Uccidere un fascista? A Sinistra ora è "ingiusto, ma..."
Cresciuto ai tempi di «uccidere un fascista non è reato», per Gad Lerner è già tanto se concede che la morte del missino Sergio Ramelli fu «ingiusta». Anche se condita dai soliti "ma...". L'ultimo in ordine di tempo: "Non forniamo ai fascisti protetti dalla Lega degli alibi".
Anni fa io e Gad Lerner eravamo vicini di casa. Abitavamo nello stesso stabile e sovente ci incrociavamo, salutandoci cordialmente, davanti alle cassette della posta. Un giorno, sapendo bene chi ero, mi fece telefonare dalla sua segreteria. Era un invito per il talkshow che allora conduceva sulla neonata La7. Tema: la pornografia. Ormai scafato ospite dei talk televisivi di ogni rete, chiesi preventivamente chi altri c’era a parlare del tema. Mi rassicurarono: io e Marina Corradi, editorialista di «Avvenire», poi alcuni imam musulmani in collegamento, una filosofa laica (a quel tempo à la page) e una pornostar francese. Pensai che il parterre era equilibrato e ci potevo anche stare.
Ma avevo fatto i conti senza l’astuto conduttore. Al centro della scena (e dell’intera trasmissione, scopersi) c’era la pornostar. Tutti erano dotati di microfono al bavero tranne me e la giornalista di «Avvenire». Così, mentre gli altri potevano intervenire continuamente, io e lei dovevamo aspettare che ci venisse messo sotto il naso un microfono portatile. Lo show era in diretta e, senza microfono, a niente sarebbe servita la sceneggiata di alzarsi e andarsene. La puntata fu tutta una glorificazione della pornostar e del libro che aveva scritto, con la filosofa che la riempiva di complimenti. I «cattolici» si ritrovarono paradossalmente d’accordo con gli imam musulmani.
Il conduttore, bontà sua, venne a un certo punto a sentire anche me, ma, quando aprii bocca, rinfacciò che la Chiesa aveva inventato la stella gialla sui vestiti degli ebrei. Provai a ribattere che l’invenzione era degli Almoravidi di Spagna, ma mi fu subito tolto il microfono, che mai più rividi per il resto della puntata. Ora, leggo nella cronaca di Milano che l’omaggio al «murale» che ricorda l’omicidio di Sergio Ramelli è finito in tafferugli tra «fascisti» e «antifascisti». Le autorità, chissà perché, hanno consentito ambedue i cortei. Pur sapendo come sarebbe andata a finire. Non solo. Leggo che stanno scansionando i video per vedere chi ha fatto il saluto romano (e incriminarlo a sensi della Legge Scelba). Quarantaquattro anni fa l’adolescente Ramelli fu sprangato a morte con chiave inglese tipo Hazel. Ancora oggi è difficile trovare un prete che gli dica messa. In compenso, il 25 aprile u.s. l’arcivescovo ha presenziato alla cerimonia (primo presule milanese a farlo).
I sessantottini oggi sono sessantottenni e non gli è rimasto altro per giustificare la loro altrimenti inutile presenza. Lerner ha twittato, su Ramelli, che «la memoria della sua morte ingiusta merita rispetto», sì, ma, mi raccomando, «non forniamo alibi ai fascisti che, protetti dalla Lega di Salvini, infestano di nuovo l’Italia con azioni violente, razzismo e culto dell’uomo forte». Eh, buon vecchio (ormai…) Gad Lerner.
Cresciuto ai tempi di «uccidere un fascista non è reato», è già tanto se concede che la morte di quel ragazzo missino fu «ingiusta», bontà sua. Certo, se procede con questa lentezza verso il pieno recupero di un buon senso non affumicato dall’ideologia, val la pena di ricordargli, con Keynes, che «nel lungo periodo saremo tutti morti». Sapete perché a lui e al suo collega Santoro non affidano più talkshow «di approfondimento»? Per non portare ulteriori voti alla Lega. Qualcuno lo informi.