Turchia, il giorno del patriarca
Bartolomeo I parla a una commissione parlamentare in vista della nuova Costituzione. Scosso tra voglia
di libertà e prepotenza del laicismo.
Il 20 febbraio il patriarca ecumenico (ortodosso) di Costantinopoli, Bartolomeo I, per la prima volta nella storia turca ha parlato a una commissione parlamentare nell’ambito delle audizioni per la nuova Costituzione. Si tratta di un passaggio, anche simbolico, molto importante, il cui contesto va però esattamente compreso.
La questione della nuova Costituzione è al centri del gioco politico in corso in Turchia in questi anni. Una nuova Costituzione è stata imposta dall’Unione Europea per continuare il dialogo in vista di un eventuale ingresso della Turchia in Europa. Molte norme della Costituzione in vigore, infatti, non rispettano gli standard europei. Nel mirino di Bruxelles ci sono sempre state le norme che permettono alla magistratura e all’esercito di funzionare come corpi paralleli, auto-reclutati, totalmente indipendenti dal controllo del parlamento e del governo. Tradizionalmente, esercito e magistratura sono stati i custodi del laicismo di Kemal Atatürk (1881-1938). La vecchia Costituzione rendeva estremamente difficile processare militari responsabili di colpi di Stato e impediva ai governi eletti, di qualunque colore, di cambiare i vertici delle Forze Armate e della magistratura. Quest’ultima, al contrario, poteva sciogliere rapidamente partiti dichiarati contrari ai principi dell’Atatürk e dichiarare decaduti dalla carica i relativi parlamentari.
Fino a quando – con operazioni elettorali più o meno oneste – i partiti che s’ispirano alle idee dell’Atatürk hanno vinto le elezioni in Turchia, le norme che proteggevano magistratura e militari godevano di ampio consenso parlamentare. Tutto è cambiato dal 2002, quando – dopo avere compiuto una sua «svolta di Fiuggi» che ha ringiovanito la classe dirigente e ha dichiarato un superamento del fondamentalismo islamico – l’islam politico, guidato dall’attuale primo ministro Recep Tayyip Erdo?an, è andato al potere in Turchia, e da allora ha continuato a vincere tutte le elezioni politiche e amministrative.
Il mandato degli elettori a Erdogan nel 2002 era chiaro: seguire le indicazioni dell’Unione Europea per diventare un candidato credibile all’ingresso in Europa. Successivamente, l’ascesa di Angela Merkel e di Nicolas Sarkozy – nemici giurati dell’ingresso della Turchia in Europa, i cui principali sostenitori erano invece Tony Blair e Silvio Berlusconi – ha reso chiaro al medio elettore turco che entrare nell’Unione Europea è probabilmente una chimera impossibile. Ma rimane una sorta di finzione condivisa, per cui i funzionari di Bruxelles continuano a dire la loro sulla Costituzione, e il governo finge di prenderli sul serio perché gli torna utile spiegare a magistrati e militari che è obbligato a tagliare loro le unghie «perché lo chiede l’Europa». Peraltro, la fine dell’anomalia turca per cui ci sono materie –tra cui tutte quelle che attengono alla religione – su cui il governo e il parlamento non possono decidere, perché altrimenti si muovono giudici e militari, è richiesta dalla maggioranza degli elettori, anche se i nostalgici dell’Atatürk, da dieci anni regolarmente sconfitti nelle elezioni, hanno ancora la capacità di organizzare manifestazioni di piazza, subito enfatizzate dai corrispondenti dei giornali occidentali che in gran parte simpatizzano per loro.
Il quadro è dunque evidente: le modifiche costituzionali – approvate da un referendum consultivo nel 2010 – sono sì «imposte da Bruxelles», anche se in vista di un’adesione turca alla UE che ha pochissime probabilità di andare in porto: ma «Bruxelles» è il grimaldello che serve ad Erdo?an per liquidare norme laiciste che percepisce – e con lui la maggioranza degli elettori – come anacronistiche. Permettere di mandare a processo i militari golpisti, impedire ai giudici di sciogliere partiti per ragioni ideologiche, lasciare comunque in Parlamento i deputati di partiti sciolti per difetto di laicismo sono i capisaldi della nuova Costituzione.
C’è anche una più ampia nozione di libertà religiosa, chiaramente scritta avendo in mente la libertà di una religione, l’islam, spesso limitata nelle sue espressioni pubbliche e politiche da militari e giudici. Il patriarca chiede che si colga la storica occasione per tutelare anche le minoranze cristiane. La sua proposta al Parlamento si articola in tre punti. Primo: piena libertà per i cristiani di istituire scuole e università, e sostegno economico dello Stato alla formazione dei seminaristi, come del resto richiederebbe il Trattato di Losanna del 1923, tuttora in vigore. Secondo: norme contro i crimini d’odio contro i cristiani e la cristianofobia alla televisione, sui giornali, nei libri di testo. Terzo: «azione affermativa» per promuovere l’accesso dei cristiani a settori della funzione pubblica come la magistratura, dove non esistono barriere legali al loro ingresso ma di fatto le presenze cristiane sono poche.
Non tutti i cristiani sono d’accordo sui singoli punti con il Patriarca. Per alcuni, chiedere l’aiuto economico dello Stato, e non solo la libertà religiosa, ricorda troppo i rapporti delle minoranze cristiane con l’Impero Ottomano. Né è sempre chiaro se Bartolomeo I chieda aiuti solo per gli ortodossi o per tutti, cattolici compresi. Ma il governo turco farà bene a prendere sul serio la richiesta di uno speciale impegno per tutelare le minoranze religiose. Sul punto, infatti, si misura la sua credibilità internazionale in un momento in cui le cosiddette primavere arabe – che la Turchia non aveva previsto, concentrando piuttosto la sua politica estera sull’Asia Centrale, linguisticamente affine alla Turchia e dove si aspettava rivolte in nome dell’islam che per ora non si sono verificate – aumentano l’interesse da una parte per il «modello turco», di un islam politico che sta al potere da dieci anni senza trasformare il Paese in una teocrazia talebana, dall’altra per i rischi che rimangono insiti anche in questo modello.