Truppe Usa per l'epidemia, gli alleati le ritirano dall'Iraq
Mentre gli Stati Uniti mobilitano le truppe per far fronte all'emergenza sanitaria interna e bloccano tutti i movimenti dei contingenti all'estero, i membri principali della Coalizione presente in Iraq si accingono a ritirare i loro contingenti. Il motivo è sempre legato alla sanità. Ma anche a interessi divergenti sugli obiettivi in Iraq
Il 27 marzo Donald Trump ha firmato il decreto che autorizza il richiamo di fino a un milione di riservisti dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e della Guardia Costiera per far fronte all'epidemia di Coronavirus. I ministri della Difesa e della Sicurezza Nazionale (Homeland Security) sono autorizzati a richiamare in servizio il personale per non più di 24 mesi consecutivi.
Si tratta della maggiore mobilitazione attuata in tempo di pace dagli Stati Uniti dove il segretario alla Difesa statunitense, Mark Esper ha bloccato tutti i movimenti di truppe Usa all’estero per 60 giorni per contenere la pandemia. Si stima che il provvedimento riguarderà circa 90mila militari, fra truppe in partenza o di ritorno negli Usa ma che non si applicherà alle truppe in fase di ritiro dall’Afghanistan, dove i militari americani passeranno da 13mila a 8.500 entro luglio in base all’accordo raggiunto con i Talebani. Esercitazioni, avvicendamenti, rotazioni di reparti e molte altre attività in tutto il mondo sono state annullate mentre in Iraq NATO e Coalizione hanno deciso di sospendere momentaneamente le attività addestrative delle forze di Baghdad nonostante non vi siano casi positivi al Covid-19 tra i militari alleati.
La decisione dei comandi Usa ha indotto i francesi a ritirare i propri 200 militari presenti in Iraq e l’Italia a rimpatriare 200 dei 600 militari presenti oggi in Iraq (altri 200 dell’Aeronautica sono basati in Kuwait) mentre fonti citare dall’ANSA sostengono che Roma sta valutando il ritiro anche del centinaio di militari schierati in Niger, una conferma indiretta del fatto che il virus sta dilagando anche in Africa. Il disimpegno di tutta la Coalizione dal fronte iracheno potrebbe però avere anche altre motivazioni. Colpisce infatti che in Afghanistan dove il contingente italiano registra 4 militari positivi al virus, non siano state sospese le operazioni militari né quelle di addestramento delle truppe afghane gestite dalla operazione NATO Resolute Support.
Come conferma l’agenzia ANSA “il comando italiano ad Herat ha già fatto sapere che in nessun modo, al momento, il contagio dei quattro militari ha ridotto l'operatività del contingente, che dunque continua ad operare regolarmente”. In Iraq, invece, dove non risultano militari internazionali positivi al virus, Nato e il Comando multinazionale hanno preso decisioni opposte sospendendo le attività addestrative. Del resto nel paese mediorientale crescono sia le tensioni tra gli Usa e le milizie scite filo-iraniane (che hanno indotto gli USA ad abbandonare tre basi più esposte e a ritirare in Kuwait qualche centinaio dei 7.500 militari presenti in Iraq), sia l’instabilità istituzionale del paese; ma a far precipitare potrebbe contribuire la direttiva inviata dal Pentagono al comando delle truppe americane (e alleate) dell’Operazione Inherent Resolve, nata per aiutare gli iracheni a combattere lo Stato Islamico
Una direttiva in cui si ordina alle forze americane di prepararsi a un’escalation delle ostilità e a una campagna per distruggere le milizie pro-Iran che ha sollevato le forti perplessità del comandante della Coalizione, generale Robert P. White che, secondo il New York Times, avrebbe respinto la direttiva spiegando che una tale campagna sarebbe sanguinosa, controproducente per gli interessi statunitensi in Iraq e rischierebbe di scatenare una guerra con l'Iran. Il generale ha sottolineato come una guerra contro le milizie sciite richiederebbe l'invio di migliaia di truppe da combattimento in Iraq e lo spostamento di risorse ora dedicate all'addestramento di truppe irachene a combattere l'Isis. Un attacco in forze contro le milizie sciite rafforzerebbe i sentimenti anti-Usa già molto diffusi in Iraq sia tra i sunniti che tra gli sciiti considerato che dopo l’omicidio del generale iraniano Qassem Suleimani a Baghdad il 3 gennaio scorso, il parlamento iracheno ha approvato il ritiro di tutte le truppe Usa e alleate dal paese.
Comprensibile quindi che i paesi europei che schierano truppe nella Coalizione non abbiano interesse a farsi coinvolgere in una guerra americana all’Iran combattuta in Iraq e in questa ottica il Covid-19 potrebbe offrire un valido pretesto per ridurre o ritirare i contingenti militari. Semmai i bellicosi piani di Washington in Iraq potrebbero venire minati dall’epidemia: secondo l’agenzia Reuters il Pentagono ritiene che il Coronavirus potrebbe influire sulla disponibilità di forze per sostenere un conflitto o una crisi. Per Esper e il capo degli stati maggiori congiunti, il generale Mark Milley, la priorità è che le forze armate statunitensi possano svolgere le proprie missioni, inclusa quella di assistere la risposta interna del governo degli Stati Uniti alla pandemia di coronavirus.
Negli Stati Uniti i militari si stanno preparando ad allestire ospedali da campo a Seattle e New York, e hanno posto in allarme diversi reparti sanitari: una grande nave dell’ospedale della Marina è arrivata a Los Angeles e un’altra a New York City, ciascuna con una capacità di circa 1.000 posti letto. Il Genio dell’esercito sta lavorando a New York per pianificare come aumentare la capacità di letti per i ricoveri valutando la conversione di più di 10.000 stanze in hotel e dormitori dei college. Sono già oltre 11mila i militari della Guardia Nazionale mobilitati ed Esper ha detto che il Pentagono è pronto a offrire più risorse se richiesto.