Trump cede le redini del negoziato a Erdogan e taglia fuori l’Europa
Ascolta la versione audio dell'articolo
La gestione turca delle trattative permette ancora una volta di tagliare fuori dai tavoli che contano la UE e le nazioni europee, relegate ai margini della politica internazionale.

Donald Trump sembra cedere a Recep Tayyp Erdogan (e al suo ministro degli Esteri Hakan Fidan, a lungo alla testa dei servizi segreti di Ankara) le redini del negoziato tra Russia e Ucraina. Le ragioni potrebbero essere tante: dallo smarcarsi da una situazione più complessa di quanto aveva previsto prima di entrare alla Casa Bianca, alla determinazione di non compromettere i buoni rapporti reinstaurati con Mosca e che stanno avendo un ruolo determinante nei successi conseguiti da Trump con i negoziati in corso con Teheran e l’intesa raggiunta con gli Houthi per lo stop agli attacchi delle milizie yemenite alle navi mercantili in transito tra l’Oceano Indiano e il Mar Rosso.
Successi a cui si aggiunge il compromesso sui dazi raggiunto con la Cina in cui è difficile non scorgere il ruolo rilevante assunto dalla distensione tra Washington e Mosca poiché Cina e Iran sono stretti alleati della Russia. Trump ha inoltre raggiunto l’obiettivo di ottenere il pieno controllo sulle risorse minerarie e sulle infrastrutture dell’Ucraina con un accordo che pone il futuro economico di Kiev autonomo dagli Stati Uniti più o meno quanto quello di Porto Rico.
Il passaggio di consegne delle trattative per la pace in Ucraina tra Washington e Ankara evidenzia inoltre altri vantaggi per gli Stati Uniti. Trump sta valutando la possibilità di recarsi giovedì in Turchia per i colloqui tra Russia e Ucraina per porre il suo cappello sui negoziati e affermare il successo della sua iniziativa di pace. Una partecipazione molto gradita a Zelensky ma che costituirebbe anche il primo incontro faccia a faccia tra Trump e Putin.
Inoltre la gestione delle trattative ritorna nella nazione che più si è spesa in questi tre anni per fungere da mediatore, dagli accordi per l’export di grano agli scambi di prigionieri senza dimenticare l’intesa raggiunta a fine marzo del 2022 da russi e ucraini grazie alla mediazione turca per concludere il conflitto, poi sabotata da statunitensi e britannici che hanno indotto Zelensky a continuare la guerra che avrebbe “logorato” la Russia.
Soprattutto la gestione turca delle trattative permette ancora una volta di tagliare fuori dai tavoli che contano la UE e le nazioni europee, relegate ai margini della politica internazionale. La decisione di giocare “la carta turca” ha soddisfatto Vladimir Putin, che ha proposto un incontro diretto il 15 maggio con Volodymyr Zelensky, il quale ha accolto l’invito anche in assenza di un cessate il fuoco.
Non si può escludere che Washington e Mosca abbiano deciso insieme di coinvolgere Erdogan. Putin ha infatti chiesto esplicitamente il sostegno diplomatico di Ankara: "Vorrei chiedere al presidente turco che conceda la possibilità di tenere questi colloqui in Turchia. Spero che confermi la sua volontà di contribuire alla ricerca della pace in Ucraina”. Dichiarazione a cui ha fatto seguito l’immediata reazione entusiastica di Trump.
Proprio sul tema del cessate il fuoco gli europei sembrano essersi giocati le ultime carte che avevano per mostrarsi credibili. L’Europa pretende che Putin cessi le operazioni militari per 30 giorni prima del summit di dopodomani, sostenendo la medesima richiesta espressa da Zelensky, pressato dagli Stati Uniti ad accettare l’invito di Putin al faccia a faccia.
Erdogan, nel fissare gli obiettivi del vertice del 15 maggio, ha indicato il cessate il fuoco e la pace permanente. Obiettivi quindi, non precondizioni. Per questo le pressioni europee su Mosca, dal sapore dell’ultimatum, suonano fuori luogo e un po’ patetiche. Gli ultimatum si pongono quando si ha la forza di imporre poi il proprio volere e l’Europa, per dirla con Trump, “non ha le carte in mano per porre condizioni”.
