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ESTERI

Ucraina, cosa ci ha portato sull'orlo della guerra

Dopo il vertice tra ministri degli Esteri, Russia e Stati Uniti restano distanti, mentre il contestato referendum in Crimea può far precipitare la situazione. Appello delle Chiese cristiane alla pace e all'integrità dello Stato ucraino.

Esteri 15_03_2014
Sergei Lavrov e John Kerry

Sulla crisi ucraina «non c’è una visione comune». Quella espressa ieri dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, dopo un colloquio di sei ore con il segretario di Stato americano John Kerry a Londra, è l’unica cosa certa e, diciamo pure, ovvia. Talmente ovvia che pare assurdo non averci pensato prima facendo arrivare la tensione nelle diverse parti dell’Ucraina a un punto di difficile ritorno. Non solo, anche Georgia e Moldavia, oltre ai paesi Baltici, sono ora in allerta. Alla vigilia di un contestato – e non riconosciuto (se non dalla Russia) - referendum in Crimea, che potrebbe portare alla secessione di questa regione dall’Ucraina e all’integrazione nella Russia, la situazione appare più incerta che mai. Gli Stati Uniti hanno chiesto alla Russia di fermare questa consultazione o quantomeno di non riconoscerne il risultato, l’unica cosa che hanno ottenuto è che il presidente russo Vladimir Putin non prenderà comunque nessuna decisione prima dei risultati.

Anche l’Unione Europea minaccia ritorsioni, la cui credibilità è però decisamente scarsa, sia per l’attuale dipendenza dal gas russo, sia per la crisi economica che l’attanaglia, sia infine per la cronica incapacità di esprimere una politica estera comune.

Così sul terreno la paura di un conflitto o di nuove discriminazioni è palpabile e cresce di ora in ora. A cominciare dalla Crimea, dove si dà già per scontata la vittoria nel referendum per i filo-russi. In passato abbiamo già detto della pesante eredità storico-geografica che fa dell’Ucraina un paese complicato (leggi qui), con un ovest culturalmente più vicino all’Europa centrale e la parte orientale del paese e la Crimea decisamente vicine alla Russia. Ma le divisioni si ripetono anche all’interno di ciascuna regione. Nella stessa Crimea i cittadini di etnia russa sono il 58%, mentre il 25% sono ucraini, il 12% tatari, e il restante un mosaico di nazionalità (romeni, moldavi, ecc.). Comprensibile perciò che ucraini e tatari siano molto preoccupati da questa ventata nazionalista russa. E se la Crimea “salta” ben difficilmente la questione potrà restare circoscritta.

A farsi interpreti dei timori della popolazione sembrano essere soltanto le Chiese cristiane: «Nessuno sa cosa accadrà, molta gente sta cercando di vendere le case e andare in altre parti dell’Ucraina», ha detto al Catholic News Service (CNS), padre Mykhailo Milchakovskyi, cappellano militare cattolico di rito orientale. «La nostra Chiesa – ha proseguito – non ha alcuno status legale nella Federazione Russa, e non sappiamo quale legge sarà applicata in caso di annessione alla Russia. Temiamo la confisca delle nostre chiese e l’arresto dei sacerdoti».

Interessante anche la testimonianza diffusa dall’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), quella del prete ucraino don Oleksandr Khalayim, appena tornato in Italia dopo un lungo periodo passato nel suo paese natale: Don Oleksandr è stato anche a Kiev nel luogo simbolo delle proteste, piazza Maidan, e spiega come le diverse Chiese del paese, inizialmente caute, abbiano ben presto compreso l’importanza di inviare sacerdoti fra i dimostranti. Nella piazza è stato allestito un grande tendone nel quale si celebrano le diverse liturgie 24 ore su 24. «Quanto è accaduto è servito a sanare le divergenze tra le varie confessioni cristiane  – spiega – Ora i fedeli pregano uniti e le Chiese ortodosse d’Ucraina hanno espresso il desiderio di fondersi insieme». Ai manifestanti non è mai mancato il sostegno spirituale. «Era sufficiente camminare tra la folla in abito talare perché qualcuno chiedesse di essere confessato o semplicemente di parlare. Io e i miei amici sacerdoti non smettevamo un minuto di piangere: abbiamo ascoltato storie commoventi, di uomini sfiniti che hanno iniziato a lottare nel 2004, durante la rivoluzione arancione, ed avevano perso ogni speranza».

