Treni in sciopero, è caos: risposta sbagliata a un problema reale
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Giusto indignarsi per l'aggressione subita dal capotreno a Genova, ma la scelta dei sindacati di far pagare questo ennesimo sopruso a cittadini che non c’entrano nulla, che viaggiano per lavoro e che ieri sono dovuti rimanere a casa o hanno dovuto sottoporsi a sacrifici inenarrabili, è inaccettabile.
Che futuro può avere un Paese in cui un ferroviere rischia la vita per controllare se un passeggero è in possesso di un regolare titolo di viaggio? E che futuro può avere un Paese in cui dopo un episodio del genere un’intera categoria si ferma per solidarietà nei confronti di quel ferroviere, ma così facendo mette in ginocchio milioni di cittadini impossibilitati a lavorare, a studiare, a recarsi in ospedale per un controllo medico, a visitare persone malate e non autosufficienti?
Sono domande che ogni persona di buon senso dovrebbe farsi dopo quello che è successo ieri. L’Italia è andata in tilt, si sono fermate moltissime istituzioni e aziende, perché i treni, dalle 9 alle 17, non hanno più circolato per la protesta di tutti i lavoratori del comparto ferroviario dopo l’aggressione subita da un capotreno accoltellato gravemente nella tratta Genova Brignole – Busalla su un treno regionale. Va detto che non è certamente il primo episodio del genere e non sarà l’ultimo ed è comprensibile che i colleghi dell’aggredito ritengano che la misura sia colma e che si debba garantire maggiore sicurezza a bordo dei treni. Le aggressioni subite dal personale ferroviario si sono moltiplicate e si tratta di episodi intollerabili che meritano una seria iniziativa politica. Su questo sarebbe difficile se non impossibile trovare voci contrarie.
Quello che invece divide l’opinione pubblica è la scelta dei sindacati di far pagare questo ennesimo sopruso ai danni di un dipendente pubblico a cittadini che non c’entrano nulla, che non hanno colpe, che viaggiano per lavoro e che ieri sono dovuti rimanere a casa o hanno dovuto sottoporsi a sacrifici inenarrabili.
Anche il personale medico viene frequentemente aggredito negli ospedali e nei pronto soccorso, ma continua a lavorare con abnegazione e spirito di servizio. Se a seguito di queste aggressioni, sempre meno rare, i medici incrociassero le braccia e non lavorassero più per un’intera giornata, quanti danni in più ci sarebbero alla salute delle persone e quante persone in più morirebbero?
Se passa l’idea che di fronte a episodi pur deprecabili e inaccettabili come l’aggressione a un capotreno l’unico rimedio è quello di paralizzare il traffico ferroviario e, di riflesso, il funzionamento di un intero Paese, vuol dire che la stiamo dando vinta a chi commette simili azioni turpi e raggiunge il suo scopo di affermare un principio disumanizzante, quello della sopraffazione.
Non c’è da illudersi sul fatto che le pene per gli autori di questi gesti violenti possano essere esemplari, perché purtroppo non sarà così. I sindacati con queste reazioni di pancia credono di riaffermare la loro presenza accanto ai lavoratori, non rendendosi conto che in realtà producono l’effetto opposto: la gente comune li vede come il vero freno alla crescita della società e del mondo del lavoro.
Otto ore di sciopero nazionale del trasporto ferroviario, peraltro in un mese in cui sono già previste tante altre agitazioni simili, vuol dire contribuire ad affossare un’economia e una società e mettere lo Stato in condizione di avere ancora meno risorse da destinare a investimenti in sicurezza e nel potenziamento delle forze dell’ordine.
La Commissione di garanzia sugli scioperi ci aveva provato a fermare i sindacati con un appello caduto però nel vuoto: «La Commissione di garanzia sugli scioperi, pur riconoscendo la sussistenza dei requisiti richiamati dal comma 7 dell’articolo 2 della legge n.146 del 1990 (“gravi eventi lesivi della incolumità e della sicurezza dei lavoratori”) - si legge in un comunicato diffuso all’indomani della proclamazione dell’agitazione di ieri - rivolge un forte appello al senso di responsabilità dei soggetti proclamanti, affinché riducano significativamente la durata dell’astensione, fino a ricondurla ad una dimensione meramente simbolica».
«L’invito dell’autorità – concludeva il Garante – si prefigge l’obiettivo di non aggiungere un ulteriore pregiudizio ai diritti costituzionali degli utenti particolarmente compromessi, nei mesi di ottobre e novembre, da una successione di scioperi che coinvolgono il settore dei trasporti».
Purtroppo, però, niente da fare. Ancora una volta i diritti costituzionali degli utenti sono stati calpestati da una prova di forza (forza si fa per dire) dei sindacati. Gli stessi che dopodomani metteranno in crisi le grandi città con uno sciopero selvaggio dei trasporti pubblici locali senza fasce di garanzia. Si tratta di uno scenario fantozziano, con milioni di italiani che pagano le tasse, vivono onestamente e non possono tuttavia usufruire dei servizi essenziali per colpa della dittatura di minoranze intente solo a protestare, anche quando sanno che non serve a nulla, anzi produce danni. La nostra democrazia arranca più che mai ma l’irresponsabilità dei sindacati non può che peggiorare le cose e compromettere ulteriormente la solidità del corpo sociale.