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MADRID

Una cappella molto contemporanea e poco sacra

Nella cattedrale dell’Almudena sarà allestita una cappella penitenziale dedicata a San Giovanni Paolo II. Come tanti altri esempi attuali, la simbologia del progetto va spiegata, mentre la bellezza scaturita dalla fede nel corso dei secoli parla da sé. Succede ogni volta che il contemporaneo prevale sull’eterno.

Cultura 20_07_2022

È di questi giorni l’annuncio dei lavori per l’allestimento di una cappella dedicata a San Giovanni Paolo II all’interno della cattedrale dell’Almudena a Madrid, consacrata nel 1993 proprio dal santo pontefice. Ma la sventura dei santi di recente canonizzazione è che si ritrovano venerati in luoghi di culto improbabili.  La costruzione della cattedrale ebbe inizio poco più di un secolo prima, nel 1883. Il progetto si va dunque a innestare in uno spazio già esistente, non in maniera organica ma costituendo una sorta di corpo estraneo.

Curioso paradosso, dal momento che lo stile neogotico degli interni della cattedrale si pone invece in continuità con la storia precedente. Certo i revival sono sempre oggetto di critiche, ma non si può negare che presentino caratteri peculiari, per esempio le decorazioni della volta, opera dell’artista José Luis Galicia, che inseriscono organicamente elementi contemporanei nelle forme antiche. O valga per tutti l’esempio barcellonese di Antoni Gaudí, forse uno dei pochi a unire sapientemente antico e moderno poiché costruendo la Sagrada Familia non cercava l’originalità, bensì la spiritualità.



Stando al progetto, la cappella esistente sarà rivestita di legno, con forme essenziali e una simbologia complessa, tale da necessitare di spiegazioni come sempre più spesso accade per la recente edilizia di culto compresa solo dal costruttore e dal committente. La cappella prescelta, accanto alla sacrestia maggiore, sarà quindi ricoperta da «1.115 metri di legno di cedro, che», si legge nel sito, «ricorda l’impegno della Chiesa per il creato e la passione di Karol Wojtyla per boschi e montagne». C’è poi una roccia di marmo nero marquina, che «ricorda il primato di Pietro e la continuità apostolica».  Da essa parte una panca di pietra, «in forma di barca, simbolo della Chiesa. Sulla prua è presente un cero: è il cero pasquale, simbolo di Cristo risorto». Dal soffitto pendono tre lampade che «alludono alla Santissima Trinità». Tre portali di legno lasciano trasparire la cappella originaria: «è la Chiesa in marcia, nella tradizione e vibrantemente attuale». Dietro la foto di San Giovanni Paolo II si apre poi un confessionale, essendo una cappella penitenziale – il che spiegherebbe l’assenza di un altare. Il sito del progetto spiega che la cappella non è solo penitenziale, «ma anche pellegrina, evocando il papa viaggiatore e la vita cristiana come cammino». Il tutto alla modica cifra di 200.000 euro (nel sito vi è anche l’iban per contribuire), inizialmente sostenuti dai fondi del capitolo della cattedrale. Il costruttore – lo studio di architettura Cano y Escario – dovrà pur mangiare e la qualità si paga, ma non a prezzo di una schizofrenia visiva.

Interventi non sempre graduali ci sono sempre stati, basti pensare agli altari barocchi piazzati con poca discrezione in chiese romaniche, ma neanche lontanamente paragonabili alle astrusità visibili da qualche decennio a questa parte. E a dirla tutta, il vero problema non è neanche il contrasto tra l’edificio esistente e il nuovo allestimento. Se anche fosse spostato altrove, resterebbe comunque inadeguato rispetto alla sua funzione: più che un luogo di culto cattolico ricorda una sauna svedese. Vi si respira molto contemporaneo e poco sacro.

Certo, la costruenda cappella penitenziale madrilena non è neanche tra i progetti più "futuristici" visti e realizzati negli ultimi decenni (per esempio le “Vele” di Tor Tre Teste a Roma o il “Cubo” di Foligno), ma è l’ormai “ordinaria stravaganza” che merita qualche riflessione. La multiforme creatività postconciliare pare infatti avere quale unico comune denominatore quello di marcare le distanze col passato, come a voler fare «nuove tutte le cose» (Ap 21,5) – anche se, stando al testo biblico, l’architettura della Gerusalemme celeste promette qualcosa di meglio.
È tuttavia doveroso spezzare una lancia in favore degli architetti, spesso illustri professionisti, che operano secondo le proprie competenze e il loro stile, e che potrebbero anche non conoscere la liturgia cattolica. Ma la committenza ecclesiastica? Mai come a partire dal messaggio agli artisti del Concilio Vaticano II il magistero ha espresso l’importanza del connubio tra arte e fede. E mai come da allora i risultati non sembrano parlare al cuore, poiché chiese e cappelle recenti somigliano piuttosto a opere d’arte contemporanea in cui – per caso – si celebrano anche i sacramenti.

Converrà porsi qualche domanda, almeno pensando alle folle tuttora attratte, non più dalla fede, ma almeno dalla bellezza che la fede ha generato nel corso dei secoli. Probabilmente gran parte dei visitatori che affollano basiliche e cattedrali non sono mossi da chissà quale fervore religioso, né da competenze artistiche, eppure non possono trattenere lo stupore. Ricordo ancora il “boato” di un gruppo di turisti stranieri colti da ammirazione all’ingresso del duomo di Siena. Difficilmente accadrebbe lo stesso in una qualsiasi delle moderne “aule liturgiche” (come si è soliti definirle).
Il discorso è infatti più ampio e riporta all’annosa questione della pur proclamata continuità tra prima e dopo il Vaticano II cui si contrappone una prassi che sembra voler smentire quanto affermato a parole. Splendidi paramenti antichi (e a costo zero, essendo ereditati!) giacciono negli armadi o in qualche museo diocesano, sostituiti da casule seriali più che feriali. Nelle nuove chiese e negli “adeguamenti” di quelle antiche, nella prassi liturgica, e in molti altri aspetti apparentemente esteriori, si è assistito a una decisa volontà di rottura. La rottura frequentemente è stata anche fisica, portando alla demolizione di balaustre e pregevoli altari colpevoli soltanto di essere “preconciliari”.

È un discorso passatista? Lo sarebbe se cercassimo le forme antiche in quanto tali. Si tratta piuttosto di poter intravedere attraverso i vari stili il volto dell’eterno, che in troppe chiese attuali sembra piuttosto cedere il posto a un eterno presente (che domani sarà già passato di moda).
Qualsiasi cosa è accetta purché rompa con il passato anche recente, persino a costo di risultare incomprensibili. Un tempo l’arte sacra permetteva agli analfabeti di imparare ciò che non avrebbero capito con la parola scritta. Adesso, invece, c’è bisogno di leggere una guida per capire l’arte sacra.