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GENERI E SOCIETà

Un arbitro in gonnella conferma la regola dell'eccezione

La storia di Maria Sole Ferrieri Caputi - arbitro donna che ha debuttato domenica in serie A - nega l'assunto della parità di genere proprio perché eccezione che conferma una regola di carattere antropologico: alcune professioni sono per natura più maschili e altre più femminili. L’uguaglianza vera risiede nella pari dignità tra uomo e donna, non nella par condicio e nelle quote rose che piallano le differenze. 

Editoriali 06_10_2022

Diciotto falli fischiati, due ammoniti e un rigore confermato dal Var. Questo il bottino di Maria Sole Ferrieri Caputi - primo arbitro donna in seria A, ma non nuova ad arbitraggi maschili ad alto livello dato che aveva già diretto un match in Coppa Italia – che domenica scorsa ha guidato con polso sicuro la partita Sassuolo-Salernitana, finita 5-0 per il Sassuolo.

I media ovviamente si sono buttati a capofitto in questa notizia ed hanno sfoderato inossidabili stereotipi che, a volte, hanno un fondo di verità: occorre giudicare la Ferrieri per i suoi meriti e non perché donna, per lei è stato più difficile arrivare in cima rispetto ai colleghi maschi, un altro soffitto di cristallo è stato sfondato, etc...

Naturalmente non è mancata la dissertazione sul genere grammaticale dell’apposizione che qualifica la Ferrieri: arbitro o arbitra? Lei inizialmente, come riporta Repubblica, fischia un fallo ai danni della lingua italiana commesso dalle femministe e così sentenzia: "Arbitra non mi piace perché sottolinea che sono donna". Poi, alla Domenica Sportiva su Rai 2, aggiusta il tiro, perché il Var gender ha dato un altro responso e sulla questione se chiamarla arbitro o arbitra lei così si esprime: “Risolvetela voi, per me non fa differenza”.

Pare curioso, ma incensare in tal modo la Ferrieri perché arbitro donna in serie A contraddice i motivi stessi che portano alla sua incensazione. Il canovaccio è sempre il medesimo: appena una donna fa un lavoro da uomini si brinda all’uguaglianza e alla cosiddetta parità dei generi. Ma la storia della Ferrieri invece nega questi assunti proprio perché eccezione che conferma una regola di carattere antropologico: alcune professioni sono per natura più maschili e altre più femminili. Non esclusivamente maschili – come testimonia bene la brava Ferrieri – ma più maschili. E quando c’è una donna che arriva a ricoprire certi ruoli prettamente maschili giustamente fa notizia. La rarità merita attenzione e nello stesso tempo conferma il dato ordinario.

Il dato ordinario è il seguente: quanti direttori di orchestra donna ci sono nel mondo? Quanti compositori in gonnella? Abbiamo più camionisti o camioniste? Quale la percentuale di donne nei cantieri edili? E nelle caserme? E per par condicio, quale la quota di ballerini classici nei teatri? Quanti suonatori maschi di arpa conoscete? Quanti educatori uomini negli asilo nido? Si dirà che questo capita per sovrastrutture sociali retrive, maschiliste e patriarcali, per orientamenti culturali malati di fissismo machista.

Ma è falso, perché sono ormai decenni che le donne possono liberissimamente fare il lavoro che vogliono: le pari opportunità esistono da tempo. E alcuni lavori non vengono scelti dalle donne per loro libera decisione, non per condizionamenti esterni, perché non rispondono alle loro esigenze naturali, perché le corde della loro sensibilità e psicologia femminile non risuonano adeguatamente al pensiero di fare questo o quel lavoro. Perché uomini e donne non sono solo diversi nel fisico, ma anche nell’anima e quindi nella mente, nei gusti, nelle aspirazioni. E questo è un bene perché in tal senso – e finalmente anche noi possiamo far nostra un’affermazione molto politicamente corretta – la diversità è ricchezza. L’uguaglianza vera risiede nella pari dignità tra uomo e donna e, in ultima istanza, nella identica chiamata alla santità. Quella falsa pialla le differenze.

Ecco allora che tanto più si gioisce per l’arrivo del primo fischietto rosa in serie A, tanto più si conferma che madre natura o Dio Padre ci ha voluto maschi e femmina non solo nel corpo, ma anche nella società, nelle relazioni, nelle passioni. L’appartenenza sessuale innerva necessariamente ogni nostra azione, informa ogni nostro desiderio e quindi è naturale che anche le professioni risentano di questa nostra ineludibile inclinazione che nasce dai geni e si sviluppa in tutta la nostra persona. La natura da sempre ha assegnato le sue quote rosa e azzurre.

Detto ciò, buon lavoro, arbitro Ferrieri.