Turchia in Europa. Napolitano sorvola sui "dettagli"
Il presidente Giorgio Napolitano si complimenta con Erdogan per la sua vittoria e auspica l'ingresso della Turchia nell'Ue. E' motivato dai forti interessi economici di un'Italia in crisi con una Turchia in ascesa. Ma dimentica che, ovunque, Erdogan è sempre stato dalla parte degli estremisti islamici.
“Mi è gradito porgerle, a nome di tutti gli italiani e mio personale, vive felicitazioni. Le relazioni tra Italia e Turchia affondano le loro radici nella storia e hanno raggiunto, nel solco della comune appartenenza all'Alleanza Atlantica e della comune collocazione nel Mediterraneo, una particolare intensità". Con queste parole il Presidente Giorgio Napolitano si è congratulato con Recep Tayyip Erdogan per la vittoria alle elezioni presidenziali tenutesi lo scorso 10 agosto. Il Presidente della Repubblica non si è limitato alle congratulazioni di rito e ha aggiunto: “L'Italia sostiene da sempre e con convinzione il percorso della Turchia verso una piena integrazione nell'Unione Europea e confido che tale prospettiva possa verificarsi e rilanciarsi nel corso del semestre di Presidenza italiana dell'Unione." Infine ha ribadito che la Turchia “rappresenta per l'Italia un punto di riferimento imprescindibile per affrontare sfide come quelle legate alle drammatiche crisi del Medio Oriente”.
Ebbene Erdogan ha vinto con circa il 52% delle preferenze, ma le elezioni hanno di fatto rivelato una Turchia divisa in due. Erdogan ha vinto per la debolezza del suo principale avversario Ekmeleddin Ihsanoglu, ex segretario generale dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica. Erdogan ha vinto usando principalmente due slogan: “Volontà nazionale, forza nazionale, obiettivo 2023”, “Democrazia, prosperità e prestigio sulla via di una nuova Turchia”. Ciononostante non ha vinto perché promotore della democrazia, ma perché l’economia e il boom economico turco lo hanno premiato ed aiutato. Erdogan ha avuto il pieno sostegno di gran parte dei musulmani conservatori che appartengono alla media borghesia, ovvero al principale beneficiario dell’economia fiorente, e che lo hanno abbondantemente finanziato.
Anche le congratulazioni del nostro Presidente risentono dei forti rapporti economici tra Roma e Ankara. L’Italia è uno dei principali partner della Turchia, con il livello record di interscambio raggiunto nel 2011 pari a 21,3 miliardi di dollari. Il livello delle esportazioni ammontava a 13,3 miliardi di dollari nel 2012, quello delle importazioni dalla Turchia a 6,3 miliardi di dollari, con un saldo attivo a favore dell'Italia di ben sette miliardi di dollari. A tutto ciò si aggiungono gli investimenti italiani hanno fatto segnare una costante crescita nel 2011 e nel 2012, con oltre 1000 società ed aziende con partecipazione italiana presenti nel Paese.
Solo questi dati possono avere fatto dimenticare a Napolitano che la Turchia nel complesso e variegato scacchiere mediorientale si è spesso schierata con l’estremismo islamico, se non con il terrorismo di matrice islamica. Nonostante l’80% dei turchi non approvi Hamas, proprio in campagna elettorale Erdogan, riferendosi agli israeliani ha affermato: “Maledicono sempre Hitler, ma ora ne stanno superando la barbarie.” Nel 2011 Erdogan dichiarò: “Non considero Hamas una organizzazione terroristica. Hamas è un partito politico. Un’organizzazione. E’ un movimento di resistenza che cerca di proteggere la propria nazione sotto occupazione.” Alla fine del 2011 un sito collegato alla Unione del Bene (Ittilaf al-khayr), presieduta dal teologo di riferimento dei Fratelli musulmani Yusuf Qaradawi e il cui scopo principale è raccogliere fondi da convogliare a organizzazioni legate a Hamas, ha annunciato che Erdogan ha fatto versare dal proprio Ministero delle Finanze 300 milioni di dollari al governo di Gaza, guidato da Hamas.
Solo i rapporti economici tra Italia, in profonda crisi, e la Turchia, in pieno boom, possono avere fatto dimenticare le repressioni contro i manifestanti di Piazza Taksim, le recenti esternazioni del braccio destro di Erdogan, Bulent Arinc, sul “contegno” delle donne turche che dovranno essere caste e non ridere in pubblico, il fatto che la Corte Europea per i diritti umani classifichi la Turchia al primo posto per la violazione di questi ultimi. I dati statistici riguardanti le violazioni della Convenzione europea dei diritti umani, firmata da 47 paesi, vedono la Turchia ancora agli stessi livelli del 2009, con una percentuale del 18,55% su tutte le violazioni riscontrate dal Tribunale. La violazione più frequente della Turchia è quella dell'articolo 6 della Convenzione che riguarda il diritto a un giusto processo (42 casi di violazione) e le lunghe procedure (83 casi). L'articolo 5, quello riguardante la libertà e la sicurezza, è stato il secondo articolo su cui la Turchia ha compiuto più violazioni.
Infine la Turchia, sin dall’inizio della cosiddetta primavera araba, si è sempre schierata a fianco dei Fratelli musulmani tanto da diventare un modello per il partito tunisino Al Nahdha, tanto da definire il generale El Sisi un taghut, la dicitura coranica che indica il tiranno usurpatore. Nel messaggio di congratulazioni dei Fratelli musulmani al neoeletto presidente Erdogan si elogiano la trasparenza delle elezioni e la vittoria del processo democratico, si elogia il presidente per avere traghettato la Turchia dall’arretratezza economica a diventare la diciassettesima potenza economica a livello mondiale. La Fratellanza egiziana sottolinea, facendo un esplicito riferimento interno, che la vittoria di Erdogan è dovuta anche all’allontanamento dell’esercito dalla politica. Non solo, il comunicato rammenta anche il ruolo strategico della Turchia per quanto concerne la crisi mediorientale che appoggia la Palestina e ha aiutato a infrangere l’embargo a Gaza.
A questo punto il cerchio si chiude e l’Italia, nel semestre di presidenza, farebbe bene a riflettere e decidere se l’economia vale più dei diritti umani, se si può definire democratico un paese dove gli obiettori sono incarcerati, se un paese il cui presidente definisce Hamas un partito quando quest’ultimo è nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione Europea possa entrare in Europa senza prima avere compiuto dei radicali cambiamenti interni, cambiamenti che certamente non possono essere effettuati nell’arco di un semestre.