Tutte le bugie sull'omosessualità
Lo psicoterapeuta van den Aardweeg pubblica un libro che smonta i falsi miti delle tendenze omosessuali: famiglia, relazioni, infedeltà e instabilità, vittimismo, relazioni e abusi. E soprattutto i dati della scienza: nessun postulato dell’ideologia gay è stato provato.
Le recenti parole di Papa Francesco sono nuovamente tornate a chiarire la posizione dei cristiani sia verso le persone con “tendenze e pratiche omosessuali”, che “si devono accompagnare, come fa Gesù”, sia verso “gli insegnamenti nella scuola su questa linea”, finalizzati a “cambiare mentalità”, che il Papa definisce “colonizzazione ideologica”. In altre parole il Pontefice ribadisce la classica distinzione tra l’errore e l’errante, tra il peccato ed il peccatore: il primo da correggere, “il peccato è il peccato”, il secondo da “accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo”. “Questo è quello che farebbe Gesù oggi”, aggiunge. E per specificare il metodo, precisa anche i due strumenti della “misericordia di Dio”: “con la verità, ma sempre col cuore aperto”. Niente di nuovo, del resto. Sette anni fa, l’attuale Papa Emerito Benedetto XVI, scriveva che carità e verità sono due poli indissolubili per uno sviluppo umano integrale: caritas in veritate.
Tutto risolto? Nient’affatto. Perché già si levano le obiezioni; fuori, come il ministro francese per l’istruzione, e probabilmente anche dentro la Chiesa (Vito Mancuso, ad esempio, si era già mosso in anticipo). Chi dice che la verità sia quella difesa dal Papa? Che le tendenze omosessuali siano “oggettivamente disordinate”, come afferma il Catechismo, mentre gli atti omosessuali “in nessun caso possono essere approvati”? In altre parole, si ripropone il celebre tema della verità e del possibile scontro tra la verità di fede e la verità di ragione. Questione da apologeti? Direi di no.
Proprio ieri ho avuto un colloquio con giovane-adulto che vive confusamente e sofferentemente le proprie tendenze affettivo-sessuali per le persone dello stesso sesso. Egli si chiedeva, con una marcata verve polemica, perché la Chiesa si ostinasse a contrastare una verità ormai assodata, ovvero che essere gay è naturale, cioè, che la vita gay è bella e porta alla felicità, proprio come il matrimonio tra un uomo ed una donna.
Pur senza una formulazione consapevole, si stava ponendo il problema dell’apparente conflitto tra la verità proposta dalla Chiesa e quella del mondo fuori di essa. Se egli avesse ragione, se la vita gay, lesbo, bisex, trans o queer - come si è ormai soliti definirla attraverso l’acronimo l.g.b.t.q. pressoché universalizzato (chiedete lumi ad un sedicenne e vi aggiornerà senza problemi, ma provate ad interrogarlo su chi sia l’attuale presidente della repubblica) – allora avrebbe ancora senso seguire la proposta cristiana?
Aiuta a cogliere la portata della questione un piccolo manualetto, appena pubblicato per la casa editrice Solfanelli di Chieti: La scienza dice NO. L’inganno del “matrimonio” gay. L’autore è il celebre Gerard J. M. van den Aardweeg, psicoterapeuta di origine olandese, da più di trent’anni impegnato nella ricerca e nella clinica dell’omosessualità. Il libro si apre proprio sulla riflessione tra la verità di fede e la verità di ragione: “Il triplice slogan “Dio dice NO, la Natura dice NO e la Scienza dice NO” non può certo cogliere di sorpresa quanti credono in Dio come creatore della natura. Ciò che la Natura afferma è stato stabilito dal suo Creatore. La paura che la scienza possa scoprire contraddizioni in ciò che Dio e la natura ci dicono, o che le intenzioni divine al riguardo possano essere “innaturali”, non ha quindi nessun fondamento” (p. 25).
Come dire: la fede “allarga la ragione” e la ragione supporta la fede; non sono in contraddizione. Così la scienza, quale strumento della ragione (e in un certo senso anche della fede), non contraddice – secondo l’autore – la verità sull’omosessualità, “purché si attenga ad osservazioni corrette” (p. 25), cioè senza falsità.