La commissione UE e la Germania hanno avvertito che "il tempo stringe" affinché la Russia accettasse entro la giornata di ieri un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni in Ucraina, pena ulteriori sanzioni. "Questo linguaggio da ultimatum è inaccettabile per la Russia, non è adatto. Non si può parlare alla Russia con questo linguaggio", ha risposto ieri il portavoce del Cremlino, Dmitrj Peskov, precisando che "negoziati diretti fra Russia e Ucraina sono necessari per trovare un modo per arrivare a una tregua" e aggiungendo che "un approccio semplicistico a questo fine è inappropriato" riferendosi alle pressioni europee.
Come è sempre stato evidente dall’inizio dei negoziati promossi dagli USA, la tregua non è una precondizione per trattare ma bensì sono le trattative che potranno portare alle condizioni per un cessate il fuoco condiviso.
Putin ha proposto la data del 15 maggio per incontrare Zelensky ma questo non toglie il fatto che i russi stanno avanzando su tutti i fronti, certo lentamente ma nessuno ritiene oggi perché gli ucraini siano in grado di fermarli e riconquistare i territori perduti. Per questo è immaginabile che Putin chiederà a Zelensky di riconoscere la sovranità russa sulle 5 regioni totalmente o parzialmente occupate dai russi: Crimea e Lugansk per l’intera superficie, oltre a Kherson, Zaporizhia e Donetsk, oggi non del tutto in mani russe.
Non si possono escludere altre pretese territoriali anche considerando la presenza militare russa in porzioni delle regioni di Kharkiv e Sumy, così come Putin rinnoverà la pretesa di un’Ucraina fuori dalla NATO, priva di armi offensive e di truppe di nazioni aderenti alla NATO presenti a tempo pieno sul suo territorio. Se ci sarà un accordo su queste richieste che Mosca ribadisce da tempo sarà possibile una tregua di 30 giorni, necessari a mettere a punto i dettagli di un trattato di pace.
Del resto i russi continuano ad attaccare su tutti i fronti anche in vista dei colloqui in Turchia proprio per tenere sotto pressione gli ucraini e indurli ad accettare le loro condizioni. Come si è sempre fatto in ogni conflitto giunto alla fase delle trattative, basti ricordare i pesanti bombardamenti statunitensi su Hanoi mentre a Parigi si trattava per raggiungere un accordo di pace in Vietnam.
Putin inoltre porrà probabilmente condizioni stringenti affinché quei 30 giorni non vengano impiegati dagli ucraini per rafforzare le proprie linee di difesa e dagli europei per fornire ulteriori armi a Kiev, perché il cessate il fuoco avvantaggia sul piano militare esclusivamente gli ucraini. I russi lo sanno e anche i leader di Francia, Germania, Polonia, Regno Unito e Ucraina che hanno adottato una dichiarazione congiunta dopo l'incontro del 10 maggio a Kiev in cui si chiede «da lunedì 12 maggio un cessate il fuoco completo e incondizionato per almeno 30 giorni per dare spazio alla diplomazia».
Esattamente l’opposto di quanto vuole Mosca che fermerà le sue truppe solo se Kiev accetterà le sue condizioni. Del resto la posizione degli europei riuniti nella fantomatica “coalizione dei volenterosi”, pur se dissociata dalla realtà, è comprensibile.
Se l’Ucraina accettasse le condizioni di Mosca sopravviverebbe come stato e potrebbe guardare al futuro, ma uscirebbe senza dubbio sconfitta dalla guerra perdendo almeno il 21/25 per cento del suo territorio. Una sconfitta che ricadrebbe pesantemente sui suoi sponsor, cioè sugli europei dopo che gli Stati Uniti di Trump si sono defilati. Per questo la Commissione Europea e i molti leader europei traballanti nei consensi cercano di evitare una disfatta ucraina che trascinerebbe a fondo anche loro.