Un avviso di sfratto per Obama l'accentratore
Usa: Camera e Senato vinte dai repubblicani. Obama è rimasto un'anatra zoppa, costretto a governare senza una maggioranza al Congresso. E anche a livello locale, i conservatori si assicurano il controllo di 31 Stati su 50, strappandone 4 ai democratici. Analisi di una svolta di Medio Termine.
Le elezioni Mid Term negli Stati Uniti si sono concluse in fretta. Prima ancora che venissero contati i voti negli Stati più ritardatari emergevano già chiaramente i vincitori: i repubblicani.
Il partito della destra americana ha letteralmente espugnato gli Stati Uniti. Mirava a strappare ai democratici 6 seggi del Senato per ottenere la maggioranza nella camera alta del Congresso e ne ha conquistati ben 7. Nella corsa per il Senato ha vinto negli Stati in cui era dato in vantaggio (West Virginia, Montana e South Dakota), in quelli in cui era testa-a-testa (Arkansas, Iowa e Colorado) e persino in North Carolina, dove i sondaggi davano vincenti i democratici. In Louisiana, si deciderà la corsa per il seggio senatoriale con un ballottaggio, che si terrà il prossimo dicembre. Per quanto riguarda la Camera, i repubblicani hanno conquistato un totale di 243 seggi, strappandone ben 14 ai democratici. Ottima la performance del Grand Old Party (Gop, come viene chiamato il partito repubblicano confidenzialmente) anche nelle elezioni locali che si sono tenute in 47 Stati su 50 per il rinnovo dei governatori. I repubblicani ne hanno eletti ben 31, strappando 4 governi locali ai democratici: Arkansas, Illinois (lo Stato di Barack Obama!), Massachusetts (altro feudo democratico) e Maryland. I democratici devono accontentarsi di 16 governatori e vantano una sola vittoria degna di nota: aver strappato la Pennsylvania ai repubblicani. Sempre a livello locale, il Gop si è riconfermato in testa nel Wisconsin, dove è stato rieletto l’energico governatore Scott Walker, l’uomo che sfidò i sindacati dei lavoratori pubblici nel 2011 e vinse la sua riconferma nel voto del 2012. Importante anche la vittoria di un nuovo mandato del governatore conservatore Rick Scott in Florida, uno stato di importanza strategica, che ha fatto da ago della bilancia in tutte le elezioni presidenziali dal 2000 ad oggi.
Non ci sono dubbi: gli americani hanno bocciato le politiche di Barack Obama e dell’amministrazione democratica, sia a livello nazionale che a quello locale. In queste elezioni conta soprattutto l’economia, molto meno la politica estera. Questo è stato un vero e proprio referendum pro o contro l’Obamacare, cavallo di battaglia del presidente, che l’aveva venduta ai suoi elettori, fin dal 2008, come una vera rivoluzione. Spesso si pensa che un presidente perda perché non mantiene le sue promesse. Obama ha perso perché le ha mantenute sin troppo bene. L’Obamacare non è affatto rimasta sulla carta, ma è diventata una realtà già da un anno. Gli americani l’hanno sperimentata dal vivo e l’hanno bocciata clamorosamente: il 100% dei candidati repubblicani eletti, non uno di meno, aveva in programma, al primo punto: “repeal Obamacare” respingere la riforma sanitaria. Si è trattato di una scelta economica, prima di tutto. La sanità pubblica aumenta i costi per i datori di lavoro obbligati a fornire una copertura sanitaria ai dipendenti, aumenta i rischi per le polizze assicurative obbligate a coprire anche i cittadini ad alto rischio e a mantenere un tetto massimo sui premi. A questo si aggiunga anche il malfunzionamento del software per il cambio di polizza, che ha creato un lungo e imbarazzante blackout. E una serie di sgradevoli incidenti, nei quali molti americani hanno perso la loro precedente copertura sanitaria e hanno dovuto pagare di più per procurarsene una nuova.
L’Obamacare non pone solo un problema di soldi, ma anche una questione etica. Se lo Stato obbliga la maggior parte degli americani ad assicurarsi, quali interventi copre la polizza obbligatoria? Per cosa deve pagare un datore di lavoro che deve assicurare i suoi dipendenti? I casi Hobby Lobby, delle Piccole Sorelle dei Poveri e della Loyola University dimostrano che l’Obamacare è un veicolo per imporre ai cristiani un’agenda laicista, con copertura sanitaria obbligatoria per l'aborto e la contraccezione. La Loyola University è scesa a compromessi, ma Hobby Lobby ha dato battaglia e ha vinto. La Corte Suprema ha stabilito, con la sua sentenza dello scorso giugno, che le coperture per aborto e contraccezione possono essere escluse, nel caso che, ad acquistare le assicurazioni per i propri dipendenti, sia un’azienda con solide convinzioni religiose, anche se questa è privata e organizzata in forma societaria. Il 90% delle aziende americane, oltre a tutti gli istituti religiosi, possono, da quella sentenza in avanti, dire “no grazie” ad assicurazioni che prevedono pratiche di aborto e contraccezione. Le elezioni del 4 novembre completano l’opera.
