Umanità Child Free, le basi culturali dell'estinzione
La scrittrice e attrice Michela Andreozzi, sul Corriere, confessa di essere felice a non avere figli. Invece che "childless" si definisce "child free", libera da figli, che vede come una conquista sociale. Non va solo contro la religione, ma anche contro la stessa natura umana, per la quale la riproduzione è imperativo categorico.
Non conoscevo molto della scrittrice e attrice Michela Andreozzi, bella signora di quasi 50 anni. Mi sono interessato a lei per una intervista rilasciata a Candida Morvillo e pubblicata sul Corriere della Sera (e ripresa da Dagospia) del 21 agosto 2018.
Una intervista che da una parte mette tristezza e dall’altra è quasi da apprezzare, in quanto rende evidente quello che tanta cultura dominante cerca di nascondere. La Andreozzi si definisce “childfree”, non “childless” e così lo spiega: “Avrei voluto un neologismo italiano che non c'è e per il quale apro un concorso. Childless è una donna priva di figli, ma che li voleva. Childfree è una donna libera dai figli, che ha scelto di non averli, non si sente in colpa per questo e non ne può più di doversi giustificare perché non ne ha”. Mi sembra chiaro e anche triste il fatto che il neologismo usato (parola+free) denoti in inglese persone libere da malattie.
Ora, nessuno può obbligare una donna ad avere figli, ma presentare il non volerne come una conquista sociale mi sembra proprio denoti i sintomi di una umanità malata, una umanità che seguendo questa via si prepara ad essere “humanfree”. La maternità non è un accidente. È una realizzazione profonda dell’essere donna. In un altro passaggio dell’intervista la scrittrice dice parlando del suo dialogo con un tassista: “Mi chiede "lei ha figli?". E subito: "Aha, non sa che si perde". Gli ho attaccato una filippica: "Lei ha idea del motivo per cui non li ho? Se l'ho scelto o se mi è capitato? Se ho combattuto o mi sono arresa? Se non trovo un uomo o sono stata mollata? O sono vedova? Se proprio ora sono sotto ormoni per averli?". Si è scusato. Ha detto: "Signori', je giuro su San Fiacrio, protettore dei tassinari, che 'sta domanda non la farò più a nessuno"”. E no, caro tassista, continui a fare questa domanda, perché se ci dobbiamo vergognare a parlare di figli quando certo femminismo rende il dialogo fra uomo e donna impossibile, meglio vivere in ghetti separati attendendo la nostra estinzione.
Ma la Andreozzi ha una certa onestà intellettuale e ammette il suo egoismo: “Ho fatto coming out appena me ne sono resa conto ed è stata una delle scelte più salutari della mia vita. Amo dormire fino a tardi, leggere, scrivere, stare da sola. Mangiare quel che mi pare senza dover educare nessuno al cibo sano. Voglio spigoli in casa, voglio viaggiare. Mi piace poter dire, senza preavviso, "partiamo". E poi partire. Io e mio marito lo possiamo fare, lo facciamo spesso”. Ha ragione, avere figli è una responsabilità, ma è così bello poter dare amore a qualcuno o qualcuna e vederlo protagonista nella vita quando tu sei sul viale del tramonto. E non dimentichiamo che quanto detto dalla signora non è solo opinabile per la nostra fede religiosa, ma lo è ancora di più per le leggi scientifiche, per cui la riproduzione è imperativo categorico.
Io vorrei augurare alla signora di uscire dal suo conclamato egoismo e capire che i piccoli sacrifici, lo svegliarsi prima, gli angoli smussati, ci fanno prima patire ma da quella sofferenza fanno sempre nascere fiori ricolmi di una gioiosa fragranza.