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EX URSS

Ucraina, guerra senza apparenti soluzioni

Le milizie pro-russe lanciano la loro offensiva in Ucraina orientale. Le stragi di civili a Donetsk e Mariupol costringono un Occidente distratto a riaprire gli occhi sulla crisi a Est. Ma nessuno è in grado o ha la volontà di fermare la Russia e la sua espansione territoriale. Tantomeno le istituzioni internazionali. Mentre la disinformazione di Mosca fa passare solo la sua "verità".

Esteri 27_01_2015
Mariupol bombardata

Ci sono volute ben due stragi di civili causate dai bombardamenti che hanno colpito altrettanti autobus nelle vicinanze e nella città di Donetsk, e poi quella ben più cruenta e devastante nel mercato della città di Mariupol, per fermare di nuovo lo sguardo sul conflitto nell’Est Europa. E per far riflettere sulla crudeltà di una guerra che sta evolvendo al peggio - nello stesso continente scosso, molto di più, dalle imprese del terrorismo islamico a Parigi – non solo per le crescenti vittime e le distruzioni materiali che sta provocando, ma soprattutto per la devastazione degli animi nel trionfo della disinformazione e della menzogna. E nel ripetuto oltraggio della persona umana, con la nuova sfilata di prigionieri ucraini e la loro esposizione al linciaggio sui luoghi insanguinati.

Ed ancora: nella constatazione dell’impossibilità della comunità internazionale nemmeno di venire a conoscenza di quel che veramente accade, disorientata dal puntiglioso rimpallo delle responsabilità. Anche dinanzi ad apparenti evidenze – come mesi fa nell’abbattimento dell’aereo malese, adesso nel terroristico bombardamento del centro di Mariupol – che non possono ragionevolmente reggere a cocciute smentite. Nell’ultima riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è continuato lo squallido scambio di violentissime accuse tra i diplomatici rappresentanti degli Stati Uniti e della Russia, tanto da far parlare dell’inizio della nuova guerra fredda tra i due paesi.

Dal dibattito, animato anche da rappresentanti di altri paesi, sono emerse circostanze che imporrebbero l’invio immediato di “caschi blu”. Oggi a controllare un’area di qualche chilometro ci sono una cinquantina di osservatori neutrali dell’Osce ( Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa), mentre la Russia spadroneggia su un confine di centinaia di chilometri, facendolo attraversare da uomini (il presidente ucraino Petro Poroshenko parla di ben novemila soldati) e mezzi di ogni genere, dai carri armati alle armi più sofisticate, a sostegno dei combattenti separatisti. Non viene esercitato alcun controllo nemmeno sulle autocolonne degli asseriti aiuti umanitari che Mosca afferma di “dover” inviare alla popolazione russofona, aggredita da un “regime neo nazista, strumento della politica aggressiva e antirussa degli Stati Uniti d’America”. 

Non si sa nemmeno quante siano le vittime, per approssimazione i morti sarebbero circa cinquemila, senza distinzione tra civili e militari. La Russia non riferisce mai quanti suoi soldati o miliziani siano stati uccisi o feriti, i suoi mass-media riferiscono talvolta di vittime civili, mentre un portavoce ucraino riferisce ogni giorno il numero dei soldati caduti e feriti. L’enfasi più deleteria avvolge invece i combattenti: per i russi la maggioranza di quelli ucraini sono “estremisti della destra fascista e nazionalista”; per gli ucraini la minoranza di quelli russi sono “delinquenti”, ora “dopati di alcool e droga”, che non avevano ancora finito di scontare le condanne in carcere, e “terroristi reduci da imprese criminali nelle guerre di Cecenia e Georgia”.

Così la natura del conflitto – l’espansionismo territoriale della Russia cominciato nel Caucaso, rivelatosi in pieno con la guerra alla Georgia e la separazione dell’Abkhazia e dell’Ossezia, e proseguito con la messinscena del referendum separatista anti-ucraino e l’annessione della Crimea – viene ammantata e alimentata da motivazioni ideologiche. E’ lampante l’ultimo obiettivo di stabilire la continuità territoriale con la Crimea e strategica lungo la costa settentrionale del Mar Nero. Come è impressionante l’assenza di alcun pronunciamento della Corte internazionale dell’Aja sulle flagranti violazioni della sovranità territoriale, prima della Georgia, poi dell’Ucraina che rende ancora più amara l’impotenza delle Nazioni Unite a fermare, e nemmeno a riprovare, l’operato di una potenza, la Russia, che gode di assoluta  e incontrollata agibilità per il privilegio dell’immunità nel Consiglio di Sicurezza. Ancorché fermamente negata a parole.

