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ORTODOSSIA

Ucraina, un evento sismico nelle Chiese orientali

La creazione di una Chiesa Ortodossa d’Ucraina il 15 dicembre, in un Concilio di Unificazione a Kiev, è un evento sismico nella storia mondiale del cristianesimo che può anche essere foriero di gravi conseguenze geopolitiche. Un'analisi di George Weigel (biografo di San Giovanni Paolo II) su National Review Online

Ecclesia 21_12_2018
Cattedrale di San Michele a Kiev

La creazione di una Chiesa Ortodossa d’Ucraina il 15 dicembre, in un Concilio di Unificazione a Kiev a cui hanno partecipato i rappresentati delle tre giurisdizioni ortodosse ucraine (prima di allora divise), è un evento sismico nella storia mondiale del cristianesimo che può anche essere foriero di gravi conseguenze geopolitiche.

Da secoli, l’ortodossia in Ucraina era subordinata alla Chiesa ortodossa russa, Patriarcato di Mosca, mentre l'Ucraina stessa era soggetta alla sovranità della Russia (talvolta sotto forma di “repubblica” sovietica). Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, l’ortodossia ucraina si è divisa in Chiese fra loro rivali. Ora, un’Ucraina indipendente che preme per la sua indipendenza culturale, tanto quanto quella politica, dalla Russia, avrà una sua Chiesa “autocefala”, indipendente dal Patriarcato di Mosca, su tutto il territorio nazionale. Quella nuova realtà sarà formalizzata quando il Patriarca Ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli, primus inter pares nell’ortodossia mondiale, consegnerà alla Chiesa Ortodossa d’Ucraina quel che è conosciuto con il nome di “tomos” dell’autocefalia, una specie di riconoscimento diplomatico ecclesiastico dello status di auto-governo della Chiesa Ortodossa d’Ucraina e della sua indipendenza da Mosca.

Parlando di fronte a una grande folla riunita in piazza Sofiivska a Kiev, dopo che il Concilio di Unificazione aveva dato vita alla nuova Chiesa unificata e aveva eletto il metropolita Epifanio, di 39 anni, come suo capo, il presidente Petro Poroshenko, ha detto che la costituzione della Chiesa Ortodossa d’Ucraina è un evento importante nella storia recente del Paese, tanto quanto la dichiarazione di indipendenza da una fatiscente Unione Sovietica nel 1991. Poroshenko ha quindi ricordato che il presidente russo Vladimir Putin ha definito il collasso dell’Urss come “il più grande disastro geopolitico del XX Secolo”; la costituzione di una Chiesa Ortodossa d’Ucraina autocefala, ha dichiarato Poroshenko, è un “secondo disastro geopolitico” per Putin, ma “stavolta non solo del secolo, ma del millennio”. Questa dichiarazione richiede almeno una piccola spiegazione.

In una prima fase, il tentativo di Vladimir Putin di ricreare una qualche forma di vecchio Impero sovietico nell’“estero vicino” russo, è stato condotto all’insegna della Russkij Mir, la “terra russa”, che, secondo Putin, si estende ben al di là dei confini della Federazione Russa. Politicamente parlando, naturalmente, la “terra russa” così come Putin la concepisce in modo estensivo, è nata dalla conquista (ed è stata mantenuta da politiche aggressive di russificazione culturale). Storicamente e culturalmente parlando, tuttavia, la nozione di una Russkij Mir che include le attuali Russia, Ucraina e Bielorussia, ha origine nell’idea che la Russia sia l’unica legittima erede del battesimo degli slavi orientali nel 988, in cui le tribù della Rus’ entrarono nel mondo cristiano, allora unitario. Questo era, ed è tuttora, un falso storico; il battesimo della Rus’ avvenne vicino all’attuale Kiev e una florida cristianità ortodossa, con i suoi giganteschi monasteri e le sue chiese dorate, sorse nei confini dell’attuale Ucraina, quando al posto di Mosca c’era solo una landa coperta di foreste abitate da lupi e orsi. Ma, nonostante sia storicamente controversa, la tesi secondo cui Mosca è l’unica legittima erede del battesimo della Rus’ fu alla base dell’imperialismo russo, fin dai tempi di Pietro il Grande.

