Un anno di guerra in Sudan, una catastrofe senza fine
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Il 15 aprile 2023 iniziava la guerra civile in Sudan, a seguito dell'ammutinamento delle Forze di supporto rapido del generale Hemedti. Nove milioni di profughi, un numero imprecisato di morti.
Il 15 aprile 2023 iniziavano in Sudan, nella capitale Khartum, i primi scontri tra l’esercito governativo, agli ordini di Abdel Fattah al-Burhan, il generale capo delle Forze armate (Saf) e di fatto capo dello Stato essendo il leader della giunta militare al potere dal 2021, e le Forze di supporto rapido (Fsr), la milizia paramilitare del vice di al-Burhan, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemedti. I combattimenti si sono poi estesi ad altre parti del paese, quasi subito alla regione occidentale del Darfur dove hanno riattizzato l’endemica ostilità tra le etnie di origine araba e quelle africane. Il bilancio della guerra, dopo un anno, è spaventoso.
I dati ufficiali indicano 16mila morti civili, ma è una cifra del tutto sottostimata dal momento che in una sola città del Darfur, El Geneina, lo scorso maggio sono state uccise da 10mila a 15mila persone. Inoltre il dato non tiene conto delle persone morte di malattie, denutrizione e stenti, per effetto della guerra.
Milioni persone infatti hanno perso tutto, sono prive di mezzi di sussistenza. È il caso dei profughi, quasi nove milioni, 1,7 milioni dei quali rifugiati nei paesi vicini, soprattutto in Ciad e Sudan del Sud. Ma non solo. A causa della guerra la produzione agricola è crollata, nelle aree rurali milioni di persone sono senza raccolti e hanno perso tutto il bestiame. La situazione generale è aggravata dai danni enormi arrecati alle infrastrutture, dall’interruzione dei flussi commerciali, dal vertiginoso aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Questo porta a 25 milioni, su 49 milioni di abitanti, il numero delle persone bisognose di assistenza, con estrema urgenza nel caso di quelle, e sono almeno 18 milioni, che soffrono di gravi carenze alimentari. Il loro futuro dipende dalla possibilità di ricevere aiuti alimentari e sanitari.
A febbraio la situazione umanitaria era stata definita prossima al punto di non ritorno e ormai quel punto è stato oltrepassato. I combattimenti si sono estesi infatti a sempre nuovi territori, costringendo milioni di persone che vi si erano rifugiate a spostarsi di nuovo, in condizioni sempre più disperate. Nel solo stato sud orientale dell’al-Gadaref, dove si combatte dall’inizio di aprile, si erano rifugiati quasi mezzo milione di sfollati. Questo stato e il vicino Gezira, che è situato alla confluenza del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro, sono importanti regioni agricole densamente popolate. Il loro coinvolgimento nella guerra determina un ulteriore, insostenibile calo della produzione alimentare.
I paesi donatori che il 15 aprile a Parigi si sono incontrati su iniziativa di Francia, Germania e Unione Europea per parlare della situazione del Sudan, che hanno definito “un conflitto tanto devastante quanto trascurato”, speravano di raccogliere almeno un miliardo di dollari e invece gli impegni sottoscritti hanno superato i due miliardi. L’Unione Europea contribuirà con 350 milioni di euro, Francia e Germania rispettivamente con 110 e 244 milioni. Gli Stati Uniti hanno promesso 147 milioni. Ma secondo le Nazioni Unite non è abbastanza. Servono molti più fondi, e subito. A febbraio il Sottosegretario Generale per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti d’emergenza, Martin Griffiths, per il 2024 aveva chiesto 2,7 miliardi di dollari per provvedere ai 25 milioni di sudanesi in difficoltà e 1,4 miliardi di dollari per assistere i rifugiati nei paesi vicini. Prima dell’incontro di Parigi però erano stati raccolti contributi pari soltanto al 6% dell’importo necessario. Si vedrà se i paesi donatori adesso manterranno le promesse. “Insieme possiamo evitare una carestia dalle conseguenze catastrofiche – ha detto il ministro degli esteri tedesco Annalena Baerbock confermando l’impegno del suo paese – nello scenario peggiore, un milione di persone potrebbero morire di fame quest’anno”.
Tuttavia l’insufficienza dei fondi messi a disposizione delle agenzie Onu e delle organizzazioni non governative umanitarie e la lentezza, finanche la svogliatezza con cui vengono erogati non sono gli unici ostacoli ai soccorsi. Entrambi i contendenti sono accusati di usare deliberatamente la fame come arma di guerra. Nei territori sotto il loro controllo concedono con ritardo e con il contagocce i permessi di accesso ai convogli umanitari, li negano per settimane mentre ormai salvare vite umane è diventata una corsa contro il tempo. Per questo e per le violenze inflitte alla popolazione civile sia le Saf che le Fsr sono state accusate di crimini di guerra e le Fsr sono ritenute responsabili anche di crimini contro l’umanità e di pulizia etnica nel Darfur.
Mentre i tradizionali paesi donatori hanno tardato a intervenire, altri paesi sono stati invece pronti ad aiutare, ma non il Sudan, bensì i due generali nemici, e non con soccorsi umanitari, ma con forniture di armi, addestramento militare e servizi di intelligence. Al Burhan è sostenuto da Egitto, Iran e Ucraina, Hemedti da Emirati Arabi Uniti e Russia.
“Il nemico deve ammettere la sconfitta, noi inseguiremo i golpisti”, ha dichiarato di recente Hemedti riferendosi alle SAF. “Vinceremo e libereremo il Sudan dalle mani di traditori e mercenari” è stata la risposta di al-Burhan. Entrambi sono decisi a continuare la guerra, a oltranza fino alla sconfitta dell’avversario. Gli aiuti militari stranieri rafforzano la loro determinazione.