Una Cina nascosta: le prove dei campi di rieducazione
La più grande quantità di documenti segreti del Partito Comunista Cinese, finora trapelata alla stampa, mostra al mondo il sistema di repressione messo in piedi da Pechino nello Xinjiang, regione autonoma a maggioranza uigura e musulmana. Ma dai Paesi islamici nessuna protesta. L'islamofobia è un privilegio occidentale?
La più grande quantità di documenti segreti del Partito Comunista Cinese, finora trapelata alla stampa, mostra al mondo il sistema di repressione messo in piedi da Pechino nello Xinjiang, regione autonoma a maggioranza uigura e musulmana. Da tre giorni, la diplomazia cinese si dà un gran daffare a negare quella che, ormai, è un’evidenza. Secondo la versione ufficiale di Pechino, infatti, i campi di rieducazione nello Xinjiang non esistono neppure. Le carte dello stesso PCC, rivelate grazie all’impegno dell’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), mostrano a tutti che i campi esistono e anche come funzionano.
Il pretesto della persecuzione è la religione. Gli uiguri sono a maggioranza musulmana e vengono identificati collettivamente come islamisti dal Partito. I documenti trapelati rivelano come il radicalismo religioso venga definito come un “virus” e le abitudini tradizionali degli uiguri, il loro modo di vestire, il fatto di portare la barba o di non avere l’abitudine al fumo, siano tutti “sintomi”. In alcuni documenti locali si cerca di risolvere il problema alla radice, identificando come “sintomi” della radicalizzazione le stesse caratteristiche fisiche dei uiguri, come le ciglia folte e la fronte ampia. La “malattia” deve essere “curata” all’interno dei campi di rieducazione, al fine di prevenire la sua diffusione ad altre regioni. In base a questa logica, non sono tollerate deviazioni. Anche i funzionari del Partito che non collaborano con la campagna o dissentono, sono internati. Secondo i documenti rivelati, sono almeno 12mila che hanno subito l’arresto o punizioni disciplinari umilianti.
I documenti diffusi dall’Icij rivelano la magnitudine della persecuzione. In uno di essi si parla, ad esempio, di 15mila internati in una sola settimana nel corso del 2017, nello Xinjiang meridionale. Secondo le fonti più accreditate, i campi sono circa un migliaio in tutta la regione autonoma e ci sarebbero rinchiusi da 1 a 1,8 milioni di persone, in gran parte uiguri e membri di altre minoranze. Le carte segrete del PCC confermerebbero i sospetti peggiori. Ma soprattutto forniscono informazioni preziose su come funziona la rieducazione. Il Partito spiega alle autorità locali come implementare misure di sicurezza che prevedono istruzioni per “gestire in maniera più stretta e controllare le attività degli studenti. Questo include comportamento in classe, alimentazione, tempo trascorso nel bagno, visite ai familiari”. Si scrive “studenti”, si legge “internati”, perché i principi fondamentali della loro educazione sono: “Mai permettere fughe”, “Incrementare la disciplina e punire i cattivi comportamenti”, “Promuovere il pentimento e la confessione”, “Dare la priorità allo studio del mandarino”, “Incoraggiare una vera trasformazione dello studente”, “Assicurarsi che tutti i dormitori e le classi siano video-sorvegliate e che non vi siano zone cieche”. I campi devono tenere in piedi inoltre un sistema di punteggi, da collegare a punizioni e premi. Fra i premi vi sono anche le visite dei familiari.
In un documento si legge come i funzionari locali del Partito debbano comportarsi con i figli di genitori internati. Se i figli erano all’estero, per studio o lavoro, e al loro ritorno si ritrovano con la brutta sorpresa di non avere più i genitori a piede libero, il Partito suggerisce che si deve spiegare loro che il padre e la madre non sono dei criminali, ma che il comportamento dei figli sarà importante per determinare quanto durerà il loro periodo di rieducazione. (Leggasi: i genitori sono tenuti in ostaggio, il figlio, dopo il suo viaggio all’estero, deve dimostrare lealtà se li vuole rivedere). Il Partito suggerisce, inoltre, ai funzionari locali di dire al figlio di genitori internati che, per questi ultimi, è un onore essere internati e che si deve essere grati al Partito per la sua opera di rieducazione ideologica. Ovviamente, il primo obiettivo di questi colloqui è impedire che il giovane diffonda notizie sulla sua famiglia, via social network. Impedirlo con le buone, o con le cattive (i genitori sono nelle mani del Partito).
Alla fine, come tutti i sistemi repressivi, anche la Cina ha prima di tutto la necessità di nascondere quel che fa al suo interno. Questi documenti sono una piccola picconata al suo sistema di segretezza. Dalla comunità internazionale, si levano le proteste dei soli Stati Uniti, seguite da sanzioni. Quel che fa (o dovrebbe fare) più scandalo, è però la mancanza di reazione dei Paesi musulmani. Attentissimi a scovare ogni minima traccia di “islamofobia” nelle nazioni occidentali, non protestano per difendere gli uiguri, che pure sono a stragrande maggioranza musulmani e vengono perseguitati anche solo sulla base di pregiudizi. Anzi, il principe saudita Mohammed bin Salman, giunse a difendere la politica di internamento degli uiguri, quando incontrò a febbraio Xi Jinping