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Verità e unità nella Chiesa

Un messaggio dall’Oriente ai cattolici occidentali

Nella storia dei rapporti tra Oriente e Occidente cristiano, molte incomprensioni sono nate per le rispettive peculiarità di lingua e mentalità. Per custodire l’unità, dove c’è, e recuperarla, dove manca, servono due risposte: la correzione nell’obbedienza; l’ermeneutica della continuità. Da un contributo di Maxim Grigorieff per One Peter Five.

Ecclesia 18_08_2024
Santi Pietro e Paolo

Il testo che presentiamo è una traduzione parziale di due articoli di Maxim Grigorieff, Pope Benedict IX was “a Devil from Hell” e When the Pope Communes and Colludes with Heretics..., entrambi pubblicati su Onepeterfive.com. Grigorieff è nato in Siberia da una famiglia ortodossa russa e si è convertito alla fede cattolica nel 2014, dopo aver approfondito la storia della Chiesa e la lettura dei Padri della Chiesa. Attualmente è seminarista della Chiesa cattolica russa di rito bizantino di San Pietroburgo.

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Tutti conosciamo e apprezziamo i Concili Lateranensi, il Secondo Concilio di Lione e il Concilio di Ferrara-Firenze non solo come sinodi dei vescovi, ma come concili ecumenici affini al Vaticano I. Tuttavia, bisogna comprendere che essi furono anche affini al Vaticano II.
Cercando di stabilire l'unità tra Oriente e Occidente, i vescovi, tra i quali quelli Latini avevano una maggiore influenza, elaborarono formulazioni che non sempre tenevano conto delle peculiarità della lingua e della mentalità greca, finendo così per creare scandali e dare motivi per dubitare dell'ortodossia della Chiesa romana.

Nel difendere la verità del Filioque, i Papi e i Concili hanno costretto i Greci a usare tali formule nella loro lingua, nella quale però suonavano piuttosto male e in modo ambiguo, quasi ricordassero antiche eresie. Mentre difendevano la transustanziazione in termini di forma e materia, non capivano l'antico concetto orientale del momento esatto in cui il pane e il vino si trasformano nel Corpo e nel Sangue di Cristo, momento che arriva con certezza dopo che le parole del Signore (Dominica) vengono pronunciate dal celebrante nelle liturgie bizantine, anche se mai prima o senza queste parole. Papa Eugenio IV chiamava i patriarchi orientali addirittura suoi affittuari o vicari! Naturalmente, tutti questi fattori non aiutavano la causa dell'unità e della comprensione reciproca. Cosa fecero i nostri eroi? Le risposte furono due.

Risposta 1. Il ruolo paolino della correzione nell'obbedienza

Al Concilio di Ferrara-Firenze c'erano alcuni focosi unitariani che, a differenza degli altri loro fratelli Greci, avrebbero discusso e litigato con i Latini fino alla morte e fino alla fine. Costoro non abbandonarono il Concilio, né firmarono l'unione senza ragioni, per gettarsi in un altro scisma alla prima occasione. Non divennero dei traditori, ma non erano nemmeno dei semplici tirapiedi del Papa. Il metropolita Isidoro di Kiev e Bessarione di Nicea difesero al meglio la tradizione orientale di fronte ai Latini, litigando persino con il Papa! Ne risultò che le formulazioni del Concilio non mostrarono alcuna condanna della liturgia orientale, sebbene la formulazione fosse ancora imperfetta e bisognosa di ulteriori chiarimenti.

È stato San Giovanni Paolo II a fornire nel 1995, mezzo millennio dopo il Concilio, un tale chiarimento sul tema del Filioque. Eppure non era perfetto, per non parlare di altre questioni lasciate in sospeso fino al Vaticano II o all'introduzione del Codice di Diritto Canonico per le Chiese Orientali, o semplicemente lasciate in sospeso. Credo che se ci fossero stati più cattolici orientali od ortodossi orientali storicamente interessati a mantenere il contatto con Roma, ad andare a Roma, a bombardarla di dubbi e correzioni più o meno esplicite, i chiarimenti necessari sarebbero arrivati prima, così come il ripristino della giustizia verso i riti e le Chiese orientali all'interno della Chiesa cattolica. Se solo la maggioranza dei Greci non se ne fosse andata. In altre parole, milioni di cattolici orientali non sarebbero stati così soli e oppressi dai Latini, se i loro fratelli e sorelle non li avessero abbandonati, rimanendo fuori dalla Chiesa cattolica. (…)

Analogamente, sarebbe più facile se i gruppi della Messa tradizionale latina e i tradizionalisti in generale raccogliessero i loro sforzi in comunione con Roma piuttosto che essere messi gli uni contro gli altri. Credo anche che ogni lavoro accademico e petizione che poggi su una buona base di obbedienza e carità, possa aiutare la causa della tradizione latina.
Bisogna ammettere che la presenza di coloro che si trovano in chiese e istituzioni ecclesiastiche pienamente o parzialmente scismatiche ha in qualche misura trattenuto Roma dallo spingersi troppo in là nell'abuso del suo potere e dal commettere errori banali: il dolore della perdita e la pena della separazione sono in grado di far passare la sbornia ad un uomo in bianco. Tuttavia, come dimostra l'approccio di Francesco alla FSSPX e alla celebrazione legale nell'usus antiquior, un ricatto scismatico è raramente una strategia sostenibile, per non parlare di tutti i pericoli per la salvezza eterna delle persone coinvolte. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Ci siamo già passati con i riti orientali nel cattolicesimo barocco post-tridentino in Occidente e ci siamo abituati alla segregazione.

