice epurata), ma ci sono tanti altri “Gina Carano” meno noti, come Michael Dale, dipendente del comune di Indianapolis, licenziato nel 2018, per aver indossato il berretto Make America Great Again della campagna elettorale di Trump. E Justin Kuchera, insegnante di ginnastica in una scuola di Walled Lake, Michigan, licenziato in gennaio dopo aver postato un messaggio di Twitter a sostegno di Trump. O Dave Sunderland, impiegato in un cantiere navale di Newport News, in Virginia, licenziato a novembre per aver indossato il berretto della campagna di Trump. Questo solo per citare casi che sono balzati agli onori della cronaca, perché hanno dato origine a cause legali. Poi c'è una repressione più diretta per chiunque abbia partecipato alla dimostrazione del 6 gennaio: i dipendenti sono stati licenziati, gli imprenditori stanno subendo boicottaggi, gli autonomi hanno perso i loro clienti, tutti sono finiti sotto processo e gli studi legali, ad ogni latitudine, si rifiutano di difenderli di fronte a un giudice. Ma si parla, appunto, anche di licenziamenti di comuni impiegati, di elettori che hanno l’unica colpa di aver sostenuto apertamente uno dei due candidati nelle elezioni (libere) americane. E che ora rischiano di essere considerati alla stregua di fiancheggiatori del “terrorismo interno”.