Raramente si considera la religione come un fattore importante nella politica mondiale contemporanea. Ma il tentativo di Putin di riportare in auge la Russkij Mir dipende in parte dal campo magnetico culturale creato dalla pretesa di sovranità del Patriarcato di Mosca sulle Chiese ortodosse dell’Ucraina e della Bielorussia. Quella pretesa è ora stata smentita dalla creazione della Chiesa Ortodossa d’Ucraina. Dunque, il lavoro per la ricostruzione di un’autentica (e “utile” nel miglior senso del termine) storia del cristianesimo degli slavi orientali può ora procedere, libera dai lacci della pretesa egemonica moscovita sulle Chiese ortodosse nell’estero vicino russo. E quello sforzo, come indicato dal presidente Poroshenko, sabato scorso, smonterà ulteriormente il progetto geopolitico di Putin di ricostruire qualcosa di simile alla vecchia Urss, la cui premessa era la restaurazione di una Russkij Mir nell’estero vicino. Coloro che credono che la passione e la convinzione religiosa abbiano poco a che fare con la politica internazionale, al di fuori dei confini insanguinati dell’islam jihadista, forse dovranno ricredersi.

La creazione di una Chiesa Ortodossa d’Ucraina autocefala non è stata priva di difficoltà, tuttavia, dal momento che la nuova Chiesa unificata aspira alla consegna del tomos il 6 gennaio, ora si deve pensare alle sfide future.

Anche se si può capire l’entusiasmo di Petro Poroshenko, fedele figlio dell’ortodossia, per la nascita di una Chiesa unificata e indipendente, il ruolo che ha giocato nell’architettare la costituzione della Chiesa Ortodossa d’Ucraina suggerirebbe qualche cautela per il futuro. Nel suo ruolo di evangelizzatrice, l’ortodossia è stata spesso azzoppata, nei secoli, dalla sua non infrequente dipendenza dal potere dello Stato. Nell’Ucraina indipendente nel medio e tardo XXI Secolo, una “Chiesa nazionale” potrà godere di uno status sociale elevato, in quanto espressione di un sentimento patriottico. Ma non susciterà uno zelo religioso maggiore rispetto a quello che il cattolicesimo suscita oggi in un’Irlanda violentemente secolarizzata. Il cristianesimo nel XXI Secolo deve essere proposto e offerto; il cristianesimo contemporaneo non prospera dove la Chiesa dipende dalle vecchie cinghie di trasmissione etno-nazionali e non prospererà mai grazie al pugno di ferro dello Stato.

Sarebbe veramente un bene che la Chiesa e il governo dell’Ucraina si concedano un po’ di spazio, per far sì che la nuova Chiesa unificata si impegni nel lavoro di conversione di un paese i cui cittadini portano ancora le cicatrici dell’Homo Sovieticus, la cui cultura civile è stata profondamente ferita da sette decenni di sovietizzazione. Uno spazio che può rendere più facile un lavoro difficile: la riconciliazione con la nuova Chiesa ucraina di tutte quelle parrocchie che non hanno partecipato al Concilio di Unificazione, per la fedeltà al Patriarcato di Mosca dei vescovi loro supervisori. La gestione della situazione di quelle parrocchie, che oggi costituiscono circa la metà di tutte le parrocchie dell’ortodossia russa, sarà una prova di abilità della nuova Chiesa ucraina. Non c’è dubbio che quella prova sarà resa più difficile dagli intrighi della Chiesa ortodossa russa, sostenuta dal Cremlino. Sarà difficile tracciare una via che preservi la libertà di religione e al tempo stesso sfidi le false pretese moscovite sulle proprietà della Chiesa. Lo Stato ucraino può essere di aiuto in questo, ma non dovrebbe svolgere un ruolo predominante oltre alla garanzia del governo della legge (e, ovviamente, difendere il paese nel caso Putin sfrutti le contese sulle proprietà fra le due Chiese come pretesto per ulteriori aggressioni). Sarebbe ironico, controproducente per l’evangelizzazione, se la relazione fra lo “zar” Putin e la Chiesa ortodossa russa, venisse replicata dal presidente Poroshenko. E chiunque sia il prossimo presidente a Kiev, la Chiesa Ortodossa d’Ucraina non dovrebbe giocare lo stesso ruolo che ha caratterizzato la Chiesa ortodossa russa, cioè quello di cappellano dello Stato, in qualunque sua forma.

Poi ci sono le conseguenze di una nuova ortodossia ucraina autocefala nell’ecumenismo in Ucraina e internazionale.

