«Un trascinatore, mi chiedeva quanti giocatori andavano a Messa»
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«Un giorno Berlusconi mi chiese: “Quanti vengono a Messa? E chi?”. Non gli dissi i nomi, mi sembrava un’interferenza nel loro privato. Ma gli risposi che ci andavano più giocatori della media italiana». Berlusconi e il vescovo Massimo Camisasca, che lui scelse come cappellano del Milan di Sacchi. «Gli riconosco il merito di aver agito da padre per salvare Eluana, penso che adesso sia tra le braccia di Dio».
«Dov’è adesso...? Penso che sia tra le braccia di Dio».
Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia e Guastalla, anima di Comunione e Liberazione, già superiore della Fraternità San Carlo. Fra i suoi titoli manca quello più inaspettato: cappellano del Milan degli invincibili…
Ho conosciuto Silvio Berlusconi nel 1986 entrando come cappellano del Milan…
Come andò?
Abitavo a Roma, mi arriva una lettera di un tale che mi chiedeva se accettavo di diventare cappellano del Milan appena rilevato dall’imprenditore Silvio Berlusconi. Era Adriano Galliani.
La ingaggiò Galliani o Berlusconi?
Berlusconi.
Perché chiese a lei?
È una storia un po’ intricata…
Sentiamo…
Allora, in quegli anni durante l’estate vivevo sul Lago Maggiore e ogni settimana tra luglio e agosto facevamo alcuni incontri con quelli di Gioventù Studentesca. Veniva anche un cugino di Berlusconi e qualche volta partecipava anche Paolo Berlusconi, suo fratello (e futuro editore del Giornale ndr.).
Quindi c’è il loro zampino, dietro?
Da quello che seppi successivamente a fargli il mio nome fu suo cugino Giancarlo Foscale (poi patron del rinato teatro Manzoni e amministratore delegato della Standa ndr.). Berlusconi incaricò Galliani e io incominciai venendo da Roma tutti i sabati in cui il Milan giocava in casa.
Il primo incontro?
Ebbi con lui fu un’udienza a Roma con san Giovanni Paolo II, c’era ancora Liedholm sulla panchina del Milan, poco dopo arrivò Sacchi.
Colpisce la tempistica di affidare la squadra a una guida spirituale: prim’ancora di cambiare allenatore pensò al cappellano?
Era convinto che anche questa figura potesse essere determinante per la serenità dei calciatori.
Ma si trattava di dare un servizio “religioso” o c’era qualcosa di più?
Il compito che avevo era quello della celebrazione della Messa il sabato pomeriggio quando il Milan giocava in casa alla domenica, poi da quel momento in quattro anni si crearono tanti rapporti e tante amicizie. Sull’aereo del Milan quando andò a Barcellona e a Vienna e vinse le due Coppe dei Campioni vollero anche me.
Interferenze?
Un giorno Berlusconi mi chiese: «Quanti vengono a Messa? E chi?».
E lei?
Non gi dissi i nomi, mi sembrava un’interferenza nel loro privato. Ma gli risposi che ci andavano più giocatori della media italiana. Era vero: tanti giocatori del Milan di Sacchi partecipavano alla Messa.
Perché era interessato a sapere chi andava a Messa?
Anzitutto perché riteneva un dovere offrirla ai suoi giocatori e voleva capire che risposta aveva, Berlusconi non aveva finalità altre, era sincero. E poi era convinto che la Messa vissuta cristianamente potesse dare serenità e normalità a una squadra che era sul tetto del mondo. Ne percepiva il valore umano e ultraterreno.
Vi vedevate spesso?
Ci fu una tre giorni di ritiro a Milanello: Berlusconi volle tutto lo staff, io mi misi in ultima fila pensando di non intervenire, ma alla fine, dopo gli interventi di tutti, mi fa: «Don Camisasca venga qua e ci dica qualcosa».
E lei?
Dopo tanti anni non ricordo che cosa dissi, ma fu un segno di accoglienza e di rispetto della bella realtà che vivevo. Sembrava un papà che si interessa di tutti: arrivava con l’elicottero quando il Milan giocava in casa, spesso era col figlio Piersilvio che era un bambino e si interessava di tutti: di come era rasato il prato, dei fiori, dell’alimentazione, degli orari, parlava con Sacchi privatamente e con i giocatori che Sacchi gli segnalava. E poi si fermava con ognuno di noi dello staff.
È vero che imponeva la sua visione?
Era un trascinatore, sapeva mettere le persone a loro agio, era ottimista e sorridente. Certo, metteva il naso dappertutto e questo a qualcuno poteva creare qualche problema, ma il suo ottimismo e la sua simpatia superavano tutte le incomprensioni.
Parlaste mai di questioni spirituali?
Solo una volta mi chiese una cosa.
E che cosa vi diceste?
Segreto confessionale… (ride)
Al di là dell’esperienza del Milan dove lo ha potuto conoscere da vicino, che giudizio dà dell’uomo politico?
Anzitutto ha avuto il merito di coagulare centinaia di artisti, penso al contributo che ha dato alla rinascita del Teatro Manzoni di Milano, ha creato giornali, ha affidato alla figlia la Mondadori, ha influito sul Paese e ha cercato un incontro tra il mondo liberale e cattolico. Purtroppo, questo incontro è durato poco. D’altro lato però, hanno pesato certe storture della tv commerciale.
Con i cattolici il rapporto non è sempre stato facile…
Ma gli riconosco di aver provato, più sfruttando il suo sentimento paterno che i suoi convincimenti politici, a salvare la vita di Eluana Englaro. Penso che di questo gli si debba riconoscere un merito importante.
Adesso dove sarà?
Io penso che sia tra le braccia di Dio. E oggi ho celebrato la Messa per lui.