Troppe "educazioni" a scuola, un mito che non previene il male
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Sessuo-affettività tra i banchi per contrastare la violenza: Save the Children ripete la solita illusione di risolvere tutto a suon di percorsi che non educano ma annoiano e approfondiscono il vuoto. Il classico rimedio peggiore del male.

Save the Children, sulle pagine di una importante testata nazionale, lancia l’allarme: «chiediamo con forza una legge che renda obbligatoria l'educazione all'affettività e alla sessualità nelle scuole» per contrastare l'emergenza femminicidi. L'educazione sessuo-affettiva nelle scuole, a parere della nota associazione, «è essenziale per costruire relazioni sane e prevenire la violenza», tenuto conto che «solo il 47% degli adolescenti ha ricevuto educazione sessuale a scuola e per 1 su 3 si è ridotta a un intervento sporadico in classe». Per questo, ritiene che sia indispensabile agire subito, perché i giovani imparino a riconoscere e fermare la violenza fin da piccoli.
Gli episodi terribili di questi ultimissimi giorni, in cui due ragazze, Sara Campanella e Ilaria Sula, hanno perso la vita in modo violento e raccapricciante, secondo Save the Children lo esigono. La veemente richiesta poggia anche sugli esiti di una ricerca «Le ragazze stanno bene?», diffusa circa un anno fa, che aveva evidenziato un dato allarmante, rilevando atteggiamenti lesivi e violenti nelle relazioni sentimentali per più di un adolescente su due.
Sono condivisibili il dolore e lo sconcerto per questi fatti terribili, nonché il desiderio che non accadano più, ma ci chiediamo: come potrebbe contrastare la violenza l’educazione sessuo-affettiva nella scuola? E cosa si intende con questo termine? Oggi, nella scuola sono in atto molteplici percorsi e progetti di cosiddetta “educazione”: alla salute, civica, all’affettività, all’inclusione, finanziaria, all’ecologia, al digitale, alle pari opportunità, alla tolleranza, al rispetto, all’ascolto, e chi più ne ha più ne metta… Ma davvero tutto questo è compito della scuola?
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, nei giorni scorsi, durante un’audizione presso la Commissione straordinaria su intolleranza, razzismo e antisemitismo, ha affermato che «la prevenzione vera si fa in famiglia», accendendo un dibattito sul confine tra responsabilità genitoriale e intervento istituzionale nella lotta a fenomeni come l’odio e la violenza. Bene il richiamo al ruolo e ai compiti della famiglia (che purtroppo però è sempre più evanescente) ma esiste, poi, una condivisione su ciò che è l’educazione? Nella nostra società liquida, in realtà, non esiste più nemmeno una concezione univoca dell’educazione, perché non esiste più un concetto condiviso di persona, tanto che nemmeno l’identità sessuale pare essere più valida…
Se noi chiedessimo a cento persone cosa significa “educazione sessuo-affettiva” avremmo probabilmente cento risposte diverse. A cosa dunque si vuole educare? Cosa vogliamo che diventino i nostri giovani, che persone devono essere? Oggi si concepisce la persona come un mosaico di tasselli, fabbricati ad arte da chi ha in mano il pallino del potere, per realizzare un prodotto conforme alle esigenze correnti. L’educazione è andata in frantumi, perché si è frantumata la famiglia, e questo è accaduto – fra le altre cose – perché è andato in frantumi il senso unitario della vita.
Nel mondo occidentale, la prima causa di violenza fra i giovani, a mio parere, sta proprio qui: gli adulti hanno demolito l’orizzonte di senso che la storia e la tradizione dei nostri popoli ci hanno tramandato, lasciandoli in balìa del nulla. L’alternativa a non sprofondare in una depressione senza ritorno (e le migliaia di casi di Hikikomori ci documentano quanto già stia accadendo) è il rifugio nella realtà virtuale e, nel conseguente rapporto distorto con la realtà vera e propria, il possesso violento, cioè l’istinto feroce di aggrapparsi a quello che, almeno provvisoriamente, ti consente di vivere. L’incremento di “educazioni” nella scuola, rischia solamente di aumentare violenza e apatia, oltre a distogliere la scuola dalle sue vere finalità.
Se l’educazione è essenzialmente la formazione dell'uomo, ciò che egli deve essere e come deve comportarsi in questa vita per conseguire il fine per il quale esiste, è necessario allora rimettere innanzitutto a tema qual è lo scopo per il quale viviamo. Solo la proposta di un orizzonte di senso unitaria, che renda davvero ragione della fatica e della bellezza del vivere, come è stata per secoli quella cristiana nel nostro popolo, può consentire di educare veramente, facendo emergere (e-ducere) persone capaci di costruire relazioni sane. Viceversa, se si andrà avanti con questa frantumazione del senso e della persona, trasformando l’educazione in manipolazione, non potremo far altro che pagare le conseguenze in termini di infelicità e violenza.
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