Tutti a Tripoli, anzi no. Meglio stare in Tunisia
La Libia è al tracollo. Il premier libico designato, Fayez al-Sarraj, è talmente autorevole da vivere ancora in Tunisia ed è stato accolto a colpi d’arma da fuoco appena ha cercato di raggiungere Misurata. E anche la base operativa della missione delle Nazioni Unite è in Tunisia. Situazione davvero paradossale.
La Libia è al tracollo. Nonostante le chiacchiere dell’Onu e della Comunità internazionale, della Ue e dell’Italia, il cui governo da un anno pretende di guidare una missione di stabilizzazione senza però sporcarsi le mani combattendo l’Isis, nelle ultime ore è apparsa in tutta la sua tragicità l’inconsistenza del processo di pace che ha portato alla nascita di un embrione di governo di unità nazionale. Il premier libico designato, Fayez al-Sarraj, è talmente autorevole da vivere ancora in Tunisia ed è stato accolto a colpi d’arma da fuoco appena ha cercato di raggiungere Misurata per poi andare a Zliten a rendere omaggio alle 81 reclute di polizia uccise da un kamikaze dello Stato Islamico.
Il sito Libya Herald ha segnalato l'esplosione di una presunta ambulanza-bomba a Misurata in relazione alla visita. Il Libya Observer ha segnalato «molti manifestanti» anche «armati», contrari alla visita di Sarraj tanto da aprire un «inteso fuoco» che ha costretto il convoglio di Sarraj a ripiegare sul municipio di Zliten in un primo tentativo di ritornare all'aeroporto di Misurata a quanto pare raggiunto poi con un elicottero. Quando si è sparsa la voce che il premier avrebbe potuto rifugiarsi nella capitale, Brigate armate si sono appostate alla porta est di Tajoura, un sobborgo di Tripoli dove secondo gli accordi raggiunti a dicembre in Marocco il nuovo governo dovrebbe insediarsi presto. Ipotesi improbabile considerato che anche l’inviato dell’Onu, il tedesco Martin Kobler non sembra essere ospite gradito a Tripoli e infatti anche la base operativa della missione delle Nazioni Unite è in Tunisia.
Mentre il governo e l’Onu restano a Tunisi, in territorio libico dilaga lo Stato Islamico che ormai minaccia i pozzi e i terminal di Sidra e Ras Lanuf, controlla aree di Bengasi dove pare abbia la responsabilità dell’attacco alla centrale elettrica che ha lasciato al buio la seconda città libica. I jihadisti dilagano anche in Tripolitania dove l’Isis controlla aree presso Sabrata (lì si addestrano i jihadisti tunisini) e dimostra di avere cellule infiltrate in diverse altre aree. Approfittando del caos che e delle rivalità tribali che dilaniano l’ex colonia italiana e dell’inconsistenza delle iniziative internazionali lo Stato Islamico sta corteggiando (anche col denaro) tutti i movimenti islamisti da Ansar al-Sharia ai salafiti che fino a ieri erano aggregati al governo di Tripoli nell’ambito dell’alleanza “Alba della Libia” .
Lo riferiscono fonti ben informate sottolineando il rischio che il governo di Serraj non abbia nessun significato politico, nessuna rappresentanza nel Paese e soprattutto nessun peso effettivo. Il problema è soprattutto militare. L’assenza di interventi armati occidentali contro l’Isis in Libia ha rafforzato le posizioni jihadiste e oggi gli uomini di al-Baghdadi rappresentano un’opzione ben più concreta per la destabilizzazione della Libia dei traballanti governi di Tripoli e Tobruk o dell’inesistente esecutivo del premier Serraj che rassicura l’Italia di voler fermare i flussi di immigrati clandestini, ma non ha il controllo neppure di un chilometro quadrato di territorio libico. Del resto quale credibilità può riscuotere presso i cittadini libici un premier e un governo che restano all’estero e quale garanzie può offrire la missione dell’Onu in Libia se rimane basata a Tunisi?