Nel frattempo la situazione peggiora. Dopo 242 giorni di accanita resistenza, i soldati ucraini sono stati costretti a ritirarsi dalle macerie dell’aerostazione di Donetsk, dove “non c’era più un riparo” (ha sostenuto il portavoce militare a Kiev); in effetti una vittoria dal grande valore simbolico dei miliziani separatisti, che in effetti l’hanno paragonata a quella di Stalingrado dell’Armata rossa su quella nazista! Il Parlamento ucraino ha approvato prima un disegno di legge con cui il paese ha rinunciato allo status di equidistanza dalle alleanze militari, impegnandosi a soddisfare i criteri di adesione alla Nato (vista come futura ancora di salvataggio); quindi ha deciso la mobilitazione di 50 mila riservisti, la prima di tre classi. A Kiev una marcia di decine di migliaia di persone per l’unità territoriale della nazione, contro il terrorismo e per la pace si è conclusa nella stessa piazza del Maidan (quella della rivolta popolare contro il presidente filo-russo) con le preghiere dei capi delle chiese cristiane (fra i quali il patriarca ucraino-ortodosso Filarete, l’arcivescovo maggiore greco-cattolico Sviatoslav Shevchuk) e delle comunità ebraica e  musulmana.

A Berlino una riunione dei ministri degli Esteri di Germania, Francia, Russia e Ucraina è riuscita a concordare soltanto la richiesta alle forze in campo di ritirare dalle linee del fronte gli armamenti pesanti; respinta subito però dai capi politici e militari separatisti che, con il rafforzato apparato bellico e con il sostegno costante russo, hanno intrapreso un’offensiva per ampliare il controllo sul territorio ucraino. Il 15 gennaio era saltato l’incontro al vertice ad Astana, capitale del Kazakistan, tra Putin, la Merkel, Hollande, Poroshenko, ospiti del presidente Nazarbaev. Alla vigilia erano apparsi nelle due regioni separatiste i manifesti della “Pobieda” (vittoria) in concomitanza con l’annuncio del capo militare Igor Shelkov che i “Partigiani della Nuova Russia” (Fan) erano passati “con successo” all’offensiva. Accompagnate dalle dichiarazioni di Pavel Yourievitch Goubarev, uno dei capi politici di Donetsk, secondo cui “tutto procede come deve, secondo il piano iniziale”.

Il 15 gennaio Poroshenko aveva ricevuto da Putin un “piano di pace”. Al Consiglio di Sicurezza dell’Onu la rappresentante degli Stati Uniti, Samantha Power, ne ha così parlato: “Lasciatemi svelarne il contenuto. Il suo vero nome è piano di occupazione. Legittima infatti l’avanzata dei ribelli quando si deve ancora implementare il piano di pace contemplato dall’accordo di Minsk (di quattro mesi fa, ndr) che la Russia ha firmato e disatteso”. Le ha replicato il rappresentante russo Vitaly Churkin: “Dobbiamo dire pane al pane. Gli Stati Uniti stanno avendo un ruolo devastante. Dopo ogni visita di alti funzionari americani in Ucraina, il governo di Kiev intensifica lo scontro”.

“Se arriveranno aiuti militari americani all’Ucraina - aveva detto giorni prima Putin - i rapporti verranno compromessi a lungo”. E illustrando la nuova versione della sua dottrina militare, aveva definito la NATO “una minaccia primaria per la sicurezza russa”. Come uscire da questa logica? Come si può porre fine a questa guerra che papa Francesco cita per prima tra le tante sullo scenario mondiale? Il “piano iniziale” per la separazione delle regioni russofone dell’Ucraina e la destabilizzazione della nazione, rea di essersi volta verso l’Unione Europea e l’Occidente, prevede - sempre secondo Goubarev -  tempi lunghi: “Evidentemente non può procedere velocemente e incontra ostacoli. Ma non c’è ragione di inquietarsi”, ha detto.

Tanta tranquillità e sicurezza riposa anche sull’imponente, capillare ed efficiente apparato di disinformazione, erede delle struttture del Kgb, grazie al quale il Cremlino è riuscito non solo a imporre la sua verità sul conflitto in patria, portando alle stelle il consenso alla politica del regime; ma anche in molte nazioni europee, come la nostra, ove ha ottenuto che si sia propagata – anche se non generalmente affermata – una percezione distorta o quanto meno controversa, della guerra e dei valori che sta calpestando. (Al contrario di quel che avviene nei Paesi baltici e in Polonia, immunizzate dalle dolorose, mai dimenticate, esperienze del passato).

Da qui la distrazione, se non la resistenza, l’apparente fastidio a seguire attentamente il conflitto che si sono insinuate nelle coscienze di molti responsabili politici e dell’informazione. Essi non dovrebbero mai stancarsi dal denunciare, almeno per coerenza con quel che sono soliti proclamare e per rispetto della recente memoria storica (le conseguenze dell’operato nazista in Europa), le violazioni dell’ordine internazionale, che sono all’origine del conflitto, e dal ricordare i principi fondanti della convivenza fra i popoli. Preferiscono invece non evocarli. E tra di essi non pochi hanno pronta una spregiudicata giustificazione: quella di voler scongiurare, in aggiunta alle contro-sanzioni di Mosca, altre pesanti ritorsioni di ordine economico e negative “sorprese” in campo energetico, proprio in pieno inverno.