La spinta all’unificazione e all’autocefalia nell’ortodossia ucraina era tranquillamente sostenuta dalla Chiesa greco-cattolica ucraina, al cui vertice l’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, descriveva il progetto di unificazione come un modo per correggere un torto storico e culturale e aprire nuovi orizzonti ecumenici e di evangelizzazione. Un’ortodossia unificata, diceva Shevchuk, avrebbe eliminato anche gli scandali sui sacramenti. Nessuna delle precedenti Chiese ortodosse ucraine, in lite fra loro, riconosceva il battesimo delle altre, un’assurdità teologica che ha provocato una notevole durezza pastorale: ai soldati ucraini morti per difendere il loro paese, troppo spesso veniva negato un funerale cristiano e la sepoltura nel terreno di una delle Chiese ortodosse, se il soldato in questione apparteneva a un’altra giurisdizione ortodossa.

L’approccio meditato e misurato di Shevchuk alla questione, non sempre è stato apprezzato in Vaticano, che per quattro decenni ha puntato molto sull’ortodossia russa quale ponte principale verso il cristianesimo orientale, una preferenza che è stata ricompensata dal Patriarcato di Mosca con la demonizzazione, tuttora in corso, della Chiesa greco-cattolica ucraina, definita come “aggressore”.

Forse Roma ascolterà più attentamente il suo uomo sul campo in Ucraina, il cui intuito e le cui idee sono stati ancora una volta confermati dagli eventi; forse la Santa Sede rivedrà la sua russofilia, che ora necessita seriamente di un “reset” dopo che il Patriarcato di Mosca ha descritto il processo di unificazione della Chiesa Ortodossa d’Ucraina come frutto di un complotto del Vaticano. Forse, in futuro, all’arcivescovo Shevchuk che ora è a capo della più grande Chiesa cattolica orientale, sarà data la berretta cardinalizia che finora gli è stata negata. Ma qualunque siano le prossime mosse di Roma, Epifanio, il nuovo metropolita ortodosso di Kiev e di Tutta l’Ucraina, dovrebbe certamente guardare al suo vicino greco cattolico per trarne consigli e un saggio esempio. Perché, durante la rivoluzione del Maidan per la dignità in Ucraina, e da allora, la Chiesa greco cattolica ucraina, guidata da Shevchuk, è stata un modello di Chiesa “pubblica”, che non vuol dire cane fedele, né cappellano dello Stato. La nuova Chiesa Ortodossa d’Ucraina unificata dovrebbe studiare molto bene quel modello, così come dovrebbero studiarlo il presidente Poroshenko e gli altri politici ucraini.

La nascita della Chiesa Ortodossa d’Ucraina autocefala comporta anche conseguenze sull’ecumenismo internazionale. A lungo, l’ortodossia russa ha rivendicato il ruolo di “Terza Roma”, che implica un’egemonia non dichiarata nell’ortodossia mondiale. Quella rivendicazione è basata sia sulla demografia (l’ortodossia russa ha il maggior numero di fedeli nel cristianesimo orientale), sia sull’indipendenza dallo Stato (amara ironia, considerando che l’ortodossia russa è senza dubbio più asservita al Cremlino di quanto il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli lo sia del governo turco). D’ora in poi, tuttavia, il numero di fedeli ortodossi russi diminuirà notevolmente a causa della costituzione della Chiesa Ortodossa d’Ucraina. E grazie alla sua abilità e la pazienza dimostrate nel guidare a distanza la creazione della Chiesa Ortodossa d’Ucraina, l’autorità del Patriarca Ecumenico Bartolomeo sarà rafforzata in quelle parti del mondo ortodosso non sottoposte al controllo di Mosca (o non iscritte nel suo libro paga).

Le trasformazioni nel cristianesimo non sempre cambiano il volto alla politica internazionale in un mondo post-moderno. La creazione di una Chiesa ortodossa autocefala in Ucraina può tuttavia essere l’eccezione. E in ogni caso, è una buona notizia per il futuro del cristianesimo e della sua unità.

*George Weigel è consigliere anziano dell'Ethics and Public Policy Center. È autore di Witness to Hope, biografia di papa Giovanni Paolo II. Questo articolo è apparso in lingua originale su National Review Online con il titolo In Ukraine, a Seismic Ecclesiastical Shift