Un ignaro al GayPride, cornuto e mazziato dalla Rai
Nel 2000, un ignaro signore viene ripreso in mezzo al Gay Pride e trasmesso sulla Rai. Cita in giudizio la Tv nazionale e vince la causa. Ma la Cassazione ribalta la sentenza. Ora deve pagare 13mila euro di tasca sua.
Notizia del 30 ottobre 2013: un signore si è visto condannare dalla Cassazione a restituire i 20mila euro che aveva ottenuto come risarcimento nel primo grado di giudizio, più altri 9mila di interessi e 4mila di spese processuali.
Il fatto è questo: nel 2000, anno del grande giubileo cattolico, le associazioni di categoria avevano pensato bene di organizzare un GayPride proprio a Roma, caricando i loro variopinti, piumeggianti e più o meno vestiti e/o travestiti militanti in lustrini e bistro sui treni delle principali stazioni. La più affollata tra queste era, naturalmente, quella di Milano Centrale. Il signore di cui sopra, che doveva andare da Milano a Roma per i fatti suoi, si era visto teletrasmesso dalle reti Rai nella trasmissione «Sciuscià» condotta da Michele Santoro. La troupe stava riprendendo l’allegra e gaya brigata mentre montava sul treno e il signore in questione era evidentemente stato percepito da qualche milione di telespettatori come facente parte. Con altrettanta evidenza, l’associazione di immagini doveva essere stata inequivocabile (chissà, forse per una speciale insistenza della telecamera sulla di lui faccia…) e, magari, nei giorni successivi in tanti, tra conoscenti e amici, dovevano aver fatto qualche apprezzamento più o meno sarcastico sulla presenza del signore di cui parliamo, colto col piede sul predellino dello spumeggiante convoglio.
Così, il Nostro, stizzito, ha pensato bene di citare in giudizio la Rai per furto d’immagine. Infatti, la legge dice che non si può venire ripresi senza il proprio consenso, nemmeno da una macchina fotografica privata. L’unica eccezione consentita è il diritto di cronaca. Cioè, se sei protagonista di un evento di rilevanza mediatica o, essendo quest’ultimo affollato, fai parte della folla presente, non puoi invocare il diritto alla privacy. Epperò, nel caso di cui trattiamo, la questione era spinosa: l’evento era, sì, pubblico e di rilevanza mediatica, ma, data la sua particolare natura, al signore ricorrente spiaceva non poco esservi associato.
In soldoni, diceva: io non sono gay ma sono stato ritratto e trasmesso come se lo fossi; anzi, come un attivo militante. Il tribunale gli aveva dato ragione, condannando la Rai al risarcimento. Ma la Rai era ricorsa in appello, e i giudici di quest’ultimo avevano ribaltato la sentenza. Terzo e definitivo grado, Cassazione. Come sappiamo, la Rai l’ha avuta vinta e il Nostro dovrà restituire quanto percepito a titolo di risarcimento nonché sborsare 13mila euro di tasca sua.
Interessante la motivazione dei giudici cassazionisti, i quali hanno tenuto a sottolineare che un evento come il GayPride è in sé del tutto lecito e «privo di qualsivoglia profilo di intrinseca negatività, come invece sembra adombrare il ricorrente laddove evoca l’onore e il decoro». Morale: se tutta l’Italia o gran parte di essa ti pensa gay e addirittura pronto a salire sui camion rosa per manifestare all’universo mondo il tuo orgoglio di esserlo, che male c’è? Tu invochi il tuo essere, al contrario, una persona seria e, magari, fiera della sua eterosessualità, una persona che non ha alcuna voglia di venire confusa coram populo con gli ilari schiamazzanti in boa e piume del gayo carnevale. Be’, hai torto marcio, perché il GayPride è un evento serissimo, come una processione religiosa o un corteo sindacale. Dunque, zitto e paga.
Così, il Nostro si tiene la pubblica rappresentazione che di lui ha, sia pur involontariamente, fornito «Sciuscià». E pure a spese sue. Alle quali dovrà aggiungere quelle sostenute in tredici anni di avvocati. Come si dice nel Sud, cornuto e mazziato. Fosse ancora vivo Totò, chissà che film ci farebbe… È il Pensiero Unico Obbligatorio, bellezza!