Risposta 2. “Ermeneutica della continuità” per l'esportazione e l'uso domestico

L'eroe del Concilio che si svolse prima di quello di Firenze, il patriarca di Costantinopoli Giovanni XI Bekkos, era un così convinto sostenitore dell'unità con Roma che non rinunciò al cattolicesimo allorché la situazione politica cambiò e la maggior parte dei suoi confratelli cadde nuovamente in odio ai Latini. Scelse la fedeltà, condannandosi a una morte quasi da martire nella prigione di un monastero in Grecia. Non solo non rinunciò al Secondo Concilio di Lione, ma continuò a scrivere lettere ai suoi confratelli in difesa della santa unione. Nella sua lettera principale sulla questione (Apologia), descrive con onestà l'imperfezione della lingua e della teologia latina, ma ne difende anche l'essenziale ortodossia, e quindi la necessità incondizionata dell'unità e l'inaccettabilità di qualsiasi scisma. E lo fece utilizzando molti riferimenti a Padri della Chiesa come Basilio e Gregorio Magno, trovando nella storia antica del cristianesimo la forza dell'evidenza.

L'esempio di Giovanni Bekkos – questo coraggioso campione dell'unica vera fede, che anche prima dell'esilio non guardava ai ranghi, ma, ad esempio, difendeva i condannati ingiustamente, i poveri e gli oppressi dallo Stato e non cadde nel momento della disgrazia – può essere d'ispirazione per tutti questi cattolici del nostro tempo che seguono la linea di Papa Benedetto XVI in difesa del Vaticano II e della tradizione sia in casa propria che di fronte al mondo imparziale. L'ermeneutica della continuità contiene un antidoto alla teologia della rottura, all'interpretazione a priori eretica del Concilio Vaticano II - Sinodo che, nonostante tutti i problemi legati al linguaggio, appartiene al magistero autentico e ortodosso della Chiesa, nel quale tutti dobbiamo rimanere e crescere. Anche se, come sempre nella Chiesa, su questo Concilio si deve fare sempre più chiarezza per una più approfondita comprensione dei misteri di Dio, per una Sua più profonda glorificazione e adorazione da parte del popolo di Dio e per il bene di tutte le anime.

San Massimo il Confessore difese i Latini dalle accuse di eresia nel VII secolo, così come Giovanni Bekkos e altri Uniati fecero e fanno tuttora nel XIII, XV e XVI secolo, fino al momento attuale. Spiegò l'ortodossia del Filioque romano ai Greci e disse: «Bisogna tenere presente che essi [i Latini] non possono esprimere il loro significato in una lingua e in un idioma a loro estranei con la stessa precisione con cui lo fanno nella loro lingua madre, più di quanto possiamo fare noi». San Massimo (che fu lui stesso bruciato per l'ortodossia dagli eretici monoteliti che erano al potere), sapeva esattamente quale Chiesa e quale Vescovo sono infallibili nei dogmi cristiani [ossia la Chiesa e il vescovo di Roma, ndt]. (...)

Un arcivescovo ortodosso russo, Dimitri di Rostov, nel XVII secolo creò un testo su San Massimo, in cui offriva un presunto dialogo del santo con i messaggeri reali in merito alla sua sottomissione al patriarca eretico Pirro:

«Ma cosa farai, chiesero a San Massimo i messaggeri dell'Imperatore, quando i Romani si uniranno ai Bizantini? Ieri sono venuti da Roma due apocrisiari e domani, domenica, si riuniranno con il Patriarca dei Misteri purissimi».
Il monaco rispose: «Se tutto l'universo si mettesse in comunione con il patriarca, io non mi metterò in comunione con lui. So infatti dagli scritti del santo apostolo Paolo che lo Spirito Santo anatematizzerebbe persino gli angeli se predicassero il Vangelo in modo diverso, introducendo qualcosa di nuovo (Gal 1, 8)».

Ovviamente Roma non si unì a nessun eretico, né questo dialogo avvenne mai. Ma in esso c'è una verità da meditare, anche se non storica: se il Papa dogmaticamente infallibile nominasse alcuni legati che peccano contro la fede e creano scandalo, o se addirittura – Dio non voglia – si mettesse in comunione con alcuni eretici materiali, bisogna rifuggire da entrambe le tentazioni: quella di partecipare allo stesso peccato e quella di commetterne un altro, cioè di entrare in uno scisma.