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FINE VITA

Tutu e gli altri. Quei vescovi anglicani per l'eutanasia

La Gran Bretagna entra nel vivo del dibattito sul disegno di legge sull'eutanasia e un pezzo di Chiesa anglicana si schiera a favore della dolce morte. Non si tratta di sacerdoti qualunque, bensì del premio Nobel Desmond Tutu e dell'ex arcivescovo di Canterbury George Carey.

Vita e bioetica 26_07_2014
Lord Carey

Se un laziale vi dicesse che la Roma è la migliore squadra del mondo, in voi potrebbero nascere almeno due reazioni. O credere che il tifoso laziale abbia perso la testa oppure trovarvi ad apprezzare più di prima questa squadra. “Se lo ammette pure un laziale – pensereste voi – c’è proprio da credergli”. Ecco, un fenomeno simile si sta verificando nel Regno Unito in merito al progetto di legge sull’eutanasia, in questi giorni in discussione presso la Camera dei Lord e proposto dall'ex ministro della Giustizia e laburista Lord Falconer of Thoroton. Uomini di chiesa – seppur di fede anglicana – plaudono a questo progetto. Un mega spot alla “dolce morte”, una questione spinosa che può essere accettata non solo dai mangiapreti, ma finalmente ora anche dai preti stessi.

La bozza del testo di legge, che mira a depenalizzare il reato di suicidio assistito e che se entrerà in vigore sarà valida solo per l’Inghilterra e il Galles, prevede che i medici saranno legittimati a prescrivere dosi letali di farmaci ad un paziente maggiorenne solo dopo il parere di due specialisti e con prognosi infausta: meno di sei mesi di vita. Naturalmente servirebbe il consenso del futuro de cuius, consenso prestato liberamente, in piena capacità di intendere e volere e perdurante nel tempo. Inoltre ci sarebbe l’obbligo in capo ai medici di informare il paziente che esistono anche altre metodiche per affrontare l’ultimo miglio della propria esistenza, come le cure palliative. Un’altra lezione su come un reato non è più tale se si rispettano tutte le regole del caso. La forma val più che il contenuto.

Dicevamo prima che alcuni prelati fanno il tifo per l’eutanasia made in England. E non prelati qualsiasi. Da una parte abbiamo l'ex arcivescovo di Canterbury, Lord George Carey, il quale al Daily Mail ha fatto sapere che eliminare il divieto di eutanasia non sarebbe “anticristiano”. Lord Carey ammette di aver cambiato idea sull’eutanasia per due motivi. Il primate d’Inghilterra ha avuto modo di accompagnare fino al trapasso l’attivista per il “diritto” a morire Tony Nicklinson colpito dalla sindrome locked-in. «Le vecchie certezze filosofiche sono crollate di fronte alla realtà della sofferenza inutile» racconta il prelato che poi ci informa come lo snodo principale della sua conversione all’eutanasia si fosse incardinato su questa domanda che al tempo dell’agonia di Nicklinson si era più volte posto: «Forse che sto anteponendo la dottrina alla compassione, il dogma alla dignità umana?».

Ma c’è un secondo fatto che ha turbato la coscienza di Lord Carey: i viaggi di alcuni pazienti inglesi verso la clinica svizzera Dignitas al fine di sottoporsi a trattamenti eutanasici. «Personalmente – scrive l’ex arcivescovo - reputo una macchia vergognosa sulla reputazione del nostro Paese […] il fatto che queste persone non abbiamo trovato qui da noi un'alternativa migliore rispetto alla clinica di Zurigo». Come per dire: è vergognoso che il Regno Unito non si sia dotato ancora di una legge sull’eutanasia. Secondo l’ex primate della Chiesa di Inghilterra anche il Vangelo è dalla sua parte dato che «uno dei temi chiave dei Vangeli è l'amore per gli altri esseri umani» ed ha aggiunto che «oggi siamo di fronte a un paradosso cruciale. Nel rigoroso rispetto della sacralità della vita, la Chiesa ora effettivamente si potrebbe trovare a promuovere l'angoscia e il dolore, l'opposto di un messaggio cristiano di speranza. La vita è preziosa quando è degna di essere vissuta». La svolta di Carey ha destato sconcerto perché questi, mentre era primate dal ’91 al 2002, si è sempre battuto contro le derive eutanasiche.

Ma non c’è solo l’ex arcivescovo di Canterbury ad incensare la futura legge sull’eutanasia. È sceso in campo (santo, verrebbe da dire visto l’argomento) persino l’arcivescovo anglicano nonché premio Nobel per la Pace Desmond Tutu. Anche in questo caso il piatto della bilancia si è inclinato a vantaggio della “dolce morte” a motivo della scomparsa di una persona cara, una morte eccellente: trattasi di Nelson Mandela. Al The Observer Tutu ricorda gli ultimi momenti della vita del suo connazionale: «Non parlava. Non era più in contatto. Il mio amico non era più lui. È stato un affronto alla sua dignità. Ogni persona ha diritto ad una morte decente. Io mi inchino alla santità della vita, ma non ad ogni costo». Ha poi aggiunto: «Ritengo che quando ti servono le macchine per continuare a respirare, allora bisogna porsi delle domande sulla qualità della vita e sul modo in cui i soldi vengono spesi».

L’effetto mediatico di questi interventi ferali sulla carta stampata è assicurato: se anche l’uomo di fede è favorevole ad uccidere il nonno agonizzante, allora cadono tutte le remore di carattere religioso che appaiono essere solo falsi moralismi, vuoti legalismi per coscienze bigotte ed ottuse. Viva la misericordia che ti porta alla tomba, viva la pietà letale che passa per un’iniezione fatale. La vera fede non è in Cristo ma nell’eutanasia.

Come contraltare all’uscita di questi due esimi uomini di chiesa, 23 capi religiosi hanno firmato una lettera aperta contro il disegno di legge di Lord Falconer. Tra questi ricordiamo il successore di Carey, l'arcivescovo di Canterbury Justin Welby, il quale ha dichiarato che gli anziani vivrebbero con una spada di Damocle sopra la testa e sarebbero “messi sotto pressione per porre fine alla loro vita, se il suicidio assistito fosse consentito dalla legge.” Altri firmatari sono il cardinale cattolico Vincent Nichols, il rabbino capo Ephraim Mirvis, il segretario generale del Consiglio islamico britannico, Shuja Shafi, il leader del Forum induista, Ramesh Pattni, e il direttore delle Organizzazioni sikh, Lord Singh. Anche sulla sponda laica si sono levate voci di dissenso: tra i molti ricordiamo la British Medical Association.