Un esame di coscienza contro il vittimismo
Spesso ci si lamenta del fatto che i laicisti soffocano la voce dei cattolici nei media. Ma piuttosto che piangerci addosso riflettiamo sulle nostre mancanze...
Ho da tempo un sospetto. Ho l’impressione che almeno sul piano culturale nel mondo cattolico circoli un certo vittimismo. È spesso un continuo inveire contro i laicisti cattivi che emarginano i credenti soprattutto nei mass media. Io mi rifaccio alla mia esperienza, la sola cosa che conosca davvero.
È l’esperienza di uno cresciuto a cavallo tra due culture: quella laica o laicista della mia giovinezza e quella cattolica dopo aver incontrato il Vangelo. Il mio primo impegno giornalistico è consistito in dieci anni di redattore alla Stampa di Torino. Sapevano benissimo che ero cattolico e del resto ho sempre scritto quel che mi sembrava giusto nella mia prospettiva di fede. Ho avuto come direttori, un laico, forse laicista, come Alberto Ronchey e un ebreo come Arrigo Levi. Eppure non ho mai ricevuto censure, né mi hanno impedito di avanzare nella mia piccola carriera. E anzi Levi quando decisi di dimettermi dalla Stampa per andare a Milano si rammaricò molto e cercò di trattenermi.
Ho lavorato con il gruppo di Famiglia Cristiana, ho collaborato per molti anni con Avvenire e i lettori possono ricordare la rubrica “Vivaio” i cui contenuti erano manifestamente apologetici e “cattolici”. Eppure il Corriere della Sera mi contattò e mi chiese di firmare un contratto: è una collaborazione che ormai va avanti da molti anni, e non ho mai ricevuto censure o rifiuti per ciò che propongo.
All’inizio pubblicavo i miei libri per la Sei, la casa editrice dei salesiani, e le Paoline. Poi senza che lo chiedessi, sia la Mondadori che la Rizzoli mi proposero e insistettero perché pubblicassi i miei scritti “molto cattolici” per loro. Ogni settimana ricevo molte richieste per intervenire nelle Tv nazionali, ma rifiuto perché non amo molto il mezzo televisivo (e sono anche abbastanza pigro nel muovermi).
Penso a un uomo come Gianfranco Ravasi, “don” Gianfranco come lo chiamo io, siamo più o meno coetanei. Lo presentai a Famiglia Cristiana quando lui era ancora un giovane professore al Seminario minore di Milano. Oggi è diventato non solo cardinale, ma è conteso da tutti i giornali e da tutte le Tv. Ebbene anche lui non maschera certo il suo cattolicesimo.
Per esperienza so quindi che i cattolici, simpatici o no, coprono nei media una parte di lettori. Succede tuttora anche nei miei riguardi: magari i giornali non amano quel che dico ma continuano a ospitarmi volentieri perché hanno una fascia di lettori a cui interessa ciò che scrivo.
Spesso il problema dei mezzi di comunicazione è trovare dei cattolici espliciti i quali siano in grado di parlare al grande pubblico, preparati e con un carisma divulgativo. Ho invece l’impressione che la cultura cattolica sia oggi un po’ un deserto e anzi taluni si arrabbiano se li definisci scrittori “cattolici”.
Piuttosto che piangerci addosso forse dobbiamo interrogarci sulle nostre mancanze. Io posso testimoniare che su qualunque media, anche quelli più laici, si può fare un discorso cristiano senza sconti, basta solo un minimo di accortezza. Allora piuttosto che inveire contro i laicisti cattivi che soffocano la voce dei credenti, noi credenti forse dovremmo praticare la vecchia ma sempre valida pratica dell’esame di coscienza.
(testo raccolto dalla redazione e non rivisto dall’autore)