Al contrario, un attacco su vasta scala contro l’Isis da parte di forze militari occidentali potrebbe riunire un’alleanza di milizie concretamente motivate a combattere gli islamisti. Nessuno però sembra volersi far coinvolgere in una guerra all’Isis. Britannici e francesi continuano a far trapelare indiscrezioni sulla presenza di forze speciali e sull’imminenza di raid aerei contro lo Stato Islamico in Libia. Roma continua ad affermare che è pronta a guidare un’operazione internazionale, ma di concreto non c’è ancora nulla se non la diponibilità ad addestrare reclute libiche che combattano l’Isis. Un programma già attuato negli anni scorsi con risultati disastrosi al punto che nessuna militare libico addestrato in Europa è mai stato visto combattere l’Isis. Qualche dettaglio in più emerso grazie allo Spiegel che ha reso noto la volontà di Berlino di partecipare a questa operazione addestrativa inviando 150/200 istruttori e consiglieri militari.
Dove? In Tunisia, ovviamente, per motivi di sicurezza anche se l’obiettivo tedesco è «evitare che le milizie di Isis avanzino ulteriormente in Nordafrica». Se la missione a guida italiana finirà per addestrare in Tunisia reclute libiche di scarso valore, inconsistente motivazione e pessima disciplina, non avrà alcun impatto sulla guerra allo Stato Islamico né sulla stabilità libica, ma ridicolizzerà ulteriormente Onu, Europa e Italia mostrando l’incapacità dell’Occidente di combattere il nemico jihadista anche quando ha una consistenza limitata a poche migliaia di miliziani privi di armi pesanti, navi e aerei. Se lo Stato Islamico sta vincendo in Libia è anche grazie alla sua crescente presenza sul territorio, non oltre confine.
In Libia vi sarebbero attualmente più di 500 “nuclei familiari" (ogni “famiglia” è composta da centinaia di persone ) affiliati all'organizzazione dello Stato islamico.É quanto ha rivelato un rapporto di sicurezza diffuso sui media libici, secondo cui «la maggior parte di queste famiglie proviene da Tunisia, Egitto, Sudan, Yemen, Arabia Saudita, Kuwait e Giordania», oltre a famiglie composte da elementi di «nazionalità diverse, frutto dei matrimoni misti». Il rapporto, inoltre, mette in evidenza un sempre più massiccio reclutamento di bambini tra le fila dell'Is. In particolare, cita la presenza in territorio libico di una brigata chiamata “I leoncini del Califfato”, ovvero un gruppo di 100-150 giovani di età compresa tra i 16 e i 18 anni, parenti di jihadisti provenienti dall'Africa, per lo più da Ciad, Sudan, Mali e Nigeria e arrivati in Libia attraverso Boko Haram oppure orfani arabi di miliziani morti nei combattimenti in Siria, Iraq e nella stessa Libia. In crescita anche il fenomeno dei rapimenti di minori che vengono arruolati nell'organizzazione.
Allo stesso tempo, fonti militari dell'esercito libico hanno svelato che «le operazioni di controllo dei confini» hanno spinto gli elementi terroristi provenienti soprattutto da Tunisia e Algeria a modificare il meccanismo con cui si infiltravano in Libia. Se prima, infatti, questi aspiranti jihadisti attraversavano le frontiere dai Paesi vicini ricorrendo ai contrabbandieri, oggi «vengono prima trasferiti in alcuni Paesi africani che confinano con il sud della Libia, come il Ciad e la Nigeria, facilitando in questo modo il loro arrivo in territorio libico attraverso le reti del traffico di immigrati clandestini». Gli uomini dello Stato Islamico si concentrano in Libia per conquistarla, coloro che dovrebbero combatterli si tengono alla larga dalla Libia e restano in Tunisia. Il modo migliore non solo per regalare Cirenaica, Tripolitania e Fezzan ai jihadisti ma anche per creare le condizioni affinché la Tunisia assomigli presto alla Libia di oggi.