In merito al referendum di domenica 16 marzo per la separazione della Crimea, il pensiero di don Oleksandr va agli otto sacerdoti che operano nella penisola contesa. «Non è stato possibile inviare loro nulla, neanche le medicine. Per la strada s’incontrano moltissimi controlli e i voli da Kiev per Simferopoli e Sebastopoli sono stati cancellati. Le due città si possono raggiungere solo partendo da Mosca». Inoltre la locale comunità musulmana, i tatari, minacciano di scatenare una guerra santa, qualora la Crimea divenisse russa.

La preoccupazione è grande anche fra gli ortodossi e – in qualche modo sorprendentemente – sia per il Patriarcato di Kiev sia per il Patriarcato di Mosca. L’arcivescovo di Simferopoli e Crimea, Kliment, afferma che gli ucraini in Crimea sono in pericolo di vita, e in questi giorni già due volte è sceso in piazza a Simferopoli   per guidare una preghiera per la pace e per il mantenimento dell’integrità del Paese.

Ma anche il metropolita Onufry, della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Mosca, ha lanciato un appello a mantenere l’armonia sociale e l’integrità del paese. Onufry ricorda che l’Ucraina è un paese internazionale, con molte etnie che devono «imparare a rispettare la cultura degli altri». «Il mio più fervente desiderio come vescovo della Chiesa ortodossa ucraina è che la Russia faccia tutto il possibile per preservare l'integrità territoriale dell'Ucraina – ha detto -. In caso contrario verrà inferta una sanguinosa ferita all'unità dei nostri due popoli, che si rifletterà in modo doloroso sulle nostre relazioni reciproche». 

In queste parole – sorprendenti data la storica vicinanza del Patriarcato di Mosca alle ragioni del governo russo – c’è tutta la consapevolezza di quanto grave sia l’attuale crisi ucraina e le conseguenze che ne potranno scaturire se l’escalation non verrà fermata.

Sono anche parole e testimonianze che rivelano tutta l’inadeguatezza di alcune interpretazioni della crisi ucraina, secondo cui il vero conflitto sarebbe tra un potere mondialista da una parte (rappresentato da Usa e Ue, ma sostanzialmente guidato da una cupola massonica e ovviamente ebrea) e chi non vuole omologarsi dall’altra (Putin). In questa prospettiva - che va per la maggiore anche in diversi siti cattolici - la rivoluzione ucraina sarebbe “finta”, ovvero telecomandata da Usa e Ue per eliminare il più grosso ostacolo al disegno mondialista, cioè Putin, che assurge così a eroe della resistenza, immagine rafforzata anche dalle sue ben note posizioni contro la propaganda omosessualista e per la limitazione dell’aborto.

In realtà, pur non negando la possibilità che si possano essere aggiunti nuovi motivi di frizione, si deve però riconoscere che la conflittualità tra Europa e Russia affonda le radici nei secoli, e per motivi sia culturali sia strategici. Abbiamo già ampiamente spiegato le ragioni per cui la Russia considera il suo intervento in Crimea un’iniziativa di difesa e non di attacco, fatto sta che l’Ucraina è geograficamente collocata in quella sorta di ideale confine tra le due entità.

Il dato geopolitico è così evidente per gli analisti che già nel 2008 George Friedman, nel suo libro The Next 100 years (I prossimi cento anni, qui puoi trovare la parte che riguarda l'Ucraina) prevedeva una crisi proprio in Ucraina, dovuta alla “necessità” della Russia di allargare la propria fascia di sicurezza a ovest, bloccando l’avanzata della Ue e della Nato resa possibile dalle drammatiche condizioni della Russia dopo il crollo del regime comunista. Ma da una decina d’anni ormai la Russia ha ripreso gradualmente forza e ora si trova in posizione di vantaggio rispetto a un’Europa in grosse difficoltà. Da qui la volontà di recuperare l’influenza sui vecchi stati dell’Unione Sovietica, figurarsi la possibilità di perderne un altro come l’Ucraina.

In altre parole, qualsiasi cambiamento di politica a Kiev presupponeva un accordo diretto con la Russia, con l’offerta di garanzie concrete per la salvaguardia dei suoi interessi, e all’interno sicuramente un governo che rappresentasse tutte le parti del paese, non soltanto – come è adesso – quelle filo-europee delle regioni occidentali.
Ora la situazione si è maledettamente complicata e peraltro in Europa non si vedono leader politici in grado di guidare i rispettivi governi o parti verso una soluzione diplomatica della crisi. Per questo si deve prendere ancora più sul serio l’appello alla preghiera che viene dalla Chiesa cattolica ucraina così come dalle Chiese ortodosse di Kiev e di Mosca.