Turchia, si potevano salvare vite. Costruendo meglio
Terremoto in Turchia: Erdogan contestato dall'opposizione si difende affermando che non fosse possibile prepararsi ad una catastrofe di queste dimensioni. Ma è sempre possibile prepararsi al peggio, come dimostra l'esperienza del Giappone. Intervista al professor Martelli su come sia possibile salvare vite, giocando d'anticipo.
- A QUALE SANTO VOTARSI QUANDO LA TERRA TREMA, di Stefano Chiappalone
Tre giorni dopo il terremoto in Turchia e Siria del 6 febbraio, il bilancio delle vittime è ulteriormente salito. Ora si parla di 11.700 morti, ma è possibile che questo numero aumenti ancora dopo che questo articolo va online. La Siria è ancora un Paese in guerra e un dibattito normale sulla gestione del sisma è dunque impossibile. Ma la Turchia è un Paese industrializzato e stabile, dunque il presidente Recep Tayyip Erdogan (che aveva vinto le sue prime elezioni anche grazie alla contestazione della gestione del sisma del 1999) è ora sotto accusa, per non aver saputo prevenire il terremoto e per non aver mandato tempestivamente i soccorsi. Almeno sulla prevenzione, Erdogan si difende affermando che «Non è possibile prepararsi ad un disastro di queste dimensioni». Davvero? Ne abbiamo parlato con il professor Alessandro Martelli, ingegnere, già direttore del Centro ricerche dell’Enea di Bologna e presidente del Glis (Gruppo di Lavoro Isolamento Sismico), uno dei massimi esperti italiani di sistemi anti-sismici. Martelli è convinto che in Turchia si potesse prevenire meglio la catastrofe ed è preoccupato anche per l’Italia, dove si stima (in base a un'indagine conoscitiva della Camera del 2012) che solo il 20% o 30% degli edifici sia in grado di resistere ai sismi a cui potrebbe trovarsi soggetto.
Si potevano salvare vite, almeno in Turchia, se si fosse costruito con criteri diversi?
Il problema della Turchia, che è anche nostro, è la mancanza di esperienza di terremoti violenti. Sono relativamente poco frequenti. Perché, ad esempio, i giapponesi sono così ben preparati ai sismi? Perché ne hanno frequentemente. Nella catastrofe del 2011, il terremoto e lo tsunami del Tohoku, i morti non erano dovuti tanto al terremoto in sé, quanto al successivo tsunami. Anche l’incidente nucleare di Fukushima è un effetto soprattutto del maremoto: l’impianto si è fermato a causa del terremoto, ma è stato danneggiato gravemente dallo tsunami. Questo perché un maremoto così violento non si vedeva, neanche in Giappone, da secoli. Quindi la barriera di Fukushima, ad esempio, pur essendo alta 10 metri non era sufficiente. Tornando alla Turchia: non era preparata a un terremoto così violento, 7.8 della scala Richter, perché non ne vedeva dal 1939. Altri due terremoti recenti hanno superato il 7 della scala Richter, uno nel 1999 e un altro nel 2011. E sono preoccupato anche per il nostro Paese. Perché è da “troppo” tempo, dal 2016, che non registriamo terremoti potenti.
Il terremoto in Turchia potrebbe replicarsi?
Non si possono fare previsioni o peggio ancora predizioni (una predizione implica la conoscenza dell’epicentro e della magnitudo del prossimo terremoto), ma è possibile che si ripeta. La speranza è che, se ne dovesse tornare uno così potente, almeno torni nell’entroterra.
Perché, che possibilità ci sono che possa innescare un maremoto?
O direttamente dal terremoto, ma la magnitudo deve essere di 8 o superiore per muovere una gran massa d’acqua. Altrimenti potrebbe essere generato indirettamente, come era avvenuto in Italia in terremoti storici, come quello del 1693 della Val di Noto e del 1783 in Calabria meridionale, o del 1908 sempre in Calabria: il terremoto innesca una frana sottomarina ed è questa che provoca un maremoto.
Un maremoto, partendo dalla Turchia orientale, potrebbe danneggiare l’Italia?
Sì, consideri che lo tsunami innescato dal terremoto di Valdivia, in Cile, del 1960, provocò gravi danni e morti fino in Giappone e in Cina. Perché l’acqua è incomprimibile e quando raggiunge una costa l’onda si alza.
Parlando di prevenzione, le case turche sono crollate come castelli di carte, stando alle immagini che abbiamo visto. Ma chi potrebbe essere pronto a un sisma simile?
Oltre al Giappone, di cui abbiamo già parlato, sono pronti gli Stati Uniti, soprattutto la California, il Canada, la Nuova Zelanda. Il Cile è molto avanzato da questo punto di vista, più di quel che si pensi. La Cina, almeno in alcune aree, si sta attrezzando bene. Non ci si pensa mai, ma anche l’Armenia è all’avanguardia, proprio ai confini della Turchia, anche perché ha esperti che insegnano anche negli Stati Uniti. Un altro paese all’avanguardia è la Martinica, nel Caraibi, proprio vicino ad Haiti, luogo di uno dei più catastrofici terremoti contemporanei.
Quali sono le misure che prendono per ripararsi?
Intanto costruiscono bene, poi applicano in modo più sistematico, almeno agli edifici strategici, tecnologie di isolamento sismico. In Cina, ad esempio, sono moltissime le applicazioni, anche a edifici residenziali: interi quartieri sono costruiti con tecniche di isolamento sismico. Si realizza con apparecchi che si installano usualmente in fondazione, molto flessibili per un movimento orizzontale, per cui la sovrastruttura, dunque la parte della struttura (che può essere un edificio, un impianto, ecc…) in superficie, si muove come un corpo rigido. In estrema sintesi, l’isolamento sismico è come un filtro del terremoto, per lo meno per il moto orizzontale. Poi se si vuole c’è anche la possibilità di un isolamento sismico verticale, ma è un po’ più complicato.
Questo è possibile farlo per edifici nuovi. Ma per edifici vecchi, o per monumenti storici, come il castello di Gaziantep raso al suolo dal sisma in Turchia?
Si può fare e lo abbiamo fatto in Italia. Se la struttura non è storica, si tagliano le fondazioni o si applicano gli isolatori appena sotto. Se la struttura è storica, il lavoro diventa un po’ più complesso, ma esistono nuove tecnologie che permettono di non intervenire sulle fondazioni. Senza rendere l’intervento visibile dall’esterno, quindi senza nulla togliere al valore artistico e monumentale. Esistono altre tecniche collaudate. Il castello di Gemona, in Friuli, è stato ricostruito con un telaio interno alle mura in acciaio, per sostenere i piani e quindi alleggerire le pareti esterne e sostenere la cella campanaria, poi aveva dei dissipatori per evitare che questo telaio potesse urtare contro le pareti esterne durante un possibile nuovo terremoto. La parete esterna resta quella di sempre, con le pietre originali, dentro, invece, la struttura è anti-sismica.
In Turchia e in Siria, alla fine, si potevano salvare vite?
Sicuramente sì. La Siria è un Paese ancora in guerra ed anche la mera conta delle vittime non è semplice. Per la Turchia, invece, il discorso cambia. Perché ha delle applicazioni di moderne tecnologie anti-sismiche, ad esempio nell’aeroporto Ataturk di Istanbul. Hanno ingegneri anche molto validi. Per fare sempre lo stesso esempio, con tecniche di costruzione anti-sismiche, a seguito si sismi di pari livello, i morti in Giappone sono pochissimi, non certamente nell'ordine delle migliaia.