Nei vari capitoli, scritti con taglio divulgativo benché corredati da numerose note di riferimento, l’autore passa al vaglio i dati della ricerca sperimentale e clinica, della sociologia e della demografia, al fine di descrivere cosa “la scienza” dice dell’omosessualità. Aardweg argomenta che l’omosessualità non è innata e non è radicata nella biologia (capitolo 1); che “un esame più approfondito mostra chiaramente che deriva da un’insufficiente identificazione di genere, cosa che porta all’isolamento dai compagni dello stesso sesso. […] Di conseguenza – e questo è il punto centrale – questi ragazzi e ragazze sono, e soprattutto si sentono degli estranei tra i loro compagni dello stesso sesso, nel mondo dei ragazzi e degli uomini o nel mondo delle ragazze e delle donne, rispettivamente.
Si sentono inferiori in termini di mascolinità o femminilità. È quindi l’immagine di se stessi riferita al proprio genere ciò che conta davvero. […] Nella maggioranza dei casi, le relazioni infantili o adolescenziali con il genitore dello stesso sesso è stata distante, o più o meno gravemente negativa, in uno o più aspetti. […] le persone attratte da membri dello stesso sesso ottengono risultati alti nei test che misurano il tratto della personalità definito come instabilità emotiva (o tendenze nevrotiche) opposto a quello della stabilità emotiva (maturità emotiva)” (pp. 47-48, capitolo 2).
Che i tratti tipici delle persone con attrazioni omosessuali sono la tristezza e la depressione, la tendenza a vedersi come vittime, l’infantilismo e l’adolescenzialità, e che “il nucleo della protraentesi immaturità si trova nell’egocentrismo, nell’autocommiserazione, nell’amore di sé” (p. 55, capitolo 3).
Che le relazioni tra persone con tendenze omosessuali sono “instabili”, altamente “infedeli” e fondate sulla “ricerca ossessiva di intimità sessuale per soddisfare il desiderio impossibile di affetto infantile in un gioco d’amore” (p. 67, capitolo 4).
Che il “matrimonio” gay stabile e fedele è una “favola”, il cui obiettivo “viene visto piuttosto come il primo passo verso la legalizzazione della poligamia” (p. 74, capitolo 5).
Che i dati sulla popolazione di gay e lesbiche descrivono un gruppo di persone tutt’altro che felici: con più disturbi psichiatrici (“depressione, asnietà e sindromi maniaco-depressive”, “tasso di alcolismo e di assunzione di droghe”) e medici (AIDS, sifilide e cancro) nonché una inferiore aspettativa di vita (capitolo 6).
Che la teoria della discriminazione – ovvero che il malessere del popolo lgbtq dipenda dall’omofobia – “viene diffusa come un dogma religioso […]. In realtà, dove sono le prove del fatto che la discriminazione sociale renda incapaci di relazioni affettive stabili o cause tendenze suicide che si mantengono per tutta la vita, disturbi d’ansia e depressioni croniche? Perché non succedeva la stessa cosa a categorie di persone che sono state discriminate e oppresse per secoli, come per esempio i neri, gli ebrei o i cattolici irlandesi?” (p. 100, capitolo 7).
Che l’omofobia è “una efficacissima parola magica propagandistica” che “è stata creata proprio per far credere che la disapprovazione e l’avversione nei confronti dell’omosessualità siano un disturbo emotivo consistente” (p. 111). “[…] ma le persone sessualmente normali non hanno alcuna paura dell’omosessualità: semmai ne hanno avversione” (p. 112, capitolo 8).
Che l’allevamento dei figli da parte di persone dello stesso sesso si preannuncia come “una forma moderna di abuso dell’infanzia” a livello concettuale (capitolo 10), e viene così descritto dalle “testimonianze delle vittime” (capitolo 11).
Dalla breve descrizione del contenuto del libro è chiaro che la posizione di van den Aardweg è decisa: “In altre parole, sull’omosessualità la gente ascolta e legge in gran parte bugie. Come è possibile questo? È possibile perché, da più di quarant’anni, gli attivisti e i membri delle lobby omosessuali sono riusciti – considerevole successo – a prendere possesso e dominare le facoltà di scienze umane nelle università e in altre istituzioni educative, nonché il giornalismo professionale, i partiti politici, i media, il mondo dell’editoria.
Con poche eccezioni, le ricerche legate all’omosessualità vengono condotte da ricercatori omosessuali, e spesso la loro intenzione esplicita è quella di provare la normalità e la conformità a natura delle loro inclinazioni e del loro modo di vivere. Ma la cosa bella è che nonostante tutti i loro sforzi e le enormi quantità di denaro spese, non sono riusciti nel loro intento. Nessun postulato dell’ideologia gay è stato provato scientificamente: tutto il contrario” (pp. 26-27).