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KOSOVO

Tutti i crimini commessi dai nostri "alleati" dell'Uck

Nel 1999 la Nato aiutò l'Uck a scacciare i serbi dal Kosovo e, nel decennio successivo, gran parte dell'Ue sostenne il suo progetto politico fino all'indipendenza. Ora si scopre, grazie al rapporto della Sitf (commissione della Ue), quanti crimini abbia commesso l'Uck. E il suo legame con la jihad.

Esteri 11_08_2014
Guerriglieri dell'UCK

La task-force investigativa speciale (SITF) istituita dalla UE per indagare sulle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario compiute dall’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) al termine del conflitto con la Jugoslavia ha recentemente comunicato i risultati del suo operato, facendo finalmente luce su una serie di gravi crimini perpetuati sul territorio dell’ex provincia autonoma di Kosovo e Metohija.

Come affermato dal Procuratore Capo Clint Williamson, le informazioni raccolte riguardo ad alcuni membri di spicco dell’organizzazione armata hanno evidenziato che questi sono direttamente responsabili della «campagna persecutoria diretta contro i Serbi, i Rom e le altre popolazioni minoritarie del Kosovo, nonché contro altri Albanesi del Kosovo» accusati di essere collaboratori dei serbi o, più comunemente, contrari ai vertici dell’UCK. Nello specifico, prosegue Williamson, questi individui ordinavano omicidi, sequestri di persona, sparizioni e detenzioni illegali in campi del Kosovo e Albania, rendendosi responsabili anche di violenze sessuali e della distruzione e profanazione di chiese ed altri luoghi sacri. A tali pratiche vanno aggiunte anche l’estensione delle violenze contro molti oppositori politici e l’uso sistematico della pulizia etnica al fine di eliminare la presenza di Serbi e Rom a sud del fiume Ibar.

Queste conclusioni, come ha puntualmente sottolineato il Procuratore, sono in linea con quanto descritto dal report realizzato nel dicembre 2010 dallo Svizzero Dick Marty che, davanti al Consiglio d’Europa, aveva denunciato i crimini compiuti dall’UCK, soprattutto quelli connessi al traffico di organi umani. Quest’ultima grave accusa è stata confermata anche da Williamson, che però ha evidenziato come l’assenza di prove sufficientemente consistenti non permetta l’avvio di un processo a riguardo, per il quale, come riportato dal Večernje Novosti, si sarebbe detta pronta a rientrare in gioco anche Carla del Ponte, ex Procuratore Capo dell’ICTY.

L’impatto di queste dichiarazioni, come acutamente evidenziato da The Guardian, sarà particolarmente violento sia per il Kosovo, sia per l’Europa e gli Stati Uniti, che avevano sostenuto con convinzione i leader dell’UCK non solo durante il conflitto con la Jugoslavia, ma anche negli anni successivi. L’imbarazzo occidentale, comunque, per il momento sembra essere contenuto, anche se i fatti di cui sopra dovrebbero spingere ad una profonda riflessione i policymakers, poiché quello in analisi non è che l’ultimo di una lunga serie di casi in cui un ex-alleato viene accusato degli stessi gravi crimini del regime che la NATO e i suoi partner si sono impegnati ad abbattere o colpire congiuntamente (basti pensare ai Talebani in Afghanistan o ai ribelli estremisti in Siria).

Ancor più precaria, però, pare essere la posizione dell’ex provincia Autonoma, costretta ad affrontare ora non solo la pesante eredità lasciata dai vertici del movimento armato che le ha dato l’indipendenza, ma anche le minacce ben più pressanti provenienti dagli ambienti dell’integralismo islamico. Ha fatto pertanto molto scalpore la storia di Lavdrim Muhaxheri, il più famoso jihadista kosovaro, impegnato ora nella guerra in Siria.

Questi, infatti, dopo aver postato delle foto su Facebook in cui lo si vedeva reggere il capo mozzato di un giovane ragazzo accusato di essere una spia, ha dichiarato, come riportato da RTS, di aver solamente “compiuto ciò che durante la guerra facevano i combattenti dell’UCK”. In seguito a queste dichiarazioni e alla crescente minaccia rappresentata dall’avanzata costante dell’estremismo islamico, il Paese ha deciso di prendere provvedimenti, anche se al momento non è chiaro quali possano essere le giuste iniziative da intraprendere. Resta il fatto che troppo a lungo è stato “chiuso un occhio” su un fenomeno estremamente pericoloso non solo per il Kosovo, ma per tutta la regione.