Turchia, una battuta d'arresto per il partito islamico
Il presidente della Turchia Erdoğan ha subito una rara battuta d'arresto nella notte elettorale più lunga e importante, probabilmente, della sua carriera da presidente. La sconfitta in grandi città alle elezioni amministrative di domenica ha scosso la maggioranza e i turchi. L'opposizione avanza ad Ankara e Istanbul.
Il presidente della Turchia Erdoğan ha subito una rara battuta d'arresto nella notte elettorale più lunga e importante, probabilmente, della sua carriera da presidente. La sconfitta in grandi città alle elezioni amministrative di domenica - viste come un test sulla sua persona - ha scosso la maggioranza e i turchi. Lo storico trionfo dell'opposizione ad Ankara ed Istanbul ha ridimensionato gli equilibri politici ed economici del Paese.
Per la prima volta il candidato dell'opposizione Ekrem Imamoglu risulta in vantaggio dopo un dominio incontrastato dal 1994 - quando era Erdoğan il sindaco - della medesima forza politica (che nel frattempo ha cambiato solo il nome). E già nel pomeriggio di lunedì si sono viste le prime bandiere di Ataturk sventolare timidamente. Lo stesso è stato per la capitale, Ankara, che ha segnato la prima sonora sconfitta per il "sultano": dopo venticinque anni la forza politica alla guida della città ha cambiato colore. Insomma, quello che da qualcuno era stato pronosticato, è successo. Beneficiando di sei volte gli spazi televisivi riservati all’opposizione, e con una presenza senza eguali su tutti i quotidiani, ormai automaticamente schierati dalla parte del potere, si è parlato di messaggi elettorali a senso unico. Eppure qualcosa s'è mosso, e il vento ha iniziato a soffiare diversamente.
È ancora molto presto per capire se sta cambiando anche il sentire dei turchi, probabilmente ancora troppo poco propensi a ribellarsi al metodo Erdoğan. È vero, infatti, che la Turchia oggi vive un drammatico momento per la sua economia. Carta che in passato era risultata un importante motivazione del suo successo politico. Il voto amministrativo non inficerà concretamente la leadership del presidente, ma ha avuto un'importanza simbolica per due motivi sostanziali. Il voto nelle 81 province fotografa bene quali forze governino il Paese e dove. Ma, soprattutto, il turno elettorale era importante perché con la riforma costituzionale i sindaci sono diventati più protagonisti della vita politica del Paese. Il che significa più opposizione ad Erdoğan in parlamento e la capacità di iniziare a definire una personalità che potrà essere la sua alternativa. Al di là del suo significato simbolico, la perdita di Istanbul - una metropoli di oltre 15 milioni di persone e il polo industriale e commerciale della Turchia - priverà l'AKP di abbondanti risorse economiche, che sono state strumentali nel favorire gli elettori e nell'espandere la base del partito.
E il presidente lo sapeva bene, tant'è vero che ha usato tutti i mezzi a sua disposizione per convincere il popolo. Dall'islamofobia all'odio verso Israele come armi politiche, fino ad una campagna elettorale "alla frutta": da settimane, in tutte le città controllate dal suo partito, sono in vendita frutta e verdure a basso costo per contrastare l'inflazione e la svalutazione della lira turca. Il partito repubblicano dell'opposizione, il CHP, ha dichiarato presto di aver sconfitto in l'AKP ad Ankara, e avrebbe voluto fare lo stesso per Istanbul, ma una misteriosa interruzione di 10 ore del conteggio dei voti ha rallentato ogni cosa e fatto scoppiare caos e polemiche. Erdoğan non ci sta, la sconfitta poteva essere solo un pronostico, niente di più, e ha promesso un riconteggio dei voti. L'opposizione, nel frattempo, teme le frodi e, da parte sua, ha esortato i suoi osservatori a "non dormire nelle prossime 48 ore" per monitorare i banchi dei sondaggi.
A livello nazionale Erdoğan porta a casa la maggioranza, la novità è che, questa volta, l’opposizione non è lontana. Eppure ancora incapace d'indebolirlo per davvero. La pressione dei discorsi carichi di retorica del presidente e la sua onnipresenza anche in televisione non hanno impressionato l'anti-Erdoğan. Al contrario, hanno spinto i molti delusi a rinunciare alle loro intenzioni di boicottare il voto. Ma la tensione era a fior di pelle, e il giorno del voto è stato costellato da alcuni incidenti: a Malatya, due persone sono state uccise a colpi di arma da fuoco durante uno scontro tra i due clan.
Cosa c'è dopo? Con le elezioni finite, la crisi economica della Turchia è la principale sfida per il governo. Liberi dalla pressione elettorale, Ankara dovrebbe adottare misure di austerità e potrebbe cercare di ridurre le tensioni con gli Stati Uniti e altre potenze occidentali per ripristinare la fiducia degli investitori stranieri. Quindi, in che modo Erdoğan gestirà le vittorie dell'opposizione sarà fondamentale in questo senso. Se dovesse ripiegare sulle sue solite minacce per cacciare i sindaci dell'opposizione, potrebbe suscitare tensioni politiche che spaventerebbero gli investitori e minerebbero l'economia. In ogni caso, i sindaci dell'opposizione affrontano una difficile convivenza con il governo.
Anche il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, uomo forte di Erdoğan, ha ceduto, temporeggiando fino alla fine, e ha alzato bandiera bianca nella propria città, Antalya, capoluogo di una importante provincia turistica sulla costa, in cui si era speso personalmente nella campagna del candidato del partito Akp. La principale forza dell'opposizione, che nel complesso ha raccolto il 30% per cento dei voti a livello nazionale (in netta crescita rispetto al 26,3 % delle precedenti amministrative), ha mantenuto anche il controllo di Smirne. Lo stesso è accaduto ad Adana, Mersin e Eskisehir: parliamo di luoghi con un comparto industriale importante. Adesso spetta ai repubblicani saper sfruttare questo vantaggio e fidelizzare chi prima votava il "sultano" per mera convenienza.
E per consolidare il fronte anti-Erdoğan ed evitare una dispersione di voti, il partito filo-curdo di sinistra HDP, da parte sua, ha preso la decisione strategica di non presentare candidati ad Ankara e ad Istanbul. I curdi, infatti, si sono concentrati a sud-ovest, hanno perso Sirnak, ma hanno mantenuto Van e Diyarbakir. Erdoğan, però, non è certamente finito e la sua capacità d'attrazione continua a non avere eguali. Anche perché ha lasciato intendere che non rispetterà alcuni risultati elettorali.