Ucciso perché non credeva agli stregoni. Sarà santo
Il Papa ha firmato un decreto di martirio, cosa che spiana la strada alla beatificazione di Benedict Daswa. L’uomo, sudafricano nato nel 1946, era cattolico e si opponeva a che il suo villaggio si rivolgesse agli stregoni. Per questo, Daswa venne assassinato, accusato di fare il gioco degli spiriti malvagi.
Si stava meglio quando si stava peggio? A parte qualche caso finito bene, di solito le rivoluzioni sembrano risolversi in un lèvati-tu-che-mi-ci-metto-io e il vecchio aneddoto di Nerone pare restare sempre valido. Ricordate? Mentre passava l’imperatore tutti tacevano cupi, solo una vecchietta gli gridava «lunga vita!». L’imperatore, stupito, si fermò e le chiese come mai lei fosse l’unica a non odiarlo. Quella rispose che nella sua lunga vita aveva troppe volte constatato che il successivo, malgrado le speranze, si era rivelato peggiore del precedente; perciò, aveva giudicato che era meglio tenersi l’attuale.
Certo, l’apartheid era una brutta cosa, ma un paragone di cifre tra il Sudafrica boero e quello mandeliano forse riserverebbe qualche sorpresa. Per quanto riguarda la repubblica “arcobaleno”, un tempo la più ricca e avanzata d’Africa, il Papa ha dovuto firmare un decreto di martirio, cosa che spiana la strada alla beatificazione di Benedict Daswa, un nero, e sentite perché. L’uomo, nato nel 1946, era di etnia Lemba e abitava nel Nord del Paese. Suo padre morì presto e il peso della numerosa famiglia ricadde sulle sue giovani spalle: la madre, tre fratelli e una sorella. Nel 1963 abbracciò la religione cattolica, subito seguito da sua madre. Fece il catechista, il muratore in parrocchia e presto divenne un punto di riferimento per la comunità cristiana locale. Aveva studiato e ciò lo portò a ricoprire la carica di direttore della scuola. Si sposò con Evelyn ed ebbe sette figli. La moglie aspettava l’ottavo quando avvenne quel che andiamo a narrare.
Daswa viveva con la famiglia nel villaggio di Mbahe, dalle parti di Limpopo. Ma il 25 gennaio del 1990, durante una tempesta, una scarica di fulmini si abbatté sull’abitato e incendiò dei grossi covoni di paglia ammucchiata. Niente di grave, tutto sommato, ma il grosso della gente era animista e subito credette all’intervento degli spiriti maligni. Il capo del villaggio convocò l’assemblea per rimediare e vedere come stornare dalla comunità la malasorte. Occorreva, dunque, individuare esattamente quale demone era il responsabile e trovare il modo di neutralizzarlo. Si decise di affidarsi a uno stregone, che però bisognava, ovviamente, pagare. Ogni famiglia avrebbe perciò dovuto tassarsi in ragione di 5 rand (la moneta sudafricana) a persona. Daswa, trattenuto dal lavoro, arrivò alla riunione a cose fatte. Ma dichiarò che non aveva alcuna intenzione di pagare, perché lui agli stregoni non credeva. Cercò di spiegare che si era trattato di semplici fulmini, un fenomeno naturale e non demoniaco, ma non ci fu niente da fare. Allora, visto che non riusciva a far sentire ragioni, la buttò sul religioso, la sola cosa che, ancora oggi, troppi africani capiscono: lui era cattolico, disse, e la sua fede gli proibiva di ricorrere agli stregoni. Detto questo, se ne andò.
Già, però le influenze maligne permanevano; anzi, forse era proprio Daswa, con la sua miscredenza, ad attirarle. Così ragionò l’assemblea. La riunione venne aggiornata, ma era chiaro che per gli intervenuti il problema era davvero Daswa. Con la sua cocciutaggine non solo avrebbe reso difficoltosa la liberazione del villaggio dagli spiriti cattivi in quel frangente, ma di certo di frangenti del genere ce ne sarebbero stati altri se non si eliminava l’ostacolo. L’ignoranza e la superstizione sono l’anima della barbarie, la quale conosce un solo modo per risolvere i problemi: quello spiccio. Il 2 febbraio una folla di fanatici aggredì e linciò Benedict Daswa a colpi di pietra. Era in ginocchio quando gli diedero il colpo di grazia col “knobkerrie”, l’arma tradizionale: un bastone con una grossa protuberanza all’estremità. Mentre gli sfondavano il cranio ebbe solo il tempo di raccomandarsi al Signore. Il “rito” prevedeva che sul capo dell’ucciso venisse versata acqua bollente, e fu eseguito. Lo abbiamo già scritto nella prefazione al libro su Mandela (D’Ettoris editore) e lo ripetiamo: il problema dell’Africa può essere affrontato solo dai missionari e tramite l’evangelizzazione. Se non cambiano le teste, nulla cambierà mai. E le teste, da quelle parti, si cambiano solo per via religiosa.