Trento, privilegio gay chiude la bocca alle scuole
La sentenza che condanna l'Istituto Cacro Cuore di Trento a un risarcimento monstre per non aver rinnovato il contratto ad un'insegnante lesbica dimostra che ad essere condannate sono: la libertà religiosa, la libertà di educazione e la libertà di pensiero. Criticare chi non si flette al dogma gender è espressione di un diritto civile, criticare chi promuove questo stesso dogma costituisce un illecito civile e penale.
I cattolici dovranno pur accogliere le persone omosessuali, ma questi accolgono quelli a mazzate. E’ il caso esemplare dell’Istituto del Sacro Cuore di Trento che un paio di giorni fa è stato condannato per la seconda volta a pagare un’ingente somma di denaro a favore di una insegnante omosessuale dato che non è stata assunta.
Ma ricostruiamo la vicenda sin dall’inizio (la NBQ ne ha parlato a più riprese QUI, QUI e QUI).
Il 30 giugno del 2014 giunge a naturale scadenza il contratto di docenza presso il suddetto istituto di un’insegnante di storia dell’arte, che chiameremo con nome di fantasia Anna. Un primo nota bene: a differenza di quello che scrivono i giornali, la docente non è stata licenziata, né è stato illegittimamente negato un rinnovo perché non c’erano vincoli contrattuali che obbligavano l’istituto a rinnovare il contratto. A confermarlo è la stessa Anna: “In realtà non si tratta di un mancato rinnovo perché semplicemente era scaduto quello in essere. Quindi non c'era nemmeno la necessità di una comunicazione da parte della scuola, visto che la rescissione sarebbe stata implicita”. Tra l’altro identica sorte è toccata ad altri 29 colleghi etero della signora Anna dato che le iscrizioni erano in calo.
Successivamente alla conclusione del contratto suor Eugenia Liberatore, direttrice del suddetto istituto, chiama l’insegnante per un colloquio. Circolano delle voci su Anna inerenti una sua presunta omosessualità. La docente non smentisce né ammette nulla. I media ovviamente fanno due più due e ne viene fuori che la signora Anna è stata licenziata perché lesbica.
Sul licenziamento già ci siamo espressi, provando che così non è stato. Cosa dire invece del fatto che un istituto retto da religiosi possa non rinnovare un contratto di lavoro ad un dipendente, tra l’altro insegnante, che è omosessuale? L’istituto suddetto rientra a pieno titolo secondo il nostro ordinamento giuridico nelle “organizzazioni di tendenza”. Per spiegarci cosa sono lasciamo la penna al prof. Marco Ferraresi che sulla vicenda era già intervenuto su queste colonne nel 2014: le “organizzazioni di tendenza” sono “enti che perseguono finalità ideali costituzionalmente rilevanti (religiose, politiche, sindacali, educative, culturali) e che nella propria legittima autonomia organizzano risorse umane e materiali nel modo ritenuto necessario al raggiungimento dei propri obiettivi.
Proprio per assicurare una tale possibilità, il diritto del lavoro italiano, conformemente a quello europeo, consente alle organizzazioni di tendenza di esigere dal proprio personale l’adesione al proprio orientamento ideale. Quantomeno, di esigerlo dal personale che svolge mansioni direttamente connesse alle finalità dell’istituto, come quelle di docente in una scuola. Se così non fosse, un partito di sinistra che scoprisse tra i propri dirigenti un militante di estrema destra dovrebbe comunque proseguire il rapporto di lavoro. E un’associazione di industriali che si accorgesse di impiegare una persona che sostiene comitati di base di lavoratori resterebbe del pari vincolata al contratto, con evidenti ripercussioni sulla propria immagine e sul regolare svolgimento dell’attività istituzionale”.
Inoltre l’art. 3, comma 3, d.lgs. n. 216/2003 stabilisce che “nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima”.
Il successivo comma 5 si occupa poi nello specifico degli enti religiosi: “Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività”. Quindi una scuola ad orientamento confessionale potrebbe legittimamente rifiutare il rinnovo del contratto di lavoro ad un’insegnante lesbica.
Torniamo alla signora Anna la quale decise, a fronte del mancato rinnovo, di trascinare in giudizio l’istituto. Nel 2016 il giudice del lavoro di Trento in primo grado condannò la scuola a pagare 25mila euro alla donna, risarcimento esteso anche alla Cgil di Trento e all’associazione Certi diritti costituitisi parte civile. Condanna motivata dal fatto che «la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola», e che la docente «ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell’onore». Come si vede i giudici non hanno applicato la legge italiana – che avrebbe legittimato il mancato rinnovo, tra l’altro contrattualmente non dovuto - bensì quella ideologica.
Non contenti del risarcimento la signora Anna e legali hanno fatto ricorso in appello. Due giorni fa, festa delle donne anche di quelle lesbiche, i giudici – il medesimo collegio al femminile che di recente ha riconosciuto la doppia paternità ad una coppia omosessuale – ha condannato di nuovo l’istituto aumentando il risarcimento come se fosse un Lascia o raddoppia giudiziario: 53.300 euro. Soldi che ancora una volta entreranno nelle tasche non solo della docente, ma anche della Cgil e di Certi diritti perché – si legge nel dispositivo – la discriminazione è stata individuale e collettiva.
Il collegio scrive nella sentenza: «Non si vede sotto quale profilo l’orientamento sessuale dell’insegnante, così come la sua vita privata, possano aver rilevanza nell’insegnamento della materia di educazione artistica in una scuola paritaria ancorché gestita da un ordine religioso». La giustizia è raffigurata bendata, perché non dovrebbe guardare in faccia a nessuno, non dovrebbe fare trattamenti di favore, ma i giudici dovrebbero invece avere la vista acuta o almeno normale per applicare la giustizia e più prosaicamente per leggere le norme di cui sopra che permettono di non rinnovare i contratti di lavoro alle organizzazioni di tendenza se i loro dipendenti non si conformano ai principi ispiratori del loro datore di lavoro. In parole povere bastava applicare la legge.
I giudici invece se ne fanno un baffo di cosa prescrive la legge: «Il progetto educativo della scuola non implica alcuna adesione confessionale e pratiche di stretta osservanza. L’insegnante non ha mai tenuto condotte professionali infedeli e anche solo incoerenti con il progetto e con l’etica che lo ispira. L’atto discriminatorio si è espresso nel diniego di prendere in considerazione l’insegnante per un nuovo contratto». Tradotto: a gay e lesbiche i contratti devono essere sempre e comunque rinnovati anche se la scuola fedele all’insegnamento della Chiesa ritiene che l’omosessualità è una condizione intrinsecamente disordinata e che “vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio […] nell'assunzione di insegnanti” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, n. 11). Un privilegio ingiustificato e quindi una discriminazione a rovescio.
La sentenza non condanna solo l’istituto Sacro Cuore, ma anche la libertà religiosa perché vuole tappare la bocca alle scuole cattoliche di tutta Italia: o insegnate il gender tra i banchi di scuola altrimenti vi faremo chiudere per debiti. La condanna colpisce anche la libertà di educazione: care mamme e papà che mandate i vostri figli nelle scuole cattoliche sperando che qualche principio sano entri nei cuori e nelle teste dei vostri pargoli, dimenticate ogni vostra speranza a riguardo. Le scuole cattoliche sono sotto ricatto giudiziario e quindi saranno obbligate ad insegnare cose che voi stessi aborrite. Terzo condannato: la libertà di pensiero. Criticare chi non si flette al dogma gender è espressione di un diritto civile, criticare chi promuove questo stesso dogma costituisce un illecito civile e penale.