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LA VITA E' SEMPLICE

Un aiuto concreto

Due sposi, un contratto precario, l'affitto e due bimbi da mantenere. Fare i conti con una nuova gravidanza sembra impossibile...

Multimedia 21_04_2012
Paola Bonzi

Ed ecco, era passato anche Natale.
Restava nell’aria come un alone di nostalgia per le grandi tavolate, i ritrovi con parenti e amici che si vedono solo in queste occasioni, i pacchi colorati, le dolci melodie, …
Facciamo fatica a riscoprirne il senso squisitamente religioso, dove un bambino ci è stato dato perché di uno come noi avevamo bisogno per offrire al Padre un profumo di umanità.

28 dicembre, dunque, aria ancora di vacanza, ma al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli cerchiamo di essere sempre presenti, a disposizione di chi vive la grande ambivalenza sulla prosecuzione della propria gravidanza. Accendo le luci, il computer, la piccola candela sotto l’olio profumato, la musica di sottofondo e, aspetto.

Penso alle molteplici cose da mettere in campo, la lettera agli amici del CAV da scrivere perché arrivi in tempo per le primule, sto per prendere in mano il telefono e comporre il numero della segreteria, quando sento un improvviso tramestio. Mi affaccio, allora, sul corridoio e, insieme a due adulti molto composti, vedo due diavoletti che si stanno spingendo e che litigano tra loro per le solite cose dei bambini.Al vedermi, il papà, cercando di mettere pace tra i due, chiede se possiamo offrire l’opportunità di un colloquio.

Indico loro lo spazio per attendere e faccio presente la richiesta in segreteria.
Vengo così a sapere che la signora è alle prime settimane di gravidanza e che deve decidere se continuare la sua gestazione, visto che le loro condizioni di vita sono diventate insostenibili.
“Ma quanto gridano quei bambini!”

Osservo forse un po’ infastidita, sentendomi agghiacciare il sangue quando Carmen mi risponde:
“Il più piccolo ha probabilmente un problema di autismo.” Le cose della vita riescono sempre a prendermi di sorpresa! Diamo sempre tutto per scontato e poi …

“Facciamoli accomodare, dunque, ma temo che faremo molta fatica per la presenza dei bimbi.”

Entrano, invece, i due genitori da soli; i bambini hanno trovato dei giochi nel locale dietro la segreteria e hanno inventato il modo di impegnare il tempo.
Ecco allora Josef e Meryem seduti davanti a me, pronti a raccontarsi.
“Siamo originari dell’Egitto - inizia Josef che padroneggia l’italiano meglio di Meryem - dove sono rimaste le nostre famiglie e abbiamo deciso di venire a Milano.
Avevo avuto l’insperabile fortuna di poter lavorare per un progetto del tutto particolare: l’Università voleva un insegnante per un corso di lingua araba e sono stato scelto. Oggi con Internet le distanze si annullano!”

“Ma ho visto che avete anche i bambini, raccontatemi bene”
intervengo cercando la strada per capire la storia che li aveva portati fin da noi.
“Sono quasi tre anni che viviamo a Milano, - è sempre Josef che parla - in Egitto non stavamo male ma si cerca sempre di migliorare.  Fiore di luce (così si traduce il nome per me impronunciabile della bimba) era già nata e Meryem aspettava Omar.

Come tutti i genitori ci siamo chiesti che futuro avrebbero avuto i nostri figli e ci siamo convinti che venire a vivere in Italia fosse una buona soluzione.
Mia sorella, vissuta per qualche anno qui, aveva deciso di tornare in Egitto e noi avremmo potuto abitare in quella casa che non costava moltissimo. Così siamo arrivati felici di intraprendere una strada nuova. Quasi subito ho iniziato il corso come docente di arabo; era molto interessante avvicinare gli studenti alla mia cultura d’origine e, per me invece, conoscere meglio le tradizioni di quella che ritenevo la mia nuova patria.

È nato Omar, un bel bambino grassottello che era un piacere guardarlo.
Le cose andavano abbastanza bene; siamo anche riusciti a diventare amici dei nostri vicini di casa e, io, in università mi sentivo veramente realizzato ed ho avuto modo di conquistarmi la stima degli studenti e anche di qualche docente. I bambini crescevano ma, avendo già avuto ’Fiore di luce’, ogni tanto coglievo dei segnali strani nel comportamento di Omar.”
“Anch’io - dice finalmente Meryem - lo guardavo crescere con un po’ di preoccupazione ma poi cercavo di dirmi che, forse, mi stavo agitando per niente e il tempo passava con questi strani presentimenti.”

