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ECOLOGISMO

Ultima occasione per fermare il delirio "green" dell'Ue

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Combattere contro il cambiamento climatico a costo di distruggere l’economia. Questo è il rischio ideologico dietro il Green Deal, con annessa caccia alle streghe dei “negazionisti”. Il parlamento di Strasburgo può bocciarlo.

Politica 12_07_2023
Weber (PPE) alla manifestazione di Strasburgo pro Green Deal

In vista delle elezioni europee della primavera 2024, cresce la tensione nelle istituzioni Ue su alcuni provvedimenti considerati fondamentali dalla famiglia socialista a Bruxelles, che fra un anno potrebbe uscire sconfitta e rimanere fuori dal governo dell’Unione.

Tra questi c’è sicuramente il Green Deal, provvedimento legislativo che si inserisce all'interno dell'ambizioso piano d'azione dell'Unione Europea per affrontare i cambiamenti climatici e promuovere la transizione verso un'economia sostenibile. Sebbene il Green Deal abbia suscitato ampio interesse, è fondamentale esaminare attentamente i suoi punti critici, visto che in queste ore se ne sta discutendo a Strasburgo nell’aula del Parlamento europeo e il braccio di ferro tra sostenitori e oppositori si fa sempre più aspro.

La cosiddetta legge sulla natura dovrebbe, nelle intenzioni dei vertici Ue, mitigare la crisi climatica, che nel dibattito pubblico assurge ormai a vera e propria emergenza, tanto che i cosiddetti “negazionisti climatici”, che si oppongono a questa logica emergenziale, vengono già etichettati come dissidenti stile no vax ai tempi del Covid.

Proteggere l’ambiente, rispettare la natura, promuovere uno sviluppo sostenibile sono certamente tutti concetti nobili che non devono essere trascurati. Diversa, però, è la radicalizzazione dell’elemento ambientale, che degenera in ideologia verde e produce intolleranza e odio verso il mondo delle imprese e in generale verso chi produce.

Se ne è avuta la riprova anche ieri, quando in sede di Commissione Ue è stata presentata una proposta di patrimoniale europea per finanziare le politiche di sostenibilità. La Commissione la ritiene giuridicamente ammissibile e dunque potrebbe essere discussa se entro sei mesi verranno raccolte le firme necessarie. Si tratterebbe di introdurre un’imposta europea sui grandi patrimoni a vantaggio della transizione ecologica e sociale, per contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici. L’ennesima proposta ideologica, non a caso promossa da chi ha fatto del totalitarismo ambientalista un dogma da portare avanti in tutte le sedi, è destinata a fare parecchio rumore. Infatti la paternità della sciagurata idea è di Fonsoc, la fondazione socialista belga che gestisce i fondi del partito francofono, e di Paul Magnette, sindaco di Charleroi e leader dei socialisti belgi.

La legge sul ripristino della natura è uno dei pilastri del pacchetto clima della Commissione von der Leyen e si inserisce nella strategia sulla biodiversità per il 2030. Tra gli obiettivi chiave vi sono la riduzione delle emissioni di gas serra, la promozione delle energie rinnovabili, l'efficienza energetica, la tutela dell'ambiente naturale e l'impulso alla sostenibilità in tutti i settori economici. Tra i suoi punti qualificanti c'è la previsione di obiettivi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri per il ripristino degli ecosistemi. "Purtroppo abbiamo un commissario che sul tema della sostenibilità ha un approccio ideologico", ha sottolineato nei giorni scorsi il presidente di Confindustria Carlo Bonomi.

La destra e il Ppe non sono su quella lunghezza d’onda perché sottolineano come sia sbagliato che imprese e cittadini paghino i costi della rivoluzione verde.

"Servono migliaia di miliardi per la transizione ecologica, il problema è chi paga", ha osservato il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti riproponendo il tema degli incentivi europei. Non a caso, la linea dell'Italia nel dibattito sul Patto di stabilità è quella di scorporare gli investimenti per il green e il digitale dal computo del debito. Linea che, tuttavia, tra i 27 appare al momento minoritaria.

D’altronde costringere le imprese e le famiglie ad adeguarsi a tutta una serie di misure per ridurre le emissioni inquinanti, senza adeguati sostegni e nel dubbio che quelle misure siano davvero efficaci per la protezione del pianeta, rappresenta il più alto tradimento che l’Ue possa fare ai suoi cittadini.

Ci sono quindi le premesse per una bocciatura del Green Deal, che a quel punto sarebbe definitiva, almeno in questa legislatura. Si tratterebbe di un verdetto provvidenziale, che consentirebbe alla prossima maggioranza Ue che uscirà dalle urne del 2024 di reimpostare la strategia ambientale e climatica in funzione delle primarie esigenze di chi produce, lavora e ha la necessità di non svenarsi e dissanguarsi per far fronte ad adeguamenti imposti dall’alto e senza alcuna evidenza scientifica.

L’ambiente è di tutti e non può diventare terreno di esercizio prepotente del potere da parte di pochi. La sostenibilità ambientale va conciliata con quella economica e dunque occorre tenere conto delle specificità territoriali e dei costi (esosi) che comporterebbero alcuni adeguamenti imposti da Bruxelles. Imprese e famiglie rischierebbero davvero di impoverirsi gravemente. In particolare le prime perderebbero competitività rispetto alle concorrenti di altri continenti nei quali non vigono questi obblighi. Ci si fermi, dunque, in questo delirio verde, prima che sia troppo tardi per tutti.