Una chiesa, un vescovo, un altare: la verità sui primi cristiani
Le testimonianze antiche ci parlano di un unico culto pubblico in ogni città, presieduto dal vescovo, in un edificio sacro, esclusivamente dedicato a questo scopo. Nessuna “chiesa domestica”, quindi, ma un’unica, ampia chiesa per celebrare l’Eucaristia.

La chiusura dell’articolo di domenica scorsa necessita di un maggiore approfondimento. A dispetto di una concezione diffusa, anche in ambito accademico, del cristianesimo primitivo come di una rete di piccole chiese domestiche che celebravano l’Eucaristia in un modesto contesto familiare, non istituzionalizzato, o addirittura clandestinamente nelle catacombe, in ristretti gruppi di “fedelissimi”, le testimonianze antiche ci parlano invece di un unico culto pubblico in ogni città, presieduto dal vescovo, in un edificio sacro, interamente ed esclusivamente dedicato a questo scopo.
La Chiesa aveva una struttura marcatamente episcopale e perciò “centralizzata”: una chiesa, un vescovo, un altare. E tutto alla luce del sole, letteralmente: «E nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme in un unico luogo, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, finché il tempo consente» (Giustino, Apologia I, 67, 3). Siamo intorno al 150 d.C., e San Giustino testimonia che i cristiani, sia che risiedano tra le mura della città sia nelle campagne circostanti, si ritrovano insieme in un unico luogo (ὲπὶ τὸ αὑτό), stessa espressione che ritroviamo in Atti 2, 1, ad indicare la fondamentale struttura della Chiesa radunata insieme in un unico luogo, con gli Apostoli o i loro successori.
Bisogna ricordare che le due Apologie di Giustino sono un testo di destinazione pubblica, che si prefissava di far conoscere la religione cristiana alle autorità romane, per difendersi da fantasiose calunnie che potevano costare discriminazione e persecuzione. Quando perciò Giustino fa sapere che i cristiani si ritrovavano tutti «insieme in un unico luogo», e non sparsi in diverse case, sta indicando la norma comune osservata dai cristiani, probabilmente per dissipare il sospetto di riunioni clandestine e sospette. Giustino intende rassicurare le autorità che queste riunioni sono “pubbliche”, nel senso che radunano tutti i cristiani di una città e del suo suburbio in uno stesso luogo, e sono presiedute da uomini notori, ossia i vescovi.
Questa unità è quanto traspare anche dalle lettere di Sant’Ignazio di Antiochia ai cristiani di Efeso, Smirne, Filadelfia, etc.: in tutte queste città esiste una sola comunità, riunita attorno al proprio vescovo per l’Eucaristia. La Chiesa antica non sembra affatto volersi discostare su questo punto dalla tradizione ebraica: un solo Tempio, un solo altare, un solo Sommo Sacerdote. Anche per quanto riguarda le sinagoghe sembra permanere il principio di una sola sinagoga per città, nella quale si radunavano tutti gli ebrei della zona. I primi cristiani erano consapevoli che la rivelazione dell’Uomo-Dio non solo non indeboliva, ma perfino rafforzava l’importanza di realizzare ed esprimere l’unità del gregge sotto un solo pastore. Celebrazioni indipendenti certo esistevano, ma erano quelle degli scismatici, che erigevano i loro altari e i loro luoghi di culto, in rottura con il vescovo legittimo.
Così come erano consapevoli della propria vocazione ad essere luce del mondo, a costituire il nuovo Israele, il popolo di Dio nel quale sono chiamati ad entrare tutti gli uomini, tramite la professione della fede e la rigenerazione battesimale; un popolo sacerdotale, che deve dare gloria a Dio da ogni angolo della terra, e rendergli testimonianza davanti ad ogni creatura. Caratteristiche che mal si conciliano con l’idea di una rete di chiese domestiche, di liturgie modeste e clandestine.
Monsignor Stefan Heid si sofferma, tra l’altro, sul ruolo dei presbiteri e dei diaconi della Chiesa di Roma del III secolo, nella liturgia nel giorno del Signore. A presiedere l’Eucaristia, unica celebrazione per i cristiani della città e del suburbio, era il Papa, in quanto vescovo di Roma. I presbiteri, all’epoca, non esercitavano il ministero “in proprio”: non erano mandati in altre chiese per la celebrazione, tanto meno nelle pretese “chiese domestiche”. I presbiteri erano la corona del vescovo che assistevano nell’unica celebrazione all’unico altare; le pievi e ancor più le parrocchie sarebbero sorte molto più tardi, ovviamente sempre sotto l’autorità del vescovo.
Ai sette diaconi della Chiesa romana, era invece affidato il ministero di trasportare, appena terminata la liturgia, il fermentum in zone più periferiche, in oratori di proprietà della Chiesa di Roma, dove si trovavano altri presbiteri; ministero che ben presto condivisero con gli accoliti, a causa della crescita del numero dei fedeli. In questi luoghi periferici, si riunivano quanti non erano potuti intervenire alla Messa del vescovo, ma, pur con la presenza del presbitero, non veniva celebrata l’Eucaristia. Sarà solo più tardi, nel V secolo, che i presbiteri verranno autorizzati a celebrare in modo indipendente all’interno della città (e del suburbio). Questi oratori non avevano un altare proprio, per la ragione che in essi non veniva celebrata l’Eucaristia. Contrariamente a quanto si sostiene comunemente, le chiese titolari di Roma non sorsero dalle “chiese domestiche”, né erano luoghi in cui i presbiteri, cui apparteneva il titolo, potevano celebrare l’Eucaristia. Come detto, fino al V secolo, ordinariamente era il solo vescovo a presiedere l’unica celebrazione eucaristica della città. Nemmeno le chiese dedicate ai martiri erano rette da presbiteri che celebrassero autonomamente, ma erano invece “stazioni liturgiche” per ospitare il vescovo che veniva a celebrarvi, “accompagnato” dall’altare.
Anche una carrellata delle fonti relative alla chiesa di Alessandria appare confermare la stessa realtà: un vescovo, una chiesa, un altare, un’Eucaristia. Negli Stromata, per esempio, Clemente Alessandrino parla dell’«altare che è qui con noi» (7,6,31,8), al singolare, in opposizione ai molti altari dei pagani. E anche ad Alessandria, ai numerosi presbiteri fu permesso di presiedere l’Eucaristia, senza la presenza del vescovo, solo a partire dal V secolo.
Tutto ciò significa che, per oltre quattro secoli, ogni città conosceva un’unica celebrazione domenicale, presieduta dal vescovo, assistito dai presbiteri: nessuna rete di “liturgie domestiche” clandestine, ma un’unica, grande, solenne celebrazione; nessuna “chiesa domestica”, ma un’unica, ampia chiesa con altare, nella quale il solo vescovo presiedeva l’Eucaristia.
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