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DIPLOMAZIA

Trump convince Macron a rivedere l'accordo sull'Iran

Macron è andato negli Usa con lo specifico obiettivo di indurre Trump a cambiare idea sull’accordo sul programma nucleare iraniano. Non solo non ci è riuscito, ma ha cambiato leggermente la sua linea di condotta, ammettendo la possibilità di rivedere i contenuti del trattato.

Esteri 27_04_2018
Donald Trump ed Emmanuel Macron

Che cosa hanno combinato i due leader che appaiono ai poli opposti della politica occidentale, cioè Donald Trump ed Emmanuel Macron? Oltre che un’occasione di gossip (quanti hanno fatto il confronto fra la First Lady e la Premiere Dame, quasi la stessa differenza di età con i mariti, ma a parti scambiate) si è discusso soprattutto di un grande problema mal compreso: l’Iran. Perché, gira e rigira, è dall’Iran che passano ormai tutti i problemi irrisolti del Medio Oriente, a partire dalla guerra in Siria. Macron è andato negli Usa con lo specifico obiettivo di indurre Trump a cambiare idea sull’accordo sul programma nucleare iraniano. Non solo non ci è riuscito, ma ha cambiato leggermente la sua linea di condotta, ammettendo la possibilità di rivedere i contenuti del trattato.

L’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano appare ormai come un episodio storico, lontano. Fu negoziato e siglato a Vienna, nel 2015, sotto gli auspici di Federica Mogherini, accettato da Barack Obama e considerato dall’Iran come una prima grande vittoria diplomatica dopo decenni di isolamento. Il trattato prevede per l’Iran, in cambio del congelamento delle sanzioni economiche, la sospensione fino al 2025 del processo industriale di arricchimento dell’uranio (materiale utile per la fabbricazione di testate nucleari), con la riduzione delle centrifughe (usate per l’arricchimento), la rinuncia al 97% delle scorte di uranio già arricchito e la riduzione del grado di arricchimento a un massimo del 3,6% (per costruire una testata nucleare serve uranio arricchito al 90%). Anche se l’Iran dovesse accettare e rispettare alla lettera tutte le clausole, un’eventuale ripresa del programma porterebbe potenzialmente alla costruzione di armi nucleari in almeno un anno. E dal 2025 questo scenario è comunque possibile. Ad essere particolarmente preoccupati da questo possibile sviluppo sono Israele e Arabia Saudita, entrambi nel mirino degli iraniani. Se il regime di Teheran ha moderato notevolmente i toni nei confronti dell’Occidente, infatti, continua a dichiarare il suo obiettivo di distruggere lo Stato ebraico. Non solo lo dichiara, ma lo ha ritenuto, anche nelle trattative a Vienna, come un suo obiettivo “non negoziabile”.

Trump ritiene che questo accordo sia inaccettabile, per tre ragioni fondamentali. La prima è il limite della sospensione al 2025 del programma di arricchimento dell’uranio. L’attuale presidente la vorrebbe estendere a tempo indeterminato. Solo in questo modo, secondo Washington, la minaccia dell’atomica iraniana sarebbe evitata e non solo rinviata di dieci (ormai sette) anni. Quel che preoccupa direttamente gli Usa, poi, è un altro sviluppo iraniano: la costruzione e la prova di missili balistici intercontinentali. Il regime di Teheran ha già dimostrato di avere una limitata capacità di mandare in orbita satelliti. Dal satellite al missile balistico intercontinentale il passo è breve e con quest’ultimo l’Iran potrebbe tenere sotto scacco anche le città americane, per la prima volta. Un’arma di ricatto notevole, che l’amministrazione Usa vuole scongiurare a tutti i costi. Per questo nella possibile revisione del trattato, Trump vorrebbe inserire una clausola specifica che vieti lo sviluppo di missili balistici intercontinentali, sul modello delle risoluzioni già in vigore contro la Corea del Nord. Terzo punto: l’influenza dell’Iran sul Medio Oriente, cresciuta enormemente proprio a partire dal 2015. L’Iran è presente con milizie sue alleate, consiglieri militari e forze speciali in ben quattro paesi mediorientali (Libano, Siria, Iraq, Yemen) e combatte in tre guerre civili (Siria, Iraq, Yemen). La sua milizia più potente, Hezbollah in Libano, di fatto controlla il territorio meridionale della repubblica dei cedri ed è considerato attualmente come il più potente esercito irregolare al mondo. Trump chiede, dunque, di inserire una clausola che vieti esplicitamente l’influenza iraniana nel Medio Oriente.

Macron era partito alla volta dell’America con l’idea di difendere il testo del trattato così com’era. Torna affermando che Trump potrebbe cestinarlo il prossimo 12 maggio (quando dovrà decidere, così come avviene ogni sei mesi, se rinnovare o meno le sanzioni al regime islamico) e comunque, nel suo discorso al Congresso il presidente francese ammette la possibilità di rivedere gli accordi. Stati Uniti ed Europa, a detta sua, ora devono ragionare “su quattro pilastri: vincoli sull’atomica (dell’Iran) anche dopo il 2025; controlli sul programma di missili balistici; contenimento dell’influenza iraniana nel Medio Oriente; accordo sulla Siria”. Vengono dunque recepite, per lo meno ammesse, le tre clausole di Trump. Mentre sulla Siria, Macron sta provando tuttora a convincere la sua controparte statunitense a mantenere truppe sul terreno, a Est dell’Eufrate, a protezione dei curdi. Potrebbero essere questi i termini dello scambio: Iran in cambio di Siria.

E’ più probabile che questo disegno fallisca. In primo luogo: mai fare i conti senza l’oste. L’Iran ha già affermato, per bocca di Ali Akbar Velayati, braccio destro dell’ayatollah Khamenei, che non accetterà mai una revisione del trattato. E soprattutto che non ritirerà mai i suoi uomini dal Medio Oriente, perché “è la nostra regione”. Affermazione quanto mai colonialista che giustifica le preoccupazioni sia di Israele che dell’Arabia Saudita. La possibilità che l’Iran torni a sedersi attorno a un tavolo cresce se le pressioni dovessero essere congiunte di Usa, Russia e Ue. Ma non è ancora realistico far sedere attorno allo stesso tavolo gli Usa e la Russia. E men che meno l’Ue ha un’agenda comune: sia la Germania che il Regno Unito sono stati sorpresi dall’apertura di Macron alle condizioni di Trump. La Germania, almeno per ora, si dice contraria ad ogni possibile revisione.

D’altra parte per Trump è meglio nessun trattato che un cattivo trattato.