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MEDIA ED ELEZIONI USA

Trump suona la campana a morto del giornalismo

Hanno sbagliato tutti. Hanno sbagliato tutto. Per settimane ci hanno raccontato che Trump inseguiva ma era in netto svantaggio, che il distacco cresceva, che non ci sarebbe stata partita. E invece i mezzi d’informazione americani e quelli di mezzo mondo hanno sbagliato clamorosamente.

Cultura 10_11_2016
Trump contesta i reportage del New York Times

Hanno sbagliato tutti. Hanno sbagliato tutto. Per settimane ci hanno raccontato che Trump inseguiva ma era in netto svantaggio, che il distacco cresceva, che non ci sarebbe stata partita, che il mondo si preparava a celebrare un verdetto di stabilità e continuità nella politica degli Stati Uniti. E invece i mezzi d’informazione americani e quelli di mezzo mondo hanno sbagliato clamorosamente.

Qualcuno direbbe che la colpa è dei sondaggisti, strasicuri, fino all’apertura delle urne, che nulla avrebbe più potuto impedire la vittoria di Hillary Clinton. D’altronde, nelle prime ore di votazioni, c’era già chi narrava di un Trump furioso e pronto a denunciare possibili brogli elettorali.

La verità è che a sbagliare sono stati soprattutto i mezzi d’informazione, i cronisti, gli opinionisti di politica estera, che hanno raccontato per mesi una realtà deformata, che non esisteva. I media devono essere lo specchio di un Paese, riferire i fatti, riprodurre fedelmente gli umori dell’opinione pubblica, non pretendere di orientare il punto di vista dei singoli. La realtà manipolata ha a che fare soltanto con la propaganda, non già con il giornalismo, che dovrebbe invece ispirarsi a obiettività, trasparenza, assenza di pregiudizi. E invece risulta che quasi 250 giornali statunitensi fossero schierati con Hillary e una decina con Trump.

Un dato che suggerisce alcune riflessioni. Il giornalismo militante rappresenta il tradimento di quell’ideale di asetticità che l’informazione dovrebbe coltivare, proprio per mettersi al servizio di tutti e per erogare alla collettività un bene neutrale che sono le notizie. Quel giornalismo schierato ci ha raccontato una realtà distorta, alimentata da scandali, rivendicazioni, presunti incidenti diplomatici, email e documenti riservati, finalizzati a determinare la prevalenza di un candidato sull’altro. Questo fenomeno, che avrebbe dovuto favorire soprattutto Hillary,  ha finito per premiare il suo sfidante, che pure sul piano dell’immagine e del gradimento dell’opinione pubblica sembrava il più appannato, tanto che per un po’ in ambienti repubblicani si parlò perfino di una sua sostituzione in corsa con un altro candidato. Tutti elementi finemente propagandistici miranti a screditare un leader esuberante che invece sapeva parlare alla pancia dell’elettorato e infiammare più della Clinton, apparsa piuttosto legata a quell’establishment che tanto ha deluso enormi fette di popolazione americana. Il resto l’hanno fatto i sondaggisti, disorientati e danneggiati dalla reticenza di milioni di elettori assolutamente non disposti a dichiarare le loro intenzioni di voto oppure addirittura a mentire. Nelle previsioni della vigilia, tantissimi sembravano gli indecisi, ma oggi, a urne aperte e risultato acquisito, si può tranquillamente dire che tantissimi di quegli indecisi in realtà avevano già scelto Trump, ma temevano che perdesse e non si azzardavano a dichiararlo.

L’enorme dispiegamento di forze mediatiche (e non solo) in favore della Clinton non è bastato a garantirle il successo, a riprova del fatto che probabilmente i media tradizionali spostano sempre meno voti e sono sempre meno incisivi nell’orientare l’opinione pubblica. Il che è un elemento su cui interrogarsi. Peraltro Trump ha stravinto, anche in Stati storicamente “roccheforti” dei democratici, nonostante le rilevazioni finali di Bloomberg, condotte prima che l’Fbi desse un’ulteriore mano alla Clinton chiudendo l’”emailgate”, segnalassero un vantaggio di tre punti della stessa Hillary. La vittoria di quest’ultima sembrava annunciata anche per Wall Street Journal, Nbc News, Cnn. 

Non meno imbarazzante scoprire anche gli errori di certi editorialisti e opinionisti italiani. Si leggeva martedì sul sito internet di Gad Lerner: "Trump diventerà presidente solo se ci sarà il più macroscopico errore della storia dei sondaggi degli ultimi anni. Tutto può succedere nella vita, ma la sorpresa Trump non sembra proprio più possibile ormai". Ieri su Dagospia compariva questa precisazione: "In realtà sono io, Andrea Mollica, l'autore del pronostico errato sulle elezioni americane. Da tempo scrivo sul sito di Lerner, ma quel post, come gli altri, sono frutto del mio lavoro. Gad non c'entra nulla con quel pronostico, figlio dei miei errori. Spero possa essere chiarita questa cosa". In ogni caso , però, qualunque personaggio pubblico dovrebbe verificare la qualità degli articoli pubblicati sul proprio sito, anche se a firma di altri. E’ l’abc dell’informazione, soprattutto quando si tratta di un evento epocale come le elezioni del nuovo Presidente degli Stati Uniti.