Un Congresso di Vienna per la Siria
E' la seconda volta che le grandi potenze si incontrano a Vienna per parlare di Siria. Ma stavolta potrebbe esserci anche l'Iran. E la Russia interviene come nazione belligerante. Dunque i nodi stanno venendo al pettine. Gli ortodossi siriani chiedono protezione a Mosca. I cattolici subiscono l'assedio ad Aleppo.
Può essere veramente un secondo Congresso di Vienna, per ristabilire gli equilibri nel Medio Oriente, questa volta e non nella vecchia Europa post-napoleonica. I colloqui che si terranno a Vienna, a partire dal 14 novembre, i cui lavori preparatori sono iniziati il 30 ottobre, promettono meglio dei precedenti che si svolsero due anni fa nella capitale austriaca. Ci sono elementi di novità notevoli, come l’intervento militare russo e la presenza dell’Iran, che potrebbero contribuire a sbloccare lo stallo diplomatico e porre fine al lungo conflitto civile. Ma restano anche alcune incognite, le stesse di sempre, che rischiano di affossare ancora una volta il tutto.
Prima di tutto, vediamo gli elementi che distinguono questo round negoziale dai precedenti: la presenza dell’Iran sarebbe una novità assoluta. Ma il condizionale è d'obbligo, perché il governo di Teheran non ha ancora sciolto la riserva e lo farà solo all'ultimo. Fino al mese scorso, sia gli Stati Uniti che l’Arabia Saudita si erano opposti, considerando il ruolo di Teheran, alleato di Bashar al Assad, più destabilizzante che equilibratore. L’Arabia Saudita e gli Usa non hanno mai voluto il regime sciita, perché ritengono che le dimissioni del dittatore siriano siano precondizione necessaria ad ogni accordo di pace e soprattutto perché, fino a quest’anno, era ancora aperta la questione del programma nucleare iraniano (con relative sanzioni economiche). A far da apripista alla partecipazione iraniana è stato proprio l’accordo sul programma nucleare, negoziato dagli Stati Uniti. Per il futuro si addensano nubi molto nere: Israele e Arabia Saudita temono un’eventuale atomica iraniana più di ogni altra cosa. E il fatto che la Russia, approfittando dell’accordo, abbia di nuovo annunciato la vendita all’Iran dei moderni sistemi anti-aerei S300 non contribuisce a gettare acqua sul fuoco, anzi. Tuttavia, nell’immediato, l’accordo sul nucleare di Teheran ha già permesso, negli incontri preliminari, al suo ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, di essere presente a Vienna, al fianco del suo omologo saudita Adel al Jubeir.
Perché la presenza iraniana potrebbe essere tanto importante? Perché quella siriana è essenzialmente una guerra per procura fra i due paesi leader del Golfo. L’Iran partecipa al conflitto dal 2012, in modo non dichiarato, inviando ufficiali, consiglieri, addestratori e membri delle sue forze speciali (Forze Qods) a sostegno delle truppe regolari. Oltre all’impegno diretto, l’Iran ha convinto il movimento armato Hezbollah, in Libano, a concentrare le sue operazioni in Siria, sempre a sostegno di Assad. L’Arabia Saudita ha contribuito ad armare e finanziare la resistenza al regime di Damasco, a volte da sola e in competizione con gli altri Stati sunniti, altre volte assieme a Qatar e Turchia. Un ruolo controverso quanto misterioso, quello dei sauditi, ufficialmente neutrali ma fortemente sospettati di aver plasmato la guerriglia jihadista in Siria, inclusa Al Nusrah (braca locale di Al Qaeda) e le milizie che poi diedero origine all’Isis. Un incontro al vertice fra sauditi e iraniani permetterebbe dunque di fissare le rispettive aree di influenza, coerenti con gli interessi di entrambi e porre fine alla guerra. Ad essere decisiva sarà anche la presenza, sempre sul fronte sunnita, della Turchia, che più di ogni altra nazione della regione ha contribuito al sostegno della guerriglia anti-Assad nel Nord della Siria, permettendo il passaggio e anche l’addestramento di milizie, ospitando sul proprio territorio sia il comando degli insorti, sia il suo organo politico (il Consiglio Nazionale Siriano).
Da questo punto, la presenza delle grandi potenze mondiali e delle organizzazioni internazionali e degli altri Stati regionali (come Iraq ed Egitto) è più di supporto che altro. Discorso che vale per tutti, meno che per la Russia. Che a Vienna, per la prima volta, si presenta come nazione belligerante, essendo intervenuta anche ufficialmente al fianco di Assad. Questa mossa ha permesso di cambiare lo scenario: una delle grandi potenze gioca a carte scoperte e per questo potrebbe anche esercitare maggiori pressioni sul regime di Assad, affinché possa accettare compromessi.
Ma fino a che punto Assad (e l’Iran e la Russia dietro di lui) può accettare compromessi? Il grande escluso di Vienna, assente anche se si parlerà esclusivamente del suo paese, non ha alcuna intenzione di lasciare il potere per un “periodo di transizione” come chiesto dagli Stati sunniti e dalle democrazie occidentali. In tal senso si è espresso il vice-ministro degli Esteri siriano, Faisal Mekdad, durante la sua visita in Iran. “Noi – ha dichiarato Mekdad – stiamo parlando di un dialogo nazionale in Siria, di un governo allargato e di un processo costituzionale. Non stiamo parlando di quello che viene definito un processo di transizione” che esiste “solo nei pensieri di coloro che non vivono nella realtà”. “E’ anche importante – ha aggiunto – il fatto che il popolo siriano ha confermato che non ci sono alternative alle leadership del presidente Assad. E’ stato eletto presidente dalla larga maggioranza del popolo siriano attraverso elezioni democratiche e trasparenti e tutti debbono rispettare il sistema costituzionale siriano”.
Dal canto suo, la Russia ha presentato, proprio questa settimana, la sua proposta di pace. E’ un piano di compromesso che prevede riforme costituzionali da completarsi nell’arco di 18 mesi, cui seguiranno elezioni presidenziali anticipate. Nel testo, tuttavia, non si chiarisce se, in questo periodo, Assad deve rimanere al potere o cedere il comando del Paese. Non è affatto un dettaglio di poco conto. La proposta di Mosca non esclude a priori la candidatura di Assad alle presidenziali. Mentre Usa, Turchia e Arabia saudita possono porre il veto alla sua presenza. Un altro problema, non facile da risolvere, è la presenza al tavolo negoziale delle opposizioni siriane. Chi è “legittimo” e chi “terrorista”? Fermo restando che, per il regime di Assad, tutti gli oppositori sono “terroristi”, l’Onu ha escluso tassativamente dal dialogo l’Isis e Al Nusrah. La Russia, invece, deve ancora valutare quali gruppi di opposizione accettare e quali no. E il parere di Mosca, certamente non coincide con quello di Washington. Queste difficoltà danno la sensazione del déjà vu: sono le stesse questioni che hanno fatto arenare tutti i precedenti negoziati.
Nel frattempo, la Chiesa ortodossa siriana chiede protezione a Mosca. Il patriarca siro-ortodosso di Antiochia e tutto l’Oriente, Ignazio Efrem II, arrivato in Russia per la sua prima visita (che terminerà domani, 13 novembre), ha lanciato un appello per salvare una comunità sempre più assottigliata. Ha lasciato la Siria circa un terzo della minoranza cristiana. “Alcuni sono fuggiti nei Paesi vicini e altri in Europa. Si tratta di una situazione molto allarmante. Scappano dal terrorismo, da chi prova a privarle della loro casa, da chi cerca di cambiare il loro modo di vita”, ha dichiarato il patriarca. Ha poi invitato gli “Stati Uniti e le altre potenze mondiali a fermare il flusso di finanziamenti alle organizzazioni terroristiche e gruppi estremisti”, che costringono i siriani a scappare in Europa. Mentre, per quanto riguarda Mosca, “Crediamo che l’intervento della Russia con operazioni militari porterà speranza a tutto il popolo siriano, come crediamo anche che il ruolo della Russia in Siria è un ruolo di pacificatore e l’obiettivo finale degli sforzi russi nella regione è quello di riportare la pace per tutto il popolo”. Gli risponde il patriarca di tutte le Russie, Cirillo, con un duro atto di accusa contro l’indifferenza dell’Occidente: “In Libano ho ascoltato racconti incredibili da rappresentanti di comunità tradizionalmente legate all’Occidente, ma che l’Occidente ha abbandonato a loro stesse, senza proteggerle. Per non parlare di quelle comunità che non hanno neppure legami con l’Occidente (…) Sappiamo che, per qualche altra ragione e sotto altri pretesti, ovunque vi sia discriminazione, la comunità internazionale si attiva e formula risoluzioni e dichiarazioni decisive, ma niente di tutto questo sta accadendo per proteggere i cristiani del Medio Oriente dallo sterminio”.
E la Chiesa cattolica siriana continua a patire l’assedio ad Aleppo e nelle altre città in cui si sono rifugiate le sue comunità. “Le poche risorse a disposizione non ci permettono di provvedere ai tanti bisogni dei nostri fedeli”, dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre l’arcivescovo siro-cattolico di Aleppo, monsignor Denys Antoine Chahda. Senza acqua corrente e senza elettricità, spesso con la casa distrutta dai bombardamenti (che non risparmiano neppure le chiese), la diocesi di Aleppo si è dimezzata. Su 1500 famiglie, ne sono rimaste circa 800 e, di queste, 750 ricevono aiuti dalla Chiesa. “L’inverno ad Aleppo è molto freddo e dal momento che da diversi mesi la città è senza corrente elettrica, il combustibile è l’unico modo che hanno le famiglie per riscaldarsi”, dice monsignor Chahda. “Le famiglie cristiane che sono rimaste, sono le più povere, perché chi ne aveva la possibilità ha lasciato il paese”.
I ministri degli Esteri che si incontreranno a Vienna hanno la grande responsabilità di pensare anche a loro: a chi è fuggito, a chi sta per farlo, a chi ha deciso di restare, patendo il freddo, la fame e le bombe, per quattro anni e mezzo.