Turkson-Ambongo, due cardinali per due visioni dell'Africa
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Il porporato ghanese esorta i suoi connazionali a un «pensiero virtuoso» che vada oltre egoismo e avidità; il confratello congolese invece reclama «giustizia climatica» e riprende la retorica dellle colpe dell'Occidente, a cui però i giovani africani non credono più.

Dopo la fine della colonizzazione europea, i leader africani, siano essi eletti o al potere con un colpo di stato, hanno sempre usato gli stessi espedienti per assicurarsi il consenso popolare e per conservarlo nonostante le promesse mancate, gli insuccessi, i problemi persistenti. Uno di questi è dirottare su altri il dissenso e lo scontento. Hanno accusato, all’interno, le minoranze di origine straniera, ad esempio gli asiatici in Uganda, e determinate etnie, come i Tutsi in Rwanda. Praticamente tutti hanno puntato soprattutto su colpe attribuite all’Occidente: del passato – tratta transatlantica degli schiavi, colonizzazione europea… – e attuali – sistema neocoloniale di sfruttamento, cambiamento climatico.
Continuano a farlo. Certi ancora usano espressioni e slogan appresi dalla propaganda marxista all’epoca della guerra fredda.
«Come è possibile che un continente così ricco di risorse sia adesso così povero?»: la domanda retorica è di Ibrahim Traore, il militare che con due colpi di stato nel 2022 ha preso il potere in Burkina Faso. Di recente ha annunciato che intende conservare la carica di presidente per i prossimi cinque anni, per il bene del popolo beninteso. La povertà, dice, è il risultato di secoli di dominazione straniera, di dignità negata, di sfruttamento. La soluzione è la rivolta contro l’imperialismo occidentale. Bisogna spezzare le catene, ribellarsi ai carnefici, cacciare una volta per tutte chi sfrutta e umilia l’intero continente e allora l’Africa rinascerà più forte e fiera che mai e sarà in grado di liberare tutta l’umanità.
Una volta simili appelli infiammavano le folle. Funzionano ancora e c’è chi continua ad assolvere i propri leader perché è convinto che davvero tutti i mali del continente derivino da nuove forme di dominio straniero, dopo secoli di oppressione. Ma molti africani, i giovani soprattutto, non ci credono più. Da oltre un anno in Kenya, ad esempio, i giovani della generazione Z, l’ultima, organizzano manifestazioni contro la corruzione nella quale, a ragione, individuano la causa prima di tutti i problemi, e ne chiedono conto al capo dello stato e al governo. In Togo, dove una famiglia governa dal 1967 – fino al 2005 Gnassigbe Eyadema e da allora suo figlio Faure Gnassingbe – altri giovani marciano da giugno per le vie della capitale Lomé protestando non contro qualche entità remota, bensì contro la famiglia dispotica che da quasi 60 anni ha in pugno il Paese.
La Chiesa cattolica è spesso ferma nel richiamare ai propri doveri chi occupa posizioni di potere. L’Africa è il continente in cui i cattolici crescono di più sia in fedeli che in vocazioni. Si stima che attualmente siano 230 milioni. Le posizioni assunte dalla Chiesa cattolica, il suo esempio, hanno un ruolo importante in molti dei 54 Paesi del continente.
Ne deve avere piena consapevolezza il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson che il 1° luglio, in occasione della prima Giornata nazionale di preghiera e di ringraziamento per il Ghana, il suo Paese, ha pronunciato un discorso memorabile. Il Ghana, un tempo portato a esempio di democrazia e buon governo, vive da anni una gravissima crisi economica che si riflette drammaticamente sulle condizioni della popolazione e fa temere per il futuro. Consapevole delle difficili sfide che attendono i suoi connazionali, il cardinale Turkson li ha esortati a non perdersi d’animo, ma ha affermato la necessità di un cambiamento radicale nella direzione di un «pensiero virtuoso» che vada oltre la ricerca del guadagno personale e dell’egoismo, senza di che, ha ammonito, «l’avidità continuerà a governare il nostro Paese e, se sarà così, tutti ne patiremo le conseguenze negative».
Non ha dato la colpa al cambiamento climatico, né agli interessi di potenze straniere. «Noi, in Ghana, viviamo in una terra ricca di risorse e ricchezza per la quale abbiamo pregato di nuovo stamattina e ringraziato Dio. La ricchezza di questa terra, con tutto ciò che contiene, appartiene ai ghanesi; deve quindi servire ai bisogni comuni e all'obiettivo comune di noi tutti», ha detto. Poi, mettendo il dito nella piaga, ha denunciato lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, risultato dell’avidità sfrenata che domina nel Paese, e ha parlato del conseguente degrado ambientale e dei suoi effetti già tangibili: «i nostri fiumi – ha detto – non producono più gamberi e gamberetti. Il nostro ospedale religioso nel centro del Paese segnala un aumento del numero di bambini nati con malformazioni dovute all'esposizione a cianuro e mercurio».
Quindi il cardinale Turkson è andato oltre e ha ricordato ai suoi connazionali e in particolare al «popolo di Dio del Ghana», che la vera trasformazione del Paese non dipende solo dai leader, ma anche dalla coscienza e dal carattere di ogni cittadino: «il cambiamento dipende da noi, questo compito non può essere lasciato a un presidente, per quanto buone possano essere le sue intenzioni».
Solo due giorni dopo, il 3 luglio, monsignor John Baptist Attakruh, vescovo di Sokondi-Takoradi, una diocesi del Ghana, ha tenuto una conferenza nella cattedrale di Nostra Signora Stella Maris, durante la quale invece ha parlato diffusamente del riscaldamento globale, del cambiamento climatico e dei danni di cui risentono soprattutto i poveri. È possibile che altre conferenze, altre omelie, in altri Paesi, seguano la stessa linea. Il 1° luglio infatti il cardinale Fridolin Ambongo Besungu nel corso di una conferenza stampa ha presentato un documento congiunto del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (SCEAM), di cui è presidente, intitolato: Un appello per la giustizia climatica e la casa comune: conversione ecologica, trasformazione e resistenza alle false soluzioni. Il documento è stato redatto in vista della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, COP30, in programma dal 10 al 21 novembre.
Parlando a nome delle Chiese del continente africano, il cardinale «ha denunciato le ingiustizie subite dal secondo continente più grande e più popolato del mondo, segnato da secoli di sfruttamento estrattivo, schiavitù e sfruttamento». Quindi ha condannato la corsa allo sfruttamento delle risorse minerarie africane, che secondo lui è all’ «origine della proliferazione dei gruppi armati» nel continente, e ha auspicato «un’economia che non si basi sul sacrificio delle popolazioni africane per arricchirne altre». Ai mass media il presidente del SCEAM ha spiegato che il documento congiunto «riafferma l’impegno della Chiesa in favore della giustizia climatica ed è un appello all’azione rivolto alle nazioni e ai governi».
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Si è svolto ad Accra l'incontro tra vescovi africani e Caritas, alle prese con le conseguenze di difficoltà economiche, conflitti armati e intolleranza religiosa. Nel rapporto congiunto affiorano però anche "priorità" più discutibili, dalla giustizia del debito a quella ecologica.
Vescovi tanzaniani: laudato sia l'oleodotto inviso ai green
Malgrado i reiterati appelli papali alla conversione "verde", la Conferenza episcopale del Tanzania promuove l'East Africa Crude Oil Pipeline: rispetta le norme e permetterà agli africani di beneficiare delle loro stesse risorse. Con buona pace degli ambientalisti.