Tuttavia, queste elezioni non costituiscono il trionfo dei principi non negoziabili. Gli anti-abortisti hanno infatti perso la battaglia in difesa del diritto alla vita in ben 2 Stati su 3. Solo il Tennessee ha approvato l’emendamento alla sua costituzione, quello che consente ai rappresentanti e ai senatori statali di votare divieti per l’aborto in ogni circostanza (stupro, incesto e salute della madre inclusi). Non solo il referendum è passato, ma il governatore, il repubblicano Haslam, è stato riconfermato con una schiacciante maggioranza del 70% dei voti. Quindi è molto probabile che, nel prossimo futuro, il Tennessee implementi leggi coerentemente anti-abortiste e diventi un esempio per le prossime campagne pro-vita. In North Dakota e in Colorado, invece, non è passata la riforma che avrebbe garantito il diritto alla vita alla persona in ogni fase della sua esistenza, fin dal concepimento.
Contenti gli anti-proibizionisti: nonostante l’opposizione dei conservatori, il Colorado ha fatto scuola e altri tre Stati, Oregon, Alaska e Washington DC hanno liberalizzato la marijuana. Solo in Florida, gli elettori hanno bocciato la legge che avrebbe legalizzato la marijuana a scopo terapeutico. Questi risultati sono coerenti con l’orientamento ideologico degli elettori di quegli Stati: Oregon, Alaska e la capitale sono saldamente nelle mani dei democratici. La Florida, dove hanno vinto i repubblicani, è l’unico Stato che ha respinto la marijuana libera.
Interessanti, quanto diversificati, anche i risultati dei referendum sull’istruzione pubblica. L’Alabama ha votato per porre maggiori vincoli alla spesa pubblica destinata alla scuola, il Colorado per porre maggiori controlli alla negoziazione dei contratti, la Georgia per esentare dal pagamento delle tasse anche le strutture private che servono i college, le Hawaii hanno respinto una maggiore spesa per l’istruzione pubblica, il Nevada ha bocciato una nuova tassa sui margini di profitto per finanziare l’istruzione, l’Oregon (che pure è democratico) ha votato contro la costituzione di un nuovo fondo pubblico per finanziare l’istruzione superiore. In un solo caso, la maggioranza ha votato per alzare le tasse a favore della scuola pubblica: nell’Illinois. Ma, come specificava il quesito referendario, la nuova imposta riguarda solo i redditi milionari. In altri tre Stati, New Mexico, New York e Rhode Island, la maggioranza ha votato per consentire ai propri governi locali di finanziare la scuola pubblica vendendo buoni del tesoro, sostanzialmente a costo zero per i cittadini. Anche nel caso di queste riforme dell’istruzione, vale un criterio etico di scelta, non è solo una questione di soldi. Si deve infatti rispondere alla domanda basilare: chi provvede all’istruzione dei figli, lo Stato o i genitori? Autorizzando un maggior prelievo fiscale da tutte le famiglie per finanziare la scuola pubblica, i genitori avrebbero dato maggiori deleghe all’istruzione di Stato. Invece, in quasi tutti i casi, gli americani hanno risposto: i genitori devono provvedere all’istruzione, prima che lo Stato. E questo avviene in un periodo in cui si espande sempre più il fenomeno dello homeschooling, dell’istruzione in casa propria, fornita direttamente dai genitori: gli studenti casalinghi erano 850mila nel 1999, ora sono circa 1 milione e 800mila.
Se è possibile fare una sintesi di questo complesso e multiforme voto per Camera, Senato, governatori e referendum vari, si può dire che vi sia una sola tendenza: il ridimensionamento del ruolo del governo. Barack Obama, molto più che i suoi predecessori democratici, si è presentato come un grande accentratore, in tutti i campi: il governo prima degli Stati, la pianificazione economica prima del libero mercato, le scelte etiche laiche prima dell’indipendenza delle confessioni religiose. Con queste elezioni gli americani hanno fermato questa tendenza accentratrice. E nelle prossime elezioni del 2016 potrebbero anche invertirla.