Intanto arrivavano nella mia stanza le grida del piccolo e il cuore mi si stringeva.
“E adesso come va? Come mai siete venuti a trovarci?”
“Adesso siamo messi veramente male - Josef riprende a raccontare - perché il mio incarico in università è finito e il progetto non è stato rinnovato; non riesco a trovare un lavoro a tempo pieno, siamo assolutamente in arretrato con l’affitto, mangiamo gli alimenti che la parrocchia ci regala e, come se tutto ciò non bastasse, Meryem è incinta.” Dice tutto questo in un fiato, come se volesse liberarsi magicamente di tutte le cose difficili, al punto da sembrare insormontabili.

“Abbiamo deciso di interrompere la gravidanza, che cosa potremmo dare ai nostri figli se se ne aggiungesse anche un altro?” afferma Josef con voce un po’ malferma.
“Mio marito ha ragione ma io continuo a pensare a quel bambino e mi sento una madre cattiva anche per i due già nati. La gravidanza è soltanto di due mesi e, quindi, non lo sento ancora muovere, eppure so che esiste dentro di me e che non ha nessuna colpa per essere arrivato in questo momento così terribile.  Ci aiuti lei!”

Ci siamo, mi dico; mi sento le mani vuote e l’animo in subbuglio.
È vero, siamo il Centro di Aiuto alla Vita ma anche noi sperimentiamo la povertà dei poveri e, in questa situazione, ci vorrebbe un piccolo miracolo o la bacchetta magica, tutte cose che non c’entrano con me.

“Quanto costa l’affitto di casa e quanto riesce a guadagnare, lei Josef, con il suo poco lavoro?” chiedo quasi tristemente.
“Io ho trovato una scala da pulire e guadagno duecentocinquanta euro, giusto la somma che ci serve per pagare la casa, ma dobbiamo anche vivere e prestare le cure neurologiche necessarie a Omar … Mi creda non so più dove sbattere la testa!”

Anche la mia di testa è molto in confusione ma, quando si arriva a questo punto, divento una specie di calcolatrice umana e faccio somme a tutto spiano: 250 del Fondo Nasko + 150 del progetto cicogna di Antonietta e Franco + 100 del nostro CAV = 500 .

Ecco, posso offrire cinquecento euro mensili per diciotto mesi.
“Quanto pensereste come cifra sufficiente per poter avere l’indispensabile per vivere, compreso il bimbo che aspettate? E - aggiungo frettolosamente - sapendo che il corredino, il passeggino e i pannolini per il neonato li avreste da noi.”
Silenzio e silenzio con sguardi incrociati.

“Non potremmo mai dire noi una cifra! Siamo disposti a tutti i sacrifici purché ai bambini non venga a mancare l’indispensabile.”
Allora mi faccio coraggio e faccio la mia proposta:
“Certamente non è bello farvi i conti in tasca, ma ugualmente vi chiedo se cinquecento euro al mese, sommati al piccolo stipendio di Josef, potrebbero bastare, anche se con fatica, a far quadrare i conti; come vi sembra?”

A Meryem e a suo marito sembrava decisamente una strada percorribile, tanto da non osare quasi crederci; finalmente i lineamenti di entrambi si distendono e un largo sorriso fa diventare bellissimo il volto di questa madre, che infatti esclama:
“Che bello! Che il Signore vi benedica tutti.”
Anch’io torno a respirare regolarmente e a sorridere dicendo:
“Che il Dio della Vita benedica tutti voi che avete trovato il coraggio di accogliere nella vostra bella famiglia anche questo piccolo bambino.”
E così, compilati tutti i documenti, date tutte le informazioni del caso, stendo la mano a Josef e chiudo Meryem in un abbraccio.
Ecco sembra tutto finito ma:

“Salutate bene questa signora” dice con forza gioiosa Josef ai bambini, recuperati dai loro giochi, ed è proprio Omar che si catapulta nella stanza volandomi tra le braccia, stringendomi forte le gambe, obbligandomi ad accoccolarmi per schioccarmi un grosso bacio su una guancia un po’ umida.