Un compromesso in Ucraina: la doppia verità della Nato
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La Nato si è lasciata sfuggire l'ipotesi di un compromesso per la fine del conflitto: territori occupati alla Russia e adesione di Kiev alla Nato. Un congelamento del conflitto in stile guerra fredda e che poteva essere raggiunto prima, senza l'altissimo costo di vite umane in Ucraina.
Stian Jenssen, capo dello staff del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, ha dichiarato qualche giorno fa in una tavola rotonda che la soluzione realistica del conflitto russo-ucraino potrebbe essere un compromesso tra cessione dei territori occupati alla Russia e adesione di Kiev alla Nato.
La presa di posizione dell'alto funzionario, sebbene espressa con cautela e tra mille distinguo, ha suscitato reazioni rabbiose da parte del governo ucraino. Ma, in realtà, essa non è altro che la scoperta dell'acqua calda, o meglio ancora la rivelazione di un segreto di Pulcinella che negli ambienti diplomatici occidentali praticamente tutti conoscono e condividono, anche se pubblicamente sostengono il contrario.
Si potrebbe addirittura dire che i vertici dei governi occidentali e della Nato in questi mesi hanno già cominciato a veicolare, nemmeno tanto velatamente, una sorta di “doppia verità”. Da un lato una posizione ufficiale, supportata da media quasi unanimememente ridotti a megafono propagandistico, imperniata sull'obiettivo di una piena vittoria di Kiev, con la “reconquista” totale del Donbass e persino della Crimea e la ricostituzione della piena integrità territoriale del paese da ottenere attraverso la tanto anticipata e attesa controffensiva di primavera-estate. Dall'altro, la più realistica valutazione – avvalorata ben presto ulteriormente dalla evidente poca efficacia della controffensiva stessa – secondo la quale lo sforzo bellico ucraino, e gli imponenti rifornimenti di armi da parte della Nato e dell'Ue, erano funzionali non tanto a una piena ricostituzione dello status quo antea, giudicata quasi da tutti irrealizzabile, ma semplicemente a evitare ulteriori cedimenti all'invasore e al massimo a qualche parziale successo sul campo di battaglia che ponesse Kiev in una posizione il più forte possibile in una futura sede negoziale.
Ma la “voce dal sen fuggita” di Jenssen – poi in parte ovviamente rimangiata per motivi diplomatici, ma impossibile da smentire in quanto alle sue coordinate oggettive – ha oggi reso ormai praticamente ufficiale il segreto di Pulcinella. E ha anche reso esplicita quella che, con ogni probabilità, è stata fin dall'origine la linea dell'amministrazione statunitense di Joe Biden e degli apparati militari americani che controllano l'Alleanza atlantica: fare dell'Ucraina di Zelensky la testa d'ariete della Nato verso Est, favorire uno showdown definitivo tra Mosca e Kiev dopo il conflitto del 2014 e usarlo per incamerare a tutti gli effetti l'Ucraina, quand'anche deprivata di parte del suo territorio originario, nel fronte occidentale, tenendo sotto pressione il regime di Vladimir Putin e tagliando ogni legame politico-economico tra esso e la Ue.
Il congelamento del conflitto, in pieno stile da guerra fredda, attraverso la spartizione dell'Ucraina tra Mosca e Washington assicurerebbe agli Stati Uniti un avanzamento strategico nell'Est del Vecchio Continente, con una presa ulteriore sui paesi di quella che l'amministrazione di George Bush jr a suo tempo chiamò la “nuova Europa” (nazioni in fuga dai regimi comunisti e dall'egemonia di Mosca, quindi fedelissimi al nuovo “protettore” americano) e il ridisciplinamento della “vecchia Europa” (il nucleo fondante dell'Unione, a partire ovviamente dalla Germania). Ma al tempo stesso consentirebbe a Putin di dichiarare – pur rassegnandosi alla realtà di fatto di un'Ucraina in gran parte passata sotto l'influenza americana - di aver “liberato” i territori abitati da popolazioni russofone proteggendoli dalla persecuzione e di aver ampliato i confini della Russia. E, naturalmente, un esito del genere sarebbe gradito a quella parte ampia – e ormai molto potente economicamente e politicamente – del mondo (da Cina e India ai paesi arabo-islamici, ad America Latina e Africa) che nel conflitto non si è schierata e spera in una sua conclusione negoziata per tenere in piedi le relazioni sia con Mosca che con Washington.
La forza della ragion di Stato e della geopolitica, insomma, di giorno in giorno va rafforzando la prospettiva di un compromesso in cui le maggiori potenze mondiali avrebbero ciascuna il proprio tornaconto. E il cui prezzo sarebbe stato pagato con il sangue soprattutto dal popolo ucraino nella sua interezza (sia la sua parte filo-occidentale che quella filo-russa) e da quello russo, con il sacrificio di decine di migliaia di giovani vite di soldati al fronte.
Ma si tratta in realtà di un esito che era facilmente preventivabile fin dai primi mesi della guerra. Era difficile immaginare che l'Ucraina, sia pur abbondantemente armata, equipaggiata e addestrata dagli occidentali, potesse infliggere una sconfitta a un paese tanto più grande e tanto più dotato di risorse economiche, militari e demografiche, a meno di non ipotizzare una escalation del conflitto tale da implicare una svolta apocalittica, con l'intervento diretto della Nato e l'uso degli armamenti nucleari - sviluppo che per fortuna, nonostante i rischi effettivi di incidenti tragici, finora è rimasto solo sulla carta.
Questo implica, peraltro, due ulteriori conseguenze logiche. La prima è che l'amministrazione Biden e la Nato, nonostante tutta la retorica su “aggressore e aggredito” veicolata a piene mani nell'ultimo anno e mezzo, portano una inequivocabile responsabilità politica e morale sia per tutto il sangue versato e per le sofferenze subite dagli ucraini che per il probabile prossimo smembramento del loro paese. Se, infatti, si fosse consolidata l'ipotesi di tregua nata nei primi giorni del conflitto, e imperniata sull'assicurazione della neutralità di Kiev sotto la sorveglianza internazionale, si sarebbe mantenuta l'integrità del territorio ucraino e si sarebbero risparmiati centinaia di migliaia di morti. Ma quell'ipotesi, come è noto, venne seppellita dall'uso del massacro di Bucha da parte della Nato per sostenere l'idea della guerra ad oltranza.
La seconda conseguenza è che i presunti atlantisti, o iper-atlantisti ideologizzati, che da un anno e mezzo sostengono con toni scalmanati da stadio che la guerra russo-ucraina sarebbe uno scontro totale tra libertà e “autocrazia”, e che dovere degli occidentali sarebbe sostenere Zelensky senza se e senza ma per la liberazione integrale del paese dall'invasore, non soltanto si sono fatti megafono di slogan che erano richiami per le allodole, mentre la ragion di Stato statunitense andava in tutt'altra direzione, ma hanno addirittura lavorato anche “per il re di Prussia”, ossia per Putin: contribuendo, con la continuazione a oltranza del conflitto, a creare le condizioni per una spartizione in ragione della quale anche il governo russo potrà